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    “PERFINO GEORGE HARRISON, UNA VOLTA, MI RACCOMANDÒ DI ANDARCI PIANO CON LA COCA” - ELTON JOHN CONFESSIONS: “IO HO ROVINATO LA VITA DELLE PERSONE CHE AMO, PER UN CERTO PERIODO. MIA MADRE MI ODIAVA, I MIEI AMICI MI EVITAVANO: ERO ARROGANTE E INSOPPORTABILE - PERCHÉ MI DROGAVO, ANCHE SE AVEVO TUTTO? GLI ARTISTI NON HANNO MAI TUTTO…”  - ECCO COSA FARÒ SCRIVERE SULLA MIA TOMBA - VIDEO


     
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    Massimo Cotto per il Messaggero

     

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    Non era previsto che parlassimo di quell'argomento. Iniziammo parlando di canzoni. Gli citai Truffaut, «i film sono come la vita, ma senza tempi morti e senza ingorghi, avanzano come treni nella notte». Gli chiesi che cosa fossero le canzoni.

     

     «Le canzoni sono momenti che attraversano la mia esistenza. Sono importanti, un veicolo che trasmette le mie emozioni - come potrei comunicare con la gente, altrimenti? - ma non sono tutto. Se lo fossero, vorrebbe dire che nella mia vita c'è qualcosa che non funziona».

     

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    Citò il suo vecchio amico Gianni Versace, assassinato quattro anni prima. «Mi raccomandava sempre di assorbire la bellezza della vita come una spugna: mi mostrava come scoprire la meraviglia nelle chiese, in strada, in campagna. Assorbire la bellezza e trasformarla in arte. Questo faceva lui, questo cerco di fare io. Rubo la felicità a ogni singolo giorno, in attesa di sapere quando arriverà il mio, spero il più tardi possibile».

     

    Poi, da un vecchio ricordo d'infanzia, l'intervista prese lentamente una piega diversa e fu lui a dargliela. Io non lo spinsi in nessun modo. «Da piccolo, quando i miei genitori litigavano, fuggivo nella mia stanza per ascoltare dischi o la radio o suonare il piano. Da quando ho tre anni, la musica è la mia compagna di vita, mia moglie, la prima fidanzata, il primo fidanzato.

     

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    Nei momenti di dolore e peggior tristezza, mi ha accompagnato e, nei limiti del possibile, curato le ferite. Quando mi drogavo, nel periodo peggiore, ovvero quando ero perfettamente consapevole di dove stavo scivolando, una canzone mi è servita a resistere: Don't Give Up, di Peter Gabriel e Kate Bush. La ascoltavo e continuavo a ripetere ad alta voce: Non mollerò, non getterò la spugna. E piangevo, piangevo fino a non avere più lacrime. Vedi, gli altri possono dire quello che vogliono, ma la musica è ancora un veicolo di liberazione e catarsi».

     

     

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    Gli dissi, riprendendo le sue parole, che gli altri possono dire quello che vogliono, ma l'idea che un uomo non debba piangere perché non deve mostrare debolezza, a me sembrava una solenne sciocchezza.

     

    Si alzò in piedi e mi abbracciò. «Io piango in continuazione. Quando vedo film tristi o ascolto musica malinconica o splendida. Non riesco a sentire le Variazioni Enigma senza commuovermi. Piango davanti a una fotografia, a un quadro. Piango molto, forse troppo. Amo le lacrime. Mi fanno piangere». E giù una risata.

     

    L'ILLUSIONE Da quel momento, fu una confessione più che un alternarsi di domande e risposte. Elton John diventò torrente. «Io ho rovinato la vita delle persone che amo, per un certo periodo. Mia madre mi odiava, i miei amici mi evitavano: ero arrogante e insopportabile. Perché mi drogavo, anche se avevo tutto? Gli artisti non hanno mai tutto, sono gli altri che lo credono.

     

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    All'inizio, la cocaina mi dava eccitazione, esaltazione, gioia. Il danno peggiore che mi ha provocato è stata l'illusione che il mio lavoro, in quel periodo, fosse davvero valido. Va detto che è stata una fortuna che io abbia continuato a suonare. Non l'avessi fatto, ora sarei morto, perché avrei passato tutto il tempo a sniffare. Sono andato in tour ogni anno, e ogni anno sono salito sul palco... anche se non ricordo niente di quel che ho fatto sul palco!».

     

    Immagino non sia facile venirne fuori, dissi. «Solo riflettendo sui miei sbagli, sono riuscito a trasformarmi da quel che ero un alcolizzato che passava la notte a bere, un tossico che consumava quantità sconsiderate di cocaina, tanto che perfino George Harrison, una volta, mi raccomandò di andarci piano in un essere umano.

     

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    Ho imparato ad ascoltare, a seguire i consigli della gente, a pensare che non ero l'unico depositario della verità, perché nessuno possiede questo dono; ho imparato a chiedere scusa e a chiedere aiuto. Il drogato tarda a disintossicarsi perché è convinto di essere in grado di venirne fuori da solo. La droga devasta anche le persone intelligenti. Prima di iniziare a drogarmi pensavo: hai scalato fino alla cima ogni gradino, sei diventato qualcuno, hai una forza di volontà tale da sradicare un albero, vuoi non essere capace di lasciare la cocaina quando vuoi? E invece ho dovuto chiedere aiuto».

     

    LA RINASCITADa lì, per Elton John, è stata rinascita. Un rapporto ritrovato con Bernie Taupin, il suo storico paroliere, e con il pubblico. E il successo ritorna a essere clamoroso. Gli chiesi se il successo l'avesse più viziato, nutrito, aiutato o danneggiato. Fu l'unica domanda alla quale non rispose di getto.

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    Ci pensò su, poi disse: «Un po' di tutte queste cose. Mi ha ispirato e aiutato a incontrare persone meravigliose, ma mi ha anche reso egoista, intrattabile e insopportabile, perché pensavo che tutto mi fosse concesso. Il successo ti trasforma in un mostro. La maggior parte degli artisti lo è. Ho sperimentato tutto e lo sperimento ancora, ogni giorno. La mia vita è stata una bellissima, surreale corsa sulle montagne russe, densa di riconoscimenti e ricompense che, però, solo ora che sono disintossicato, sono in grado di apprezzare».

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    Prima di chiudere, gli chiesi il permesso di una domanda cretina. Rispose: «Sia la benvenuta dopo tanta serietà». Dissi: cosa farà scrivere sulla sua tomba? Elton John rise fragorosamente, poi rispose: «Il numero della mia carta di credito! Ho il terrore di rimanere senza soldi. Metti che nell'aldilà ci siano cose belle da comprare e io rimanga senza contanti!».

     

     

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