Walter Galbiati per “La Repubblica”
GIANNI ZONIN E VINCENZO CONSOLI
«Se uno ha bisogno di soldi per comprare le azioni, gliele finanziamo». Parola di Vincenzo Consoli. Il sistema per mettere le mani sulle banche popolari, dove una testa equivale a un voto, è un leit motiv. Con una mano finanziare i soci, sia grandi che piccoli, per comprare azioni e ottenere il consenso, con l'altra fidelizzare i dipendenti- azionisti con bonus e promozioni.
VINCENZO CONSOLI
Un copione scritto in modo seriale come quei romanzi gialli o rosa che si comprano in edicola: generi che non tramontano mai e che nella ripetitività della trama trovano la loro rinnovata forza, da Lodi a Vicenza, da Milano a Montebelluna. Basta un amministratore delegato maneggione e con una buona dose di pelo sullo stomaco per diventare il faro di azionisti e creditori nell'assenza di un socio di controllo forte e nella inefficienza dei sistemi di vigilanza. Banca d'Italia abbassa la guardia quando l'istituto si schiera tra i sostenitori del sistema, mentre i controlli interni vengono ammansiti con incarichi ad amici e ricompense.
VINCENZO CONSOLI
La Veneto Banca di Vincenzo Consoli era tutto questo. Lui, di Matera, è diventato il faro di un istituto di una delle regioni più leghiste d' Italia partendo dal basso. E nei momenti di difficoltà è stato perfino benedetto dal governatore Luca Zaia. La sua carriera parte nella filiale di Torri di Quartesolo in quella che allora si chiamava Banca Popolare di Asolo e Montebelluna. Qui il ragionier Consoli approda nel 1989, dopo essere cresciuto nel Credito italiano, a Biella, in Piemonte, la regione in cui era emigrato suo padre muratore.
In meno di dieci anni diventa prima direttore generale e poi amministratore. Con a fianco Flavio Trinca (commercialista, già assessore a Montebelluna e deputato Udc) è tanto abile da far convergere i voti dell' assemblea su di sé fino al 2015, quando solo la pressione della Bce e le inchieste in corso lo costringono a malincuore a lasciare la poltrona.
Veneto Banca
Consoli ha in testa un disegno: trasformare il piccolo istituto di provincia in un polo nazionale. Le prede principali sono la Banca Popolare di Intra, BancApulia, Carifac e la Bim: 570 sportelli con oltre 6.500 dipendenti. Una cavalcata avvenuta nel silenzio-assenso di Banca d' Italia, diventata critica nei confronti di Consoli a partire dalla relazione ispettiva del 2013.
VINCENZO CONSOLI
Il bilancio del 2014, riveduto e corretto, svela i buchi di Consoli: la perdita è di quasi un miliardo, l' anno successivo di poco meno di 900 milioni. Dettagli che non lo hanno spinto a dimettersi e nemmeno a tagliarsi lo stipendio di 3,6 milioni di euro annui.
Lungo la sua strada Consoli ha avuto modo di stringere diverse amicizie, quelle che riescono a ottenere chi apre e chiude i cordoni della borsa. Nel libro soci o tra i finanziati sono passati i cognomi Amenduni, Benetton, Folco, Moretti Polegato, Zoppas, Stefanel e gli immobiliaristi Bellavista Caltagirone, Casale e Statuto.
La rete di potere di Consoli passava anche attraverso la partecipazione di Veneto Banca in Palladio, titolare a sua volta del 4% di Generali. La piccola finanziaria del Nord Est, al suo apice era guidata dal duo Giorgio Drago e Roberto Meneguzzo, e contava attraverso l' ex guardia di Finanza, Roberto Milanese, sulla simpatia di Giulio Tremonti. Lo scandalo del Mose di Venezia ha poi cambiato tutto.
veneto banca 2
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Di politica, Consoli poteva parlare con il conduttore televisivo Bruno Vespa, già azionista di Veneto banca per oltre 6 milioni di euro, ma capace di fuggire prima del crollo. Vespa, che ha smentito di aver ricevuto - come denunciato dalla Banca d' Italia- fondi per acquistare azioni del gruppo di Montebelluna, e il banchiere, tramite la moglie, hanno investito insieme in un' azienda vinicola in Puglia, dove si produce del Primitivo di Manduria. Da solo, invece, ma con i fidi agevolati della banca, Consoli si è comprato un palazzo nel centro di Vicenza . Ora sotto sequestro.