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    ECCO COME LA CRISI CI HA RESO PEGGIORI - GLI ITALIANI SONO DIVENTATI PESSIMISTI E SI SONO INCATTIVITI VERSO IL PROSSIMO, A PARTIRE DAGLI STRANIERI (ANCHE EUROPEI) - SMARRITA LA FIDUCIA NEL FUTURO, NON SI RICONOSCONO PIÙ MITI E DIVI - I MATRIMONI SONO DIMINUITI DEL 17,4%, LE SEPARAZIONI SONO AUMENTATE DEL 14%, BOOM DEI SINGLE - IL RAPPORTO CENSIS: “OGGI PREVALGONO COSCIENZA INFELICE E SPERANZA SENZA COMPIMENTO”


     
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    Alessandra Arachi per www.corriere.it

     

    rabbia repressa rabbia repressa

    C’è una parola chiave che il Censis sceglie quando presenta il suo rapporto annuale. Quest’anno è: la cattiveria. E viene dopo il rancore del 2017. Ci rende cattivi l’economia che non decolla, il patto sociale che si è rotto, l’ascensore sociale che non funziona: meno di un italiano su 4 (il 23%) pensa di avere una situazione socio economica migliore di quella dei propri genitori.

     

    Di più: il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle con basso reddito sono convinte che la loro condizione non cambierà mai. Così come il 56,3% di tutti gli italiani pensa che le cose nel nostro Paese non sono affatto cambiate. Ed è difficile farle cambiare quando abbiamo smarrito anche i miti, gli eroi, forse anche i santi. Un italiano su due (il 49,5%) è convinto che chiunque può diventare famoso, basta internet, e dunque i modelli a cui ispirarsi non servono più.

    giovani e rabbia giovani e rabbia

     

    NON CRESCONO I SALARI

    Forse basterebbe un solo dato a riassumere la crisi di un’Italia dove l’economia non soltanto non decolla ma è stagnante da davvero tropo tempo: in 17 anni il salario medio degli italiani è aumentato di 400 euro l’anno, che poi sarebbero 32 euro se calcolati su 13 mensilità. Un paragone con i vicini europei? In Francia nello stesso lasso di tempo si sono trovati oltre 6 mila euro in più l’anno, in Germania quasi 5 mila.

     

    PESSIMISTI E OSTILI

    rabbia da traffico rabbia da traffico

    E’ facile capire come tutto questo generi un pessimismo che si è strutturato negli anni, il Censis ci dice che oggi più di un italiano su tre, il 35,6% è pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura e soltanto il 33,1% ha un po’ di ottimismo. Facile capire anche come a fronte di tante difficoltà venga spontaneo cercare un capro espiatorio. C’è un’ostilità diffusa verso lo straniero nel nostro Paese: più di sei italiani su dieci (i l63%) la dichiara apertamente, contro il 52% della media europea. Di più: in Italia il 45% è ostile anche verso gli immigrati comunitari, e quasi il 60% è convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse.

     

    I POLITICI TUTTI UGUALI

    Siamo cattivi e disincantati, dunque. Non solo miti e santi, ma nemmeno ii politici ci ispirano più: per il 49,5% degli italiani i politici sono semplicemente tutti uguali , ma questo purtroppo lo pensa il 73 dei giovani under 35. Del resto lo si vede nelle urne: in cinquanta anni, dal 1968 ad oggi, gli astensionisti si sono triplicati (passando dall’11,3% al 28,4%) e oggi sono un popolo di 13,7 milioni alla Camera e 12,6 milioni al Senato.

    rabbia rabbia

     

    UN MONDO DI SINGLE

    Ci si sposa sempre meno e ci si separa sempre di più. Insieme al patto sociale, l’Italia registra la rottura delle relazioni affettive stabili. Dal 2006 al 2016 i matrimoni sono diminuiti del 17,4% e le separazioni sono aumentate del 14%. Aumenta la «singletudine»: le persone sole non vedove negli ultimi dieci anni (dal 2007 al 2017) sono aumentate del 50% e oggi sono più di 5 milioni.

     

    «LAVORO LAVORO LAVORO»

    «Abbiamo visto sfiorire la ripresa e l’atteso cambiamento miracoloso non è stata una palingenesi», dice Massimiliano Valerii direttore generale del Censis, spiegando come l’Italia sia anche «orfana di una narrazione forte entro la quale costruire la nostra identità e radicare il nostro benessere». Oggi purtroppo prevalgono «una coscienza infelice, una speranza senza compimento». E Valerii si chiede: da dove e da cosa ripartire, per poi rispondersi, senza alcun dubbio: «lavoro lavoro lavoro».

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