Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
SPALLETTI
“Tutto è nella mente. Fuor della mente non c’è che il niente”. Questo dice la venticinquesima giornata del campionato italiano. E dice altre cose. Nessuno dice, invece, che “O Generosa”, l’inno commissionato e strapagato a Giovanni Allevi per la serie A, è un’imbarazzante schifezza, un orrore cacofonico? Basta guardarli i ragazzi schierati a inizio partita, sommersi da quella gragnuola di cavallette truccate da note assurde. Stanno lì meschini in fila, arruolati giocoforza nel clan delle Orecchie Straziate, con un solo pensiero nel cranio unisono, che quella sinfonica strombazzatura cessi il prima possibile, con tutto il suo latinorum misto inglese aggregato. E’ come la visita dal dentista.
Una passata di trapano. Passa tutto, per fortuna. Passerà anche Allevi. E’ passato Aldo Biscardi. Non è giusto, ma è così. Qualcuno dirà, tra duecento anni, che non è mai esistito, che era un’allucinazione color carota dei nostri anni lisergici, ma non è così. Io l’ho toccato Biscardi. Ho preso il caffè con lui. A casa sua.
DZEKO
E non venivo da un party né da un processo con Timothy Leary. Può dire lo stesso Adriano Galliani? Passerà anche il Milan di Berlusconi. Passerà Galliani. L’avete visto ieri sera a San Siro esultare come un matto al gol di Deulofeu. Una scena manicomiale. E’ passato, ma lui non lo sa. Saranno i cinesi a cucirgli addosso un’economica camicia di forza, una di quelle volte in cui verrà di soppiatto a esultare in tribuna per un Milan che non è più suo, ma continua a esistere nella sua mente malata.
Tutto è nella mente fuor della mente non c’è che il niente. Prendi il Pescara. Un colabrodo. Perde prima di scendere in campo. Arriva Zeman e ne fa cinque al Genoa. Nella testa di Caprari & company il giovane e innovativo Oddo alloggiava ormai come un baco infetto, una pioggerellina marcia. Paracaduto due giorni prima sul derelitto “Adriatico”, il boemo è l’equivalente di un vecchio busto di Lenin, anche per la sua rigidità. Fa niente. Funziona. Miracolo? No, Zeman è una meravigliosa illusione ottica. Tace, fuma e lascia che siano gli altri a proiettare sul suo specchio opaco il loro delirio. Come Wanna Marchi o Jacques Lacan al loro meglio. Tre sedute, tre parole impercettibili e Caprari & company diventano fenomeni.
ZEMAN
Prendi Luciano Spalletti e prendi Dzeko. Posseduto dall’anima di Rasputin, reduce da San Pietroburgo, l’uomo di Certaldo si presenta a Trigoria con la scusa del nuovo tecnico, ma si svela presto per quello che è, uno sciamano. Entra nelle teste dei giocatori. Le invade. Le svuota e le riempie a suo piacimento. Ogni sua postura, gestuale e oculare, ha un solo scopo, pietrificare l’interlocutore e impossessarsi del suo teschio. Così è stato con Edin Dzeko. Gigante friabile.
ALLEGRI
Uno dalla sensibilità smodata, che si liquefa al primo incidente in uno spartito di balbuzie, passi imbranati e sguardi accorati. Lo ha trasformato in un superuomo. Un killer batistutoide con l’eleganza del cigno. Non basta. Ha convinto Emerson Palmieri d’essere un incrocio tra Roberto Carlos e Alex Sandro (ogni grandezza nasce da una coltivata suggestione). Fomentato da Lucio, Fazio non si sente lontano da Beckenbauer. Guardate l’ultimo Nainggolan. Spalletti ne ha fatto un mix su la cresta tra Puskas e Lothar Matthaeus.
Chiudiamo, per ora, con Max Allegri. Da che è alla Juve, si è proiettato nella testa un film tutto suo, in cui il protagonista è un grande allenatore calato da Livorno con tutti i suoi denti. E’ scattata l’identificazione. Ci crede. E lo è diventato. Funziona così. Un tempo rossonero avrebbe ingoiato amaro la spocchia di quel tedioso arrogante chiamato Bonucci. Si sarebbe tenuto il rospo dentro. Oggi, quasi, se lo mangia. E, sapete una cosa? Viva Allegri.
BONUCCI