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    TOSCANIZZARE LA LIBIA! - L’EX CAPO DELLE RELAZIONI ISTITUZIONALI DI ENI, LEONARDO BELLODI, POTREBBE ESSERE IL NUOVO AMBASCIATORE ITALIANO A TRIPOLI - DOVRÀ SBLOCCARE GLI AFFARI IN STALLO SU PETROLIO, ENERGIA E COMUNICAZIONI - E DI CHI È SOCIO IN AFFARI BELLODI? DI MARCO CARRAI!


     
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    LEONARDO BELLODI LEONARDO BELLODI

    Camilla Conti per “il Giornale”

     

    Matteo Renzi è pronto alla campagna di Libia: vuol riavviare il trattato di amicizia siglato da Berlusconi con Gheddafi nel 2008 e auspica la riapertura delle sedi diplomatiche italiane a Tripoli «al più presto». È stato questo, in sintesi, il risultato dell' incontro di lunedì tra il premier e il primo ministro libico (designato) Fayez al Serraj.

     

    Ma chi sarà l'«ambasciatore» renziano a Tripoli? Fonti romane puntano il dito su Alessandro Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali dell' Eni. Che all' inizio di quest'anno ha fondato Cys4, una spa dedicata alla sicurezza informatica, insieme al ricercatore digitale Andrea Stroppa e a un altro esperto di start up tecnologiche che della nuova società è diventato presidente oltre ad esserne azionista: un certo Marco Carrai, presidente degli aeroporti toscani ma soprattutto amico fidato del premier.

    RENZI CARRAI RENZI CARRAI

     

    La missione è quasi impossibile: va sbrigliata la matassa geopolitica, bisogna sbloccare gli affari ingolfati e tesserne di nuovi. Non si tratta, infatti, solo di mettere in campo strategie di supporto alla stabilizzazione del Paese in chiave anti Isis o per fronteggiare l' emergenza migranti. In ballo ci sono gli affari beduini: dal petrolio dell' Eni (delle oltre 20 compagnie petrolifere tornate a operare in Libia, il primato di maggior produttore di idrocarburi resta saldamente in quota al Cane a sei Zampe, con 300 mila barili al giorno) alle infrastrutture passando per l' energia e le telecomunicazioni.

     

    MARCO CARRAI MARCO CARRAI

    E c' è anche un problema di partecipazioni «congelate». Sì perché quel che resta dell'antico impero finanziario libico, stando ai documenti ufficiali più recenti, ha ancora un piede nel capitale di alcune importanti società italiane. Con 2,46 miliardi di dollari, gli investimenti in Italia del fondo sovrano libico Lia (Libyan Investment Authority) costituiscono il 30% circa del portafoglio azionario del fondo. Lia ha quote inferiori al 2% in Eni, Enel, Finmeccanica, Fca e Juventus.

     

    Ma la scommessa più importate è stata quella fatta su Unicredit di cui è azionista con circa l' 1,25% che sommato al 2,9% della Banca Centrale libica porta la quota in mano al paese nordafricano al 4 per cento. A giugno l' amministratore delegato della banca, Federico Ghizzoni aveva definito la partecipazione «in effetti bloccata».

    generale khalifa haftar generale khalifa haftar

     

    Ancora più complicata è la gestione del pacchetto posseduto nel capitale dell' operatore in fibra Retelit che fornisce servizi di tlc per l' esercito americano nelle basi a Napoli, Vicenza e Aviano, gestisce circa 9.000 chilometri di cavi in fibra ottica, nove reti metropolitane in Italia e 18 data center e soprattutto è quotata a Piazza Affari dal 2000. Ebbene, le due fazioni libiche che si battono per il controllo del Paese si stanno sfidando affinché in un tribunale del Lussemburgo per la proprietà della società italiana.

     

    Il giudice ha autorizzato il sequestro della partecipazione del 15% posseduto dalla Compagnia di Stato libica di poste, telecomunicazioni e Information Technology. Sia Tripoli che Tobruk rivendicano la proprietà di Lptic che è anche socio al 45% della joint venture Sirt con l' Italiana Sirti (al 55%). Il problema insomma è capire chi controlla o controllerà, in mezzo al caos, le quote libiche rimaste in pancia alle big tricolori. Alla comunità degli affari manca un quadro chiaro delle strategie e soprattutto l' interlocutore.

    LO SCHIANTO SUL PALAZZO DI TOBRUK LO SCHIANTO SUL PALAZZO DI TOBRUK

     

     

     

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