Luca Fazzo per “il Giornale”
BATACLAN MATTANZA
«Se ne stanno lì, nell' ufficio della preside, con le orecchie basse», racconterà poi la preside, Nicoletta Pizzato. Ma ormai il disastro è fatto. E questi sei ragazzini di prima superiore si ritrovano a incarnare un tipo umano che in questi giorni viene guardato a vista: quello che non si indigna abbastanza, che sottilizza troppo, che si fa troppe domande, in un momento in cui il Vecchio Continente viene chiamato a sollevarsi compatto contro l' offensiva islamica.
Alla mobilitazione, sotto la forma un po' rituale di un minuto di silenzio, questi sei liceali hanno risposto facendo delle domande. E siccome le risposte non sono arrivate, sono usciti dalla classe. Si sono dissociati dal cordoglio. Anzi, titola il quotidiano locale, la Prealpina, lo hanno «boicottato».
scuola Daverio Casula
La scuola è il Daverio-Casula, un mastodonte nel centro di Varese, tre indirizzi di studio, milletrecento studenti, in buon parte stranieri o di origini straniera, di etnie disparate.
Per rendersene conto basta aspettare le 13,15 di ieri, quando suona la campanella e l' ondata si abbatte sui marciapiedi. Bianchi, gialli, neri. Arabi?
Anche, certamente. Anche ragazze velate. «Ci hanno ordinato di non dire niente, comunque le cose non sono andate come si racconta», dice uno studente del consiglio d'istituto. Perché sia scattata la consegna del silenzio non è dato capire, se davvero non c'è niente da nascondere. Due ragazze arabe, alte, belle, una col hijab, l' altra con i capelli sciolti: «Sì, sono uscite dalla classe, ma il motivo è più complesso».
Quale? Scivolano via. Tutto accade alle 11 in punto di lunedì scorso, quando al Daverio-Casula, come in tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado, su ordine del ministro dell' istruzione Stefania Giannini, suona la campanella. Tutti in piedi per il minuto di silenzio che deve commemorare le vittime dell' ondata jihadista che si è abbattuta su Parigi.
stefania giannini al mare 8
«Forse ho sbagliato io - dice ora la preside Pizzato - avrei dovuto chiedere ai docenti di parlare con i ragazzi prima che la campanella suonasse, ragionare con loro, preparare l' evento». In tutta la scuola, i ragazzi si alzano dai banchi: chi spende il minuto meditando, chi pregando, chi pensando ai fatti propri. In Prima X, invece, succede qualcosa.
È una classe dove la percentuale di stranieri è alta. Ma a prendere la parola, a mettere in discussione il minuto di silenzio, non sono solo alcune ragazze col velo. Ci sono anche studenti italiani. Nessuno di loro difende gli attentatori del Bataclan o dello Stade de France. Ma chiedono: «Perché commemoriamo solo questi morti? Cosa hanno di speciale rispetto alle vittime di altri massacri?».
FUGA DALLO STADE DE FRANCE 54
La domanda è scivolosa, ma loro non lo sanno. «In fondo - spiega ieri uno degli investigatori che si sta occupando del caso - hanno detto le stesse cose di Crozza». Di Crozza e non solo, verrebbe da dire, tanto nutrito è il popolo di chi nega che a Parigi venerdì scorso sia avvenuto qualcosa di irrimediabilmente diverso dagli orrori che il pianeta vive quotidianamente.
«Volevano sapere qual è il discrimine tra un episodio piuttosto che un altro cui dedicare un minuto di silenzio», racconta la preside, «facevano l' esempio del jet russo». E di fronte all' assenza di risposte, i sei lasciano la classe. Gesto spontaneo, o gesto preparato? Se lo chiede la Digos di Varese, che indaga: non perché il mancato cordoglio sia un reato, ma per capire quale retroterra abbia potuto produrre una scelta così drastica.
il passaporto di ahmad almohammad ritrovato allo stade de france
La comunità islamica del posto ieri sfila con le fiaccole contro il terrore, ma in passato non è sempre stato così: qui predicava l' imam Zergout Abdelmajid, arrestato nel 2008, da qui lanciava i suoi proclami di combattimento l' operaio Oussama Kachia, espulso nel 2013. Ma dietro i sei ragazzini del Daverio-Casula, dicono i primi accertamenti, ci sono solo famiglie normali.