Estratto dell’articolo di Sarah Martinenghi per “la Repubblica”
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Un errore clamoroso e fatale. Avvenuto in una casa di cura privata in collina tra le più prestigiose di Torino. Emerso grazie al coraggio e all’onestà di un’anestesista che si è rifiutata fino all’ultimo di modificare la realtà che aveva visto e ciò che aveva annotato nella cartella clinica. Una trasfusione di sangue.
Quando era arrivata di corsa a rianimare la paziente, una donna di 71 anni che stava entrando in arresto cardiaco, la dottoressa aveva notato che aveva l’ago infilato nel braccio e una flebo che le infondeva goccia a goccia una sacca di sangue.
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Il dramma è che Carla Raparelli quel giorno non aveva bisogno di alcuna trasfusione. E soprattutto che quel sangue non era compatibile con il suo.
Era destinato a un altro paziente, un uomo, ricoverato in un’altra stanza.
Ed è bastato un quarto d’ora per scatenare nella donna una gravissima reazione immunitaria che ne ha causato la morte.
L’indagine della procura è durata un anno: un infermiere e un medico devono rispondere per quello sbaglio gravissimo e letale. Omicidio colposo e falso ideologico in atto pubblico.
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Villa Maria Pia è considerata una struttura di eccellenza per gli interventi di cardiochirurgia. E Carla Raparelli l’aveva scelta per quello: doveva sostituire le valvole, otto anni dopo la precedente operazione. Era stata ricoverata il 23 febbraio 2023 e l’intervento era riuscito. Stava affrontando gli ultimi giorni di ricovero. La mattina del nove marzo si era svegliata con qualche linea di febbre. La figlia (tutelata come parte offesa nel procedimento dall’avvocato Fabrizio Bonfante) era stata avvisata, ma la situazione non sembrava destare troppa preoccupazione.
Poco dopo le dieci di sera invece una telefonata la informava che la madre «era gravissima». La corsa al Maria Pia Hospital era stata inutile.
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Al suo arrivo la madre era già morta «per insufficienza multiorgano da reazione emolitica intravascolare acuta da emotrasfusione AB0 non compatibile» si legge nell’atto di chiusura delle indagini del pm Giorgio Nicola.
L’inchiesta ha accertato che l’infermiere, 54 anni, di origine romena, alle 21,15 avrebbe applicato alla paziente la sacca di sangue destinata a un’altra persona, un uomo che aspettava, in un’altra stanza, di ricevere la sua seconda trasfusione, dopo una prima infusione iniziata alle 19,30. Il protocollo di sicurezza, che è nazionale, stabilisce che siano un medico e un infermiere a verificare la corrispondenza, tra sacca e paziente, e la compatibilità del gruppo sanguigno, oltre alla verifica dell’identità.
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Una procedura che quella sera sarebbe totalmente saltata. Dai documenti sanitari sequestrati infatti, il pm si è accorto che le firme sui moduli erano state apposte. Ma l’ipotesi dell’accusa è che siano state messe in anticipo, senza alcuna reale verifica e senza quel “match” tra sangue e paziente che deve avvenire al suo capezzale, rimanendo prese nti per almeno un quarto d’ora proprio per verificare che non insorgano problemi di sorta.
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I tabulati telefonici dimostrerebbero che mentre Carla Raparelli (che era 0 positiva) alle 21,15 riceveva la trasfusione di sangue (di gruppo B positivo), il cardiochirurgo, di 42 anni, non sarebbe stato nemmeno più presente in clinica.
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