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    E’ STATA L’OPERAZIONE RONALDO A SCASSARE I CONTI DELLA JUVE – LA MAZZATA AL CICLO AGNELLI ARRIVA CON L’ACQUISTO DI CR7: LA JUVE SI ESPONE TROPPO, L’AD MAROTTA, CHE NE AVEVA SCONSIGLIATO L’INGAGGIO, TOGLIE IL DISTURBO. E DA QUEL MOMENTO LA "SIGNORA" SI SMARRISCE TRA SPROFONDI ECONOMICI E CRISI TECNICHE – IL CASO SUAREZ, LE PLUSVALENZE ESAGERATE OGGI AL CENTRO DI UN’INCHIESTA, IL GOLPE FALLITO DELLA SUPERLEGA: UN DECLINO SENZA FINE PER AGNELLINO…


     
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    Antonio Barillà per “La Stampa”

     

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    Una lunga storia di successi, nell’ultimo tratto di eccessi. Oro di trofei e rosso di bilanci. Andrea Agnelli, con 19 titoli in 12 anni, è il presidente bianconero più titolato di sempre: soltanto nell’ultima stagione il palmares non è stato aggiornato, ma la collana di 9 scudetti consecutivi e i 4 double nazionali di fila rimarranno scolpiti nel tempo. Senza contare due finali di Champions League, testimonianza della dimensione internazionale ritrovata dopo gli anni oscuri della ricostruzione sulle macerie di Calciopoli.

     

    Riemersa dalla Serie B con campioni fedeli alla maglia nonostante la corte dei top club d’Europa, alcuni con la medaglia di campioni del mondo sul petto, la Juventus s’illude di riallacciare subito il filo della tradizione e precipita invece in un tunnel nerissimo: risultati cattivi, contestazioni e tensioni, l’immagine vincente in frantumi. È in questo momento duro che John Elkann annuncia l’impegno diretto della Famiglia, attraverso il cugino Andrea; è il 28 aprile 2010, il 19 maggio segue la nomina.

     

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    Andrea si mette subito al lavoro, rinnovando area dirigenziale e tecnica: si affida a Beppe Marotta, amministratore delegato della Sampdoria, che porta con sé Fabio Paratici come direttore sportivo e Gigi Del Neri in panchina. Progettano insieme la rifondazione, sacrificano campioni ormai appagati o al tramonto e bonificano lacerazioni interne, rastrellano il mercato per adattare la squadra al 4-4-2 classico dell’allenatore, però ogni rivoluzione richiede tempo e pazienza, così la prima stagione diventa strascico del momento buio.

     

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    Sfuma l’Europa e paga Del Neri, strappo doloroso ma necessario in nome di una strategia che non ammette sentimenti, e qui c’è la prima, grande intuizione del presidente, la scelta di Antonio Conte, il vecchio capitano, che da tecnico ha vinto in Serie B con Bari e Siena ma in Serie A è stato soltanto meteora a Bergamo. È lui a candidarsi, a chiedere un appuntamento per convincerlo di essere l’uomo giusto, in grado di insegnare juventinità e non solo tattica: è di sicuro persuasivo, Agnelli però bravissimo a comprenderne in pochi istanti la forza.

     

    Comincia così il ciclo d’oro, con uno scudetto inatteso davanti al Milan favorito, dentro uno stadio di proprietà che ancora oggi è gioiello raro nell’Italia delle strutture obsolete e fatiscenti: è una vecchia idea di Giraudo, un progetto di Cobolli Gigli e Blanc, ma è Agnelli a dare impulso alla realizzazione e a tagliare il nastro, perché la sua Juve vuole essere un modello non solo sul campo: è la prima a pianificare un liceo su misura per i ragazzi delle giovanili, i cui impegni agonistici mal si sposano con i tradizionali orari scolastici, ad allestire il Museum, a istituire il J Medical, a fondare la squadra B, a investire con forza sulle Women, a costruire una cittadella dello sport attigua allo stadio.

     

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    Conte vince tre scudetti di fila, poi, all’alba della quarta stagione, per incomprensioni e frizioni sul mercato divorzia: la squadra che lui ritiene logora è in ritiro da un paio di giorni, c’è aria di sfiducia e sbando, ma il presidente e Marotta indovinano la mossa scegliendo Massimiliano Allegri: è inviso ai tifosi per il passato milanista, ma la società non si lascia condizionare, si comincia con le manate sul suv con cui varca i cancelli di Vinovo e si finisce in trionfo: ancora cinque campionati consecutivi, i sogni sfiorati a Berlino e Cardiff. È in questa fase, nella sua ultima parte, che qualcosa si rompe, che le intuizioni felici si intrecciano con gravi errori.

     

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    Forse comincia tutto con l’acquisto di Ronaldo, affascinante ma assai costoso: la Juve si espone troppo e perde quel virtuosismo economico che era andato di pari passo con le vittorie, l’optimum tecnico e insieme finanziario come ama ripetere Marotta. L’ad è perplesso su CR7 e ne sconsiglia l’ingaggio, probabilmente paga anche questo: anche il suo addio, datato 2018, pesa, lo dicono i fatti, da quel momento la Juve si smarrisce tra sprofondi economici – complice, giusto ricordarlo, la pandemia - e crisi tecniche: ancora uno scudetto con Maurizio Sarri, poi due coppe con Andrea Pirlo ingaggiato per l’Under 23 e promosso d’improvviso in prima squadra, poi nulla.

    agnelli marotta agnelli marotta

     

    Nessun ciclo può essere eterno, ma in questo caso influiscono scelte confuse: l’esonero del vincente Allegri, la rivoluzione estetica del Sarrismo rinnegata, il giovane rampante sacrificato, la restaurazione di Max che non risolve i problemi. Eppoi la nuova struttura societaria che prevede tre giovani ai vertici dei settori nevralgici, annunciata in pompa magna e azzerata dopo pochi anni con il ripristino della figura di un ad di lungo corso: Maurizio Arrivabene. E in mezzo il caso Suarez da cui la società esce pulita legalmente ma imbarazzata, le plusvalenze esagerate oggi al centro di un’inchiesta, il golpe fallito della Superlega. Un declino che graffia un ciclo bellissimo, comunque fatto di successi che passeranno alla storia.

     

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