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    E’ SCOCCATA LA SUA HOARE (MIKE) – SE NE ANDATO A 100 ANNI IN SUDAFRICA IL MERCENARIO “PAZZO”: ISPIRÒ IL FILM CON RICHARD BURTON “I QUATTRO DELL'OCA SELVAGGIA”- SOLDATO DI VENTURA VICINO AI SERVIZI OCCIDENTALI, FOMENTO’ SANGUINOSE GUERRE CIVILI E ORDINO’ ASSALTI IN VIOLENTISSIME BATTAGLIE CAMPALI CHE IN GENERE AVEVANO COME OBIETTIVO LE MINIERE D' ORO DEL CONGO


     
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    Alessandro Fulloni per il “Corriere della Sera”

     

    mike hoare mike hoare

    Una vita trascorsa fomentando sanguinose guerre civili, rovesciando regimi autoritari da sostituire con altri ugualmente feroci e ordinando assalti in violentissime battaglie campali che in genere avevano come obiettivo le miniere d' oro del Congo.

     

    Mike Hoare, il più celebre dei soldati di ventura del Novecento, è morto nei giorni scorsi - serenamente, nel suo letto - a Durban, in Sudafrica, dove si era stabilito una volta smesso di reclutare i «commando» - tra i quali ex marines americani, ex Sas inglesi, ex legionari e anche ex incursori italiani - con cui, soprattutto tra il 1960 e il 1980, mise a soqquadro un bel pezzo d' Africa.

     

    Aveva cent' anni portati assai bene, cinque figli e un' infinità di ricordi che continuava ad aggiornare nelle ristampe dei numerosi libri che aveva pubblicato, a metà tra autobiografia e romanzo. Il suo soprannome era «Mad Mike», Mike «il pazzo», e ad appiopparglielo era stata Radio Berlino Est che lo accusava di ogni crimine e nefandezza.

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    La prima volta che il nome di Hoare compare nell' archivio storico del Corriere della Sera è in un articolo del 1964: nel Congo infuria una guerra civile, l' ennesima. «Il pazzo» è al soldo del leader del Katanga Moise Ciombe, recluta una milizia composta da britannici e sudafricani, «il V° commando», e risulta decisivo nello sbaragliare i regolari rafforzando Ciombe.

     

    Poi diventa, a suo modo, una celebrità protagonista di storie tra guerra fredda, insurrezioni e golpe. Origini irlandesi, nato in India, britannico di adozione, nella sconfinata documentazione fotografica che lo ritrae è sempre in giacca sahariana e basco militare. Si definiva «un avventuriero», era un uomo dai modi spicci e assomigliava al generale Montgomery (quello di El Alamein e dell' Ottava Armata) sotto cui aveva servito, come ufficiale, nelle campagne del Nord Africa. Raccontò poi di avere combattuto (in verità tra i dubbi degli storici) tra i «chindits», le leggendarie forze speciali impegnate nella giungla birmana contro i giapponesi.

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    Fu Richard Burton a impersonare Hoare in un film che sbancò i botteghini nel 1978, «I quattro dell' oca selvaggia». Questa la trama: c' è un presidente democratico di un immaginario Paese africano (una via di mezzo tra il senegalese Senghor e il sudafricano Mandela) che viene destituito, incarcerato e torturato dopo un golpe. Il drappello di mercenari guidato da Burton (anzi da Hoare) lo fa scappare e alla fine alcuni di loro, tra cui uno scettico e rude boero, danno la vita per questo leader antirazzista che aspira a un' Africa pacificata.

     

    Fiction assai lontana dalle gesta effettive di Mike «il pazzo» (che pure era stato consulente del film), soldato di ventura vicino ai servizi segreti occidentali e che definiva il comunismo «il maggiore pericolo del mondo»: e per questo sovente al soldo di chi i ribelli - soprattutto se appartenenti ai movimenti filomarxisti sostenuti da Unione Sovietica e Cuba - li combatteva.

     

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    Nel 1981 lo rivediamo alle Seychelles mentre cerca di rovesciare il governo legittimo con un drappello di 46 mercenari che atterrano a Mahé facendosi passare per una squadra di rugby. Ma finisce male.

     

    In aeroporto uno del drappello di Hoare si fa scoprire con un Kalashnikov nascosto nella borsa. E spara al doganiere facendo divampare una sanguinosa battaglia. Il gruppo è costretto a scappare e per farlo addirittura sequestra un aereo dell' Air India atterrato nell' isola solo perché era a corto di carburante. Dirottamento valso a «Mad Mike» una condanna a dieci anni una volta rientrato in Sudafrica.

     

    Pena peraltro scontata comodamente, uscendo di galera dopo 33 mesi trascorsi scrivendo la sua autobiografia.

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