Luigi Grassia per "La Stampa"
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Laura Facchini è da vent'anni una hostess di Alitalia, ma oggi la sua avventura professionale si conclude, perché non è fra gli assunti in Ita. Anche se dice: «Non mi considero fuori, sono coordinatrice nazionale dell'Ugl Trasporto aereo e lotto ancora per il mio posto di lavoro e per quello degli altri».
Che cosa la aspetta ora?
«La cassa integrazione. Ma io non mi piango addosso perché c'è chi sta peggio di me: colleghi rimasti senza lavoro con figli disabili, coppie di marito e moglie che lavoravano tutti e due in Alitalia e adesso non più...».
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Com'è stata la sua esperienza nella compagnia? Ha vissuto momenti belli?
«Certo, tanti momenti bellissimi! Io, ma parlo anche per i miei colleghi, in Alitalia mi sono identificata con l'azienda, sono molto attaccata ai colori, ho vissuto questo lavoro con uno spirito quasi patriottico.
Ho cominciato come stagionale, poi ho avuto l'assunzione a tempo indeterminato, un traguardo importante, poi ho volato sulle rotte dell'America, dell'Asia, dell'Australia... Ho partecipato con entusiasmo a belle iniziative come quella per il trasporto dei cani in volo, come si vede sul mio profilo Facebook dove compaio con il mio cane Otto...».
E adesso?
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«Adesso mi sento ferita e umiliata. Siamo stati cacciati via da Alitalia senza che si intavolasse una vera trattativa sindacale, e chi è stato riassunto da Ita non ha più il contratto nazionale di lavoro. E questo è un precedente gravissimo per tutti i lavoratori dipendenti italiani».
Quando ha cominciato a capire che le cose in Alitalia stavano andando male?
«Da molti anni non vedevo interesse da parte delle varie proprietà a investire per crescere. Si parlava sempre e solo del costo di Alitalia per il Paese e mai del contributo che avrebbe potuto dare attirando flussi turistici verso l'Italia.
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Ma sarebbe stato necessario comprare aerei e invece non si faceva mai altro che tagliare, tagliare. Io ho volato su rotte intercontinentali, le più remunerative, con aerei Alitalia sempre pieni, solo che quegli aerei erano pochi e così le quote di mercato dei voli verso l'Italia venivano occupate da compagnie straniere».
A parte adesso che si chiude, qual è stato il momento più brutto del passato?
«La gestione di Etihad. Alitalia era diventata una compagnia che alimentava l'hub di Abu Dhabi, non interessava altro. Ci hanno fatto fare dei corsi negli Emirati, pagati da Alitalia, i cui eravamo noi a insegnare a loro. E poi c'è stata la faccenda delle divise».
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Ecco, anche chi non si interessa di moda rimase sconcertato da quel cambio di look.
«Ci hanno mortificato. Divise bruttissime, ci vergognavamo di indossarle. E quelle calze verdi, quale donna le indosserebbe in Italia?».
Sugli aerei c'è meno rispetto per le indicazioni delle hostess. E questo è grave, compromette la convivenza a bordo e forse la sicurezza.
«Credo che la sua sensazione sia esatta. Sta venendo meno il valore della buona educazione. Del resto l'azienda è la prima a non rispettarci».
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