Marco Giusti per Dagospia
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Albert Finney, scomparso a 82 anni, indimenticabile protagonista di capolavori del free cinema inglese, da Sabato notte, domenica mattina di Karel Reisz a Tom Jones di Tony Richardson, ma anche popolarissimo Hercule Poirot ai tempi di Assassinio sull’Orient Express, non fu solo un grande attore inglese di tradizione tra teatro e cinema. Fu qualcosa di più.
Soprattutto per tanti attori più giovani. Per Malcolm McDowell, fu “l’attore più influente della sua generazione. Rese possibile il sogno di tanti attori di provincia. E fu un bene per la classe operaia. Il suo mix di grande charme e pericolo lo rese assolutamente irresistibile”. Per Julia Roberts, che lo ebbe come protagonista di Erin Brecovich di Steven Sodenbergh, “il suo talento era eclissato solo dal suo enorme cuore”. Per il critico del “The Guardian”, Peter Bradshaw, Finney ha rappresentato “il volto del vibrante nuovo corso della working class inglese del dopoguerra”.
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Del resto non fu solo attore di tanti film di successo, cinque volte nominato all’Oscar, ma anche produttore, impegnandosi in opere fuori dalla convenzianalità come If e Oh, Lucky Man di Lindsay Anderson, Gumshoe di Stephen Frears, Bleak Moments di Mike Leigh, Privilege di Peter Watksins. Aiuto Ridley Scott per I duellanti, che interpretò. E diresse perfino un film, Charlie Bubbles, dove diresse una giovanissima Liza Minnelli e dove si permise una nota autobiografica, quando il suo personaggio, lo scrittore di successo Charlie Bubbles, torna nel suo paesino di nascita in limousine.
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Il paesino era proprio quello suo, Salford, dove era nato nel 1936 e da dove era partito molto presto per fare teatro. Negli anni ’50 fu compagno di corso e amico di una vita di altri celebri attori inglesi come Peter O’Toole, Tom Courtenay, Frank Finlay. Intepretò i classici shakesperiani, fu Bruto, Amleto, Enrico V, facendosi notare da Kenneth Tynan, grande critico teatralecdel tempo, come “giovane Spencer Tracy”. Negli anni fu anche un giovane Jean Gabin o Laurence Olivier. In realtà aveva un carattere e un fascino assolutamente personali.
Alla fine degli anni ’50 recita all’Old Vic in Cesare e Cleopatra, poi con Charles Laughton in Sogno di una notte di mezza estate, con Paul Robeson come Otello e lui come Cassio in Otello, nel celebre Luther di John Osborne. Fa il suo esordio nel cinema in The Entertainer a fianco di Laurence Olivier, ma è nel ruolo dell’operaio Arthur Seaton in Sabato notte, domenica mattina di Karel Reisz, ispirato ai testi di Alan Sillitoe, a lanciarlo definitivamente. Né Peter O’Toole né Tom Courtenay né Terence Stamp, tutti grandissimi, avevano la forza di Albert Finney sullo schermo.
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Tom Jones di Tony Richardson lo consacra definitivamente e lo porta ovviamente in America, anche se non fu mai davvero uno star hollywoodiana, cercando di alternare sempre il cinema al teatro. E scegliendo, alla fine, pochi film, ma ottimi, come Miller’s Crossing dei Coen, dove interpreta il gangster Leo, o Sotto il vulcano e Annie di John Huston. O Shoot the Moon di Alan Parker con Diane Keaton.
Ritornerà al successo a fianco del vecchio amico Tom Courtenay con The Dresser, il dramma teatrale di Ronald Harwood diretto da Peter Yates. Lì Finney interpreta il personaggio di un vecchio attore trombone e bizzoso, Sir Donald Wolfit, che si relazione continuamente al suo servo di scena in un rapporto sadomaso. Negli anni fu Ernest Hemingway, Winston Churchill, Papa Wojtila.
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Ma lo troviamo anche in Big Fish di Tim Burton, dove è il vecchio padre, in Onora il padre e la madre, canto del cigno di Sudney Lumet, via via fino a The Bourne Identity e a Skyfall, dove fa una curiosa apparizione. Ebbe varie mogli e compagne, quasi tutte attrici, da Jane Wenham a Anouk Aimée, con la quale visse otto anni, Diana Quick, pene Dalmage. E una grande storia romantica con Audrey Hepburn sul set di Due sulla strada di Stanley Donen. Un film dove era davvero irresistibile.
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