Massimo Gramellini per il Corriere della Sera - Estratti
peppino impastato
Tra i motivi per cui la maggioranza degli studenti del liceo scientifico di Partinico si oppone alla decisione di intitolare la scuola a Peppino Impastato ce n’è uno che mi ha colpito: è ritenuto «troppo divisivo». Per quei ragazzi la militanza di Impastato prevale su qualunque altra considerazione, persino sul martirio.
Non gli contestano di essere stato un eroe della lotta alla mafia, ci mancherebbe. Ma di esserlo stato con una maglietta ideologica addosso. Come se la passione politica, che un tempo era un valore, si fosse trasformata in fattore sminuente e rendesse meno universale il suo sacrificio. Per meritarsi di essere eternato in una targa, un martire, ma anche un artista o uno statista (qualora ce ne fossero), deve dunque piacere in tutto a tutti?
peppino impastato
Da ragazzo, Impastato si ribellò al padre mafioso, che lo cacciò di casa. Avrei immaginato che fosse questo il particolare della sua biografia in grado di accendere la fantasia di un gruppo di adolescenti, oltre alla battaglia inesorabilmente perdente, e perciò ancora più romantica, che Peppino ingaggiò dai microfoni di una radio libera contro il boss Tano Badalamenti, la cui abitazione distava cento passi dalla sua.
Impastato era comunista, così come Borsellino non negò mai la vicinanza al Movimento Sociale. Eppure, non mi verrebbe mai in mente di definirli «divisivi». In comune avevano le cose essenziali: a cominciare dall’avversario, quello sì «divisivo», che infatti e purtroppo li ha ammazzati entrambi.
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