Cesare Giuzzi e Gianni Santucci per www.corriere.it
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L’ultimo luogo che racconta la storia di Enzo Anghinelli è un box, il numero «59», al secondo piano sotterraneo del parcheggio «Fratelli Bandiera», nella piazza che porta lo stesso nome, tra via Gustavo Modena e via Poerio, uno degli angoli più eleganti della zona corso Indipendenza. Nella stessa piazza, a mezzogiorno del 6 aprile 2018, gli uomini in borghese del Goa (l’antidroga della Guardia di Finanza) osservano Anghinelli seduto a un bar con Eduart Mecani, 51 anni, grosso trafficante albanese.
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Pochi minuti dopo i due si spostano, salgono sulla Volkswagen Golf di Mecani e entrano nel parcheggio. Gli investigatori li seguono a distanza e «agganciano» il box: nel cuore della notte del 17 aprile tornano e lo riempiono di microfoni e telecamere. Per oltre tre mesi, gli obiettivi riprenderanno traffico, spaccio e confezionamento di marijuana, hashish e cocaina. È la cronaca filmata e registrata dell’ultimo «covo» e dell’ultima stagione nella parabola criminale di Anghinelli.
Il Corriere può raccontare quei tre mesi di inchiesta attraverso gli atti giudiziari depositati dal Goa in un fascicolo del pm Angelo Renna. Tutti atti che sono ora transitati nell’indagine della Squadra mobile della polizia, alla ricerca di una traccia per capire chi abbia tentato di uccidere Anghinelli alle 8 del mattino di venerdì scorso, in via Cadore, zona Porta Romana.
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Quarantotto ore dopo l’intervento notturno della Finanza, quelle telecamere iniziano a «parlare»: intorno alle 16 del 19 aprile Anghinelli entra nel box con la sua Ford Focus nera (la stessa sulla quale subirà l’agguato), posa una bilancia sul pavimento, pesa quattro pacchi di marijuana (8 chili in totale) e se ne va. Gli uomini del Goa partono con accertamenti immediati.
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L’auto del trafficante ha già un Gps e così si scopre che un’ora prima si trovava nel parcheggio del centro commerciale del Portello. Sulle telecamere di sicurezza è rimasto impresso anche il passaggio di un furgoncino. La targa porta al trafficante albanese: e al Portello è avvenuto lo scambio, la consegna di droga. Da quel giorno i finanzieri staranno dietro anche a Mecani, fino a sequestrare 206 chili di marijuana che l’uomo farà arrivare da Barcellona il 28 aprile.
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Le osservazioni nel box nel frattempo proseguono. E raccontano l’attività di due amici e complici di Anghinelli che in prevalenza curano l’«ufficio». Entrano, prelevano per la distribuzione, sistemano, pesano col bilancino, preparano le palline da 0,45 grammi di cocaina: in base alle ordinazioni che ricevono o al volume di spaccio che prevedono a seconda delle giornate. Il 29 giugno, ad esempio, Matteo Pozzi e Mauro Quaglia, con una terza persona, maneggiano 120 grammi di cocaina. Queste le battute registrate dai microfoni: «Figa... mica dobbiamo stare lì a imbustarla tutta quella roba...». «Ma va... 2 o 3». «Dieci grammi».
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Alle 14 del 10 luglio 2018 gli uomini del Goa scendono nel parcheggio di piazza Fratelli Bandiera mentre uno dei complici (che verrà arrestato) sta aprendo il box: all’interno sequestrano una busta di cellophane con 70 grammi di cocaina, più tre sacchetti dell’Esselunga e un paio di scatole d’acciaio che contengono 3 chili e mezzo di hashish.
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Pochi giorni dopo, attraverso un’«ambientale» in macchina, gli investigatori sentono Anghinelli che si rivolge direttamente a loro: «Da lunedì mattina, io alle 6 sono in via Fabio Filzi a controllarvi». E in effetti nella mattinata del 17 luglio lo vedono arrivare con una bicicletta bianca e fermarsi «in osservazione» proprio di fronte alla caserma della Finanza. Per questa inchiesta è già iniziato il processo, nel quale Anghinelli è difeso dall’avvocato Alessandro Verga Ruffoni, che ieri col Corriere non ha voluto commentare la vicenda, limitandosi a ribadire che il suo cliente «non ha mai collaborato in alcun modo con l’autorità giudiziaria» e che è «ormai lontano» da affari che possano giustificare un’azione così drammatica.
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