Il permesso – 48 ore fuori
Marco Giusti per Dagospia
Duro, ignorante, coatto, ma soprattutto de core, torna il film di genere alla Fernando Di Leo. Lo dobbiamo a Claudio Amendola, attore e regista di questo sentito, notevole, magari anche un po’ ingenuo Il permesso – 48 ore fuori, al suo produttore di sempre Claudio Bonivento, e alla penna di Giacomo De Cataldo, che ha sceneggiato il film assieme a Roberto Jannone.
Mettiamoci anche la fotografia di Maurizio Calvesi, già autore delle luci di Non essere cattivo, e le scenografie di Paki Meduri, lo stesso di Suburra. Attorno a un mondo di duri, di ragazzini, di balordi, si muovono i quattro protagonisti del film, in permesso dal carcere per 48 ore. Le loro sono realtà diverse, ma tutti e quattro sono pronti a giocarsi la propria vita in quelle 48 ore, per seguire un sentimento o difendere la famiglia.
IL PERMESSO – 48 ORE FUORI
“La telefonata alla mignotta è gratis”, dice a un torvo, cupissimo, palestratissimo Luca Argentero, nel ruolo di Donato, appena uscito di carcere un barista non meno torvo e cupo. Donato cerca la bella Sonia, che un tempo si chiamava Irina, che ora fa la vita per colpa di un piccolo boss di Ostia, Sasà, Antonino Iuorio, come sempre cattivissimo. Donato combatterà a pugni nudi, nella notte, per lui, per cercare di ritrovare il suo amore.
Intanto la bella Rossana, la new entry Valentina Bellé, stangona figlia di papà in carcere per essersi portata dieci chili di coca dal Brasile, si toglie la voglia di un gelato e di una scopata nella macchina con autista che le ha mandato la mamma, col bulletto del Pigneto Angelo, Giacomo Ferrara, lo “Spadino” di Suburra, anche lui cappena uscito di carcere. Angelo è orfano, gli è morta anche la nonna.
IL PERMESSO – 48 ORE FUORI
E’ in carcere dopo una rapina, ma non ha fatto i nomi degli amici, che lo aspettano a casa della nonna e vogliono coinvolgere in altri colpi balordi. Il più ingrugnato di tutti è il malavitoso di vecchia data Luigi, Claudio Amendola, che esce di galera con la stessa faccia del Gastone Moschin di Milano calibro 9, in modo cioè che si capisca da subito quanto si è fatto e che non ha nessuna voglia d scherzare.
IL PERMESSO – 48 ORE FUORI
Luigi si ritrova una moglie che lo aspetta da troppo tempo, ma soprattutto un figlio che ha scoattato forte del nome di papà e si è messo contro il boss della zona, il feroce Goran, Ivan Franek, un tempo allievo proprio del padre. Luigi, in 48 ore, deve sistemare le cose e salvare la sua famiglia. Così sposta la madonnina dal giardino, spezza la base di cemento e si riprende le sue vecchie pistole. Bang! Bang!
Tutte le storie sono belle e credibili, la mia preferità è quella di Luca Argentero, puro Sin City, e lui bravissimo. Amendola si muove in un mondo che ha molto frequentato e sembra conoscere bene, un percorso che va da Altri uomini a Suburra, ha in testa un cinema di duri d’altri tempi che non può non piacerci.
IL PERMESSO – 48 ORE FUORI
Qualche appunto su una musica che entra un po’ troppo, su qualche passaggio un po’ lungo, ma è nettamente il suo film migliore da regista e una bella sorpresa di genere in una stagione dominata da commedie un bel po’ ripetitive. Fotografia e scenografia perfette, attori scelti benissimo, con Ivan Franek e Antonino Iuorio che tornano ai ruoli di cattivi di qualche anno fa. Credi anche che la ferita di Argentero si possa contenere con tre pezzi di skotch. Ce credi, ce credi. Poi prende il piccone… In sala da giovedì.