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    E MAGNATE ‘STO BABÀ! – LA STORIA DI UNO DEI DOLCI PIÙ AMATI: LO INVENTÒ NEL ‘700 IL RE POLACCO STANISLAO LESZCZYNSKI SPEDITO IN ESILIO IN FRANCIA – IN POCO TEMPO IL “BBABBÀ” CONQUISTÒ TUTTA EUROPA E SBARCÒ A NAPOLI DOVE È DIVENTATO PARTE DELLA TRADIZIONE PARTENOPEA COME TOTÒ O MARADONA – IL “BABÀ” USATO COME COMPLIMENTO E SUL PALCO DI SANREMO CON MARISA LAURITO NEL 1989...


     
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    Estratto dell’articolo di Morello Pecchioli per “La Verità”

     

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    Nasce in Francia nella metà del Settecento, figlio di un re polacco senza trono e di una ciambellona alsaziana. Porta il nome di un personaggio letterario arabo e ha eletto Napoli come dimora del cuore. Scorre sangue multietnico nelle vene del mitico babà al rum.

     

    La città d’o sole e d’o mare non solo l’ha adottato facendone uno dei suoi simboli insieme a San Gennaro, al Vesuvio, alla pizza e agli spaghetti ca pummarola ’ncoppa, ma gli ha raddoppiato le labiali e la bontà usandolo come elogio superlativo: si ’nu bbabbà.

     

    Il complimento si è radicato nel linguaggio quotidiano partenopeo diventando un modo di dire da rivolgere a qualsiasi persona o cosa deliziosa, adorabile: a una bella donna, all’amico fedele, alla squadra azzurra prossima a vincere lo scudetto, a Maradona, Sofia Loren, Totò… Tutti ’nu bbabbà.

     

    Il babà è un dolce soffice, di pasta magistralmente lievitata tre volte, che ha la forma di un fungo porcino bagnato dalla guazza mattutina o, come preferiscono i francesofili, di un bouchon, il tappo in sughero della bottiglia di champagne. […]

     

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    Ancora adesso il babà è un «indispensabile» a Napoli, ma è decisamente democratico come sottolinea il giornalista Luciano Pignataro: «È dolce da città perché da passeggio: si entra, si prende e si mangia continuando la camminata, non ha bisogno di un piattino e delle forchetta, si usano le mani e dunque, a dispetto delle sue origini regali, è molto democratico, perché mette sullo stesso piano chi ozia e chi lavora, ricchi e poveri».

     

    Fu Stanislao Leszczynski, detronizzato re della Polonia in esilio (dorato) in Francia, a inventare il babà. […]  Alla fine di un pranzo gli fu portato in tavola un kugelhupf, dolce tipico dell’Alsazia, una sorta di pandorone col buco. Stanislao, di bocca buona ma di gusti pretenziosi, giudicò quel dessert troppo povero e, soprattutto, troppo asciutto.

     

    Così lo fece cospargere di zucchero e lo immerse nel Madera, un vino portoghese liquoroso. Il duca ex re, perfezionista goloso, non s’accontentò di quel primo esperimento pur buono. Anzi, proprio perché gli parve soddisfacente quel salto del kugelhupf nel bicchiere del Madera (kugelhupf tradotto alla lettera corrisponde a palla saltellante) studiò con il suo dolciere di fiducia, Nicolas Stohrer, un Michelangelo dell’arte pasticciera, altre soluzioni.

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    Provò con il Malaga, vino liquoroso spagnolo e con la crema chantilly. Ci aggiunse uvetta passa e lo zafferano che il duca aveva apprezzato in Turchia. Stohrer provò col rum giamaicano e questo, infine, fu giudicato l’abbinamento migliore.

     

    A questo punto il colto Stanislao Leszczynski che non conosceva confini a tavola e men che meno in letteratura, battezzò il nuovo dolce esotico con un nome altrettanto originale preso dalle Mille e una notte, una delle sue letture preferite: Alì Babà, il Robin Hood degli arabi.

     

    […] Il dessert francese, dopo aver soggiogato gli aristocratici palati parigini, conquistò l’Europa istigando al peccato di gola i ricchi ghiottoni del Vecchio Continente ai quali non parve vero di lasciarsi indurre in tentazione e di peccare.

     

    Fu durante questa espansione che il dolce sbarcò a Napoli insieme agli chef francesi che l’austriaca regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV di Borbone, aveva chiesto alla sorella Maria Antonietta, inquilina di Versailles con il marito Luigi XVI.

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    Maria Carolina, la regina che «nun redeva maje» come la definì il marito per il suo carattere arcigno e il muso sempre lungo, importò nella reggia di Capodimonte grazie ai cuochi francesi, chiamati dal popolino monzù (da monsieur), il gusto e i sapori di Versailles, dolci compresi. Tra questi spiccava il babà che Partenope fece immediatamente suo togliendogli ogni desinenza araba e caraibica napolitanizzando il tutto in bbabbà a rrumma.

     

    […] Ma fu la versione di Brillat-Savarin a piacere ai pasticcieri napoletani che la sposarono dando a Cesare quel che è di Cesare: la ciambella con crema pasticciera e amarene sciroppate venne chiamata Babà Savarin, nome che porta ancora con fierezza e rispetto anche se l’evoluzione del gusto preferì la panna montata alla crema e le fragole alle amarene.

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    Babà è un bisillabo armonioso, una volta sentito non si dimentica più. Scrive Pignataro: «Il babà ha nel suo suono uno dei segreti del suo successo perché gioca sulla piacevolezza dell’udito».

     

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    È con questa musicalità che il babà sale sul palcoscenico di Sanremo nel 1989 con Marisa Laurito che canta Il babà è una cosa seria: «E si ’a vita amara se fa/ si addolcisce cu nu babà. / Il babà è una cosa seria/ cu 'o babà nun se pazzea / è una cura che fa bene/ ’o babà nun po’ ingannà/. Il babà è come il ciucciotto,/ la coperta di Linus,/ se cercate un antistress/ accattateve ’o babà».

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