1. PER I PROTAGONISTI FOTOGRAFA GLI AMICI
Guido Tiberga per La Stampa
Sergio Zaniboni
«Mi piace disegnare a matita. Posso permettermi di schizzare o essere preciso, e l’immagine si definisce quasi da sola sul foglio. So bene che il ripasso a china arriverà, e la gomma per cancellare annullerà i miei disegni per sempre, senza lasciare traccia. Ma mentre disegno non ci devo pensare: la mia matita diventerebbe triste...».
Sergio Zaniboni, l’autore di queste parole, è morto ieri a ottant’anni. Se n’è andato portando con sè la passione per il disegno che aveva fatto di lui uno dei grandi artisti del fumetto italiano. Il disegno a matita, quello più naturale, lasciando agli altri (spesso al figlio Paolo) il compito di inchiostrare le tavole prima della stampa.
DIABOLIK EVA KANT
Il torinese Zaniboni è l’uomo che per oltre quarant’anni ha accompagnato l’evoluzione grafica di «Diabolik», il primo protagonista «cattivo» a frequentare le nostre edicole: Con lui, il volto monocorde e sempre corrucciato che il personaggio aveva mostrato agli esordi si era aperto a una serie di espressioni più varie: è diventato più credibile, più «vero».
Zaniboni schizzi TEX
Zaniboni, d’altro canto amava lavorare dal vero. Faceva fotografie («anche ai passanti che avevano posizioni strane») e a quelle si ispirava nel disegnare. «Usava» amici e conoscenti come modelli per i personaggi e alcuni gli sono stati grati per anni. «Diabolik» non era la sua unica creatura. Aveva lavorato per il «Giornalino» e si era anche cimentato con una storia speciale di Tex. Forse però è il personaggio cui aveva dato di più, ricevendone una fama limitata ai soli appassionati e agli addetti ai lavori. Eppure era davvero un grande: oggi non è solo la sua matita a essere triste.
2. LO SPUNTO DEL FUMETTO VENNE DA UN CASO DI CRONACA NERA DEL 1958
Maurizio Ternavasio per La Stampa
Mercoledì 26 gennaio 1958, tra le centinaia di lettere che ogni giorno arrivavano alla redazione della Stampa, la cui sede era allora in Galleria San Federico, ce ne era una scritta a matita con la carta carbone su un foglio protocollo a quadretti, che era stata spedita qualche giorno prima da Porta Nuova.
omicidio diabolik
La missiva riportava questa frase:
«Sono venuto da lontano per via
di compiere il mio delitto, da non confon-
dersi con uno qualsiasi. Ho studiato la cosa perfetta
in modo da non lasciare traccia ne-
anche di un ago. Con il delitto è cessato insi-
eme l’odio per lui. Questa sera parto alle ore 20».
La lettera, di cui abbiamo riportato gli «a capo» originali, proseguiva così:
«Un tempo io e la vittima eravamo molto amici e portavamo la divisa insieme. Poi lui mi tradì come fossi un cane. Oggi stava bene, e così la mia vendetta lo ha raggiunto. Spero che scoprirete il suo cadavere prima che diventi marcio. Leggendo con attenzione la lettera troverete con precisione dove è stato compiuto il mio delitto perfetto».
diabolik fontanesi
La lettera terminava con uno strano nome apposto in calce: Diabolich. Un testo analogo era stato spedito pure in questura. Dove in poco tempo venne risolto lo strano rebus: le sillabe terminali di ogni riga della prima parte erano infatti VIA-FON-TA-NE-SI-20, una breve e stretta strada del quartiere Vanchiglia, compresa tra corso Tortona e la Dora. Al piano terreno di questo stabile, in un laboratorio da poco dismesso da un calzolaio, viene scoperto il cadavere di Mario Giliberti, ventisettenne foggiano di Lucera che da poco più di un anno e mezzo era giunto a Torino dove era stato assunto dalla Fiat. Il suo corpo era orribilmente martoriato da 18 coltellate.
Il giovane, in attesa di trovare una sistemazione migliore, viveva lì, in quel povero locale messogli a disposizione dal cugino ciabattino da poco andato in pensione. Sul pomello di uno sportello della dispensa era appeso un bigliettino che, con una grafia simile a quella della lettera inviata a La Stampa, riportava la scritta «Riuscirete a trovare l’assassino?». L’autore del delitto, forse per confondere le carte, aveva rubato trentamila lire e qualche oggetto prezioso.
delitto diabolik
Gli inquirenti, come si diceva allora, brancolano nel buio. Sembrava veramente il classico delitto perfetto: i tanti indizi lasciati dal colpevole per lungo tempo non portano da nessuna parte. La Stampa dà grande risalto al caso, le prime pagine della cronaca cittadina si sprecano per molti giorni. E intanto si scatena l’emulazione: nei giorni successivi alla redazione del quotidiano torinese vengono recapitate diverse missive dal tenore simile a quella contenete la crittografia. Le lettere finali di una di esse
«Sono arrivato. Vi
do la traccia. Cen-
to saluti e pazienza»
DIABOLIK EVA KANT
riportavano alla città veneta dove lo pseudo-assassino voleva far credere di essersi rintanato. Quello vero, invece, aveva commesso un clamoroso errore. Nel portafoglio della vittima, alleggerito di tutti i soldi, aveva dimenticato di rimuovere una foto che lo ritraeva nel giorno del Natale del 1955 a casa sua insieme al Giliberti.
Lui è Aldo Cugini, discendente di una benestante famiglia di imprenditori bergamaschi, che aveva fatto il servizio militare proprio con il giovane ucciso in via Fontanesi. Cugini viene arrestato, e rimarrà in carcere a lungo prima di essere scagionato per insufficienza di prove dopo una lunga battaglia legale improntata sulle perizie calligrafiche sulla lettera alla Stampa e sui bigliettini lasciati sulla scena del crimine. Il loro sarebbe stato un rapporto improntato a quelle «amicizie particolari» che allora definivano gli amori tra due persone dello stesso sesso. Le voci maligne dicono che il Cugini fosse parente alla lontana di papa Giovanni XXIII.
Nel novembre del 1962, cioè quattro anni dopo il terribile delitto, le sorelle milanesi Giussani creano il fortunato fumetto Diabolik. E per il nome Angela e Luciana avevano pubblicamente dichiarato di essersi rifatte a quel fatto di cronaca nera. Così il killer di via Fontanesi sarebbe rimasto per sempre nella storia.