Mario Sconcerti per corriere.it
ROBERTO MANCINI
La verità è che abbiamo smesso di giocare bene. Ventura si difendeva, Mancini rovesciò il concetto e inventò un calcio elettrico, quasi sarriano, di tanti passaggi svelti. Avevamo una squadra non fisica ma di buona qualità, sapevamo pensare in fretta, era il nostro contropiede. Il piacere dell’idea portò risultati e i risultati portarono fiducia. Diventammo una squadra diversa.
Oggi non basta saper essere squadra se giochi come giocano gli altri. Noi prendevamo il calcio alla rovescia, attaccare con tutti e disorientare l’avversario con la velocità e la brevità delle linee di passaggio. Questo ci portò al titolo europeo. Da settanta giorni e sette partite abbiamo smesso di giocare così. Oggi siamo tornati a giocare come gli altri, è finita la differenza.
ROBERTO MANCINI
Perché è finita? Per tanti motivi, alcuni non risolvibili, ma essenzialmente due: perché veniamo da un risultato raggiunto e perché non abbiamo più la voglia e la forza di giocare ancora quel calcio molto faticoso, tutto scatti e rincorse. Ma quel calcio era stata l’unica parentesi felice dentro un percorso di crisi cominciato molto tempo prima. Negli ultimi due Mondiali giocati siamo usciti al primo turno. All’ultimo Mondiale non siamo stati ammessi, adesso siamo tornati a rischiare. Con i club non vinciamo un titolo dall’Inter di Mourinho, 2010. Nel frattempo gli altri paesi hanno mandato decine di loro giocatori nei grandi campionati degli altri. Questo ha alzato la qualità delle loro nazionali.
Oggi squadre come Scozia, Polonia, Austria, Norvegia, Serbia, Albania, Svizzera, Finlandia, Svezia sono avversari ufficialmente scomodi per tutti, a volte non superabili. In Italia nel frattempo abbiamo fatto due volte l’opposto: non mandiamo giocatori all’estero e ci siamo riempiti di stranieri. Il calcio italiano è soffocato dagli stranieri, sono ormai quasi sette ogni dieci giocatori.
bonucci chiellini pastasciutta
Per molto tempo abbiamo dato la colpa a Immobile, manca il centravanti gridavamo. Poi guardi il problema dall’alto e scopri che l’unico centravanti italiano nelle prime dieci squadre italiane è Immobile, gli altri sono tutti stranieri. Restano due ragazzi, Raspadori e Scamacca, un isolato, Pinamonti, e due vecchi, Quagliarella e Caputo. Per inciso il giovane Lucca del Pisa ha smesso di segnare non appena tutti sono andati a scoprirlo.
Non abbiamo però nemmeno più numeri dieci, qualcuno che sappia rifinire il gioco. Forse Pellegrini. Non abbiamo più registi, infatti non sappiamo sostituire Jorginho. Abbiamo tre difensori centrali di 37, 34 e 33 anni. Niente alle loro spalle. In questi due ultimi mesi abbiamo fatto molto più che mancare la qualificazione ai Mondiali, abbiamo ucciso sportivamente la nostra ultima generazione.
Ora siamo soli. L’altra domanda è perché non nasca più la vecchia, grande, qualità italiana. L’interruzione è così netta da doverla mettere per forza in sintonia con il cambiamento di abitudini dei giovani, l’arrivo della Rete, i telefonini, con tutte le loro conseguenze. C’è una cultura complessiva diversa del calcio. Una squadra non rappresenta più una città, ma la voglia personale di vincere di chi la segue. C’è più rabbia che piacere.
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E la comunicazione è sempre più di parte. Non è più un mondo comune, orizzontale. Le società sono persone estranee, non comunicano più, non parlano alla loro gente. Ma i tesserati restano gli stessi e sono oltre il milione, i campioni dovrebbero continuare a nascere. Qui si entra nella parte più resistente e grigia del calcio: è solo autoreferente. Parla da solo. Non si confronta.
I bambini-ragazzi vengono messi in mano alle scuole calcio dove pagano per poter giocare. Il talento è sacrificato alla quota, giocano tutti perché tutti hanno pagato. Hanno diritto, quindi manca la selezione iniziale. Lo sport non è democratico, democratico è muoversi, poi giocano i migliori. E nessuno certifica, esamina, seleziona, la capacità dei settemila insegnanti.
La stessa Coverciano è una chiesa chiusa. Entrano solo ex calciatori, i corsi sono brevi, la visione del mondo non si allarga mai. Mancini aveva portato fantasia, rivolta, in questo calcio automatizzato e rigido per autoconservarsi. Infatti nel calcio lo amano in pochi. Ma conosce ancora la strada?
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