Leonardo Martinelli per lastampa.it
eric cantona
Si intitola «Voyageur» ed è una serie tv iniziata l’anno scorso e trasmessa da France 3, canale pubblico francese. Solo poche e lunghe puntate, quattro finora. Il «viaggiatore» è un uomo sulla cinquantina, barbuto, fisico ancora solido, tatuato, alto un metro e 88. Viaggia su un furgone riadattato. È un poliziotto isolato, brusco e sensibile, che riesce a risolvere i casi più squallidi della Francia profonda (quella dei gilet gialli, tanto per intendersi). L’interprete si chiama Éric Cantona.
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Forse in tanti, almeno in Italia, si erano persi le ultime puntate di King Éric. Erano rimasti a quel 25 gennaio del 1995. Lui era allora la star del Manchester United, con il suo gioco di finte a ripetizione e accelerazioni brutali. Durante quella partita, al Crystal Palace, nella periferia sud di Londra, Cantona (chiassoso, senza filtri, istintivo, efficace) era stato espulso. La tensione saliva: si stava allontanando, quando uno spettatore gli gridò: «Bastardo francese, figlio di puttana». In pochi secondi lui lo raggiunse e gli assestò una mossa da kung fu. Gamba destra tesa, un colpo terribile.
CANTONA
Per il giocatore scattarono nove mesi di squalifica (e 120 ore di servizi sociali). Fu in quella pausa imprevista che lui interpretò un primo piccolo ruolo in un film, «La felicità è dietro l’angolo», di Etienne Chatiliez. Lo notarono e iniziò una nuova carriera, accelerata quando abbandonò il calcio (era ritornato nel frattempo a vincere, genio del pallone, ancora per il Manchester United, fino al 1997).
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Finora, solo per il cinema, ha recitato in venticinque film, compreso «Looking for Eric» di Ken Loach, nel 2009 (dove ha interpretato sé stesso). Oggi vive a Lisbona con Rachida Brakni, attrice e regista francese, figlia di due immigrati algerini (e analfabeti). Hanno avuto due figli (di 9 e 12 anni), che si aggiungono ad altri due più grandi avuti da Isabelle, la prima moglie. Rachida ed Eric ritornano di continuo in Francia, per girare, spesso anche insieme.
Lui è allergico alle interviste, ma ne ha data una (breve) pochi giorni fa al Figaro per spiegare perché l’ultima puntata di «Voyageur», lo scorso primo giugno, è stata pure l’ultima con lui (ma la serie, un grosso successo, continuerà). «Avevo paura di diventare prigioniero del personaggio. Ho voglia di esplorarne altri – ha detto -. Sono sempre alla ricerca di cose eccitanti. Ho bisogno di libertà». Thomas Bareski, il poliziotto strambo di «Voyageur», «è ispirato a un mio prozio, che faceva l’eremita nell’Ardèche, nel Sud della Francia. Non l‘ho mai conosciuto, ma è da sempre il mio idolo».
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Pensando a Rachida, che ha incontrato su un set, dice che fare lo stesso mestiere è solo un vantaggio, «condividere la medesima passione nell’amore, è soltanto felicità». Uomo poliedrico, vuole adesso lanciarsi in nuovi documentari, dopo quello che aveva realizzato sulla rivalità tra i tifosi dei diversi club di Rio de Janeiro («Looking for Rio», 2014).
«Attraverso lo sport – dice – si può raccontare tutto, anche la storia, la politica». Durante i confinamenti, l’anno scorso, si è messo addirittura a suonare la chitarra. Ha già scritto canzoni, fotografa (la tauromachia e i senzatetto incontrati per strada sono i suoi soggetti preferiti), dipinge (tele espressioniste, colorate, piene di fuoco: il padre era già un pittore dilettante), disegna (ispirato dall’art brut).
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Con Rachida condivide anche un certo impegno sociale e politico, come per il diritto a un alloggio o la liberazione del popolo palestinese («Se ci siamo incontrati, non è un caso», ha detto lei). Éric è nato a Marsiglia il 24 maggio 1966, ma se ne andò via di casa già a 15 anni, a giocare in Borgogna. Poi all’Olympique de Marseille (Om) con Bernard Tapie presidente (che litigate!). Si rifarà un nome in Inghilterra, dopo una di quelle sue crisi ripetute, seguite da rilanci inaspettati. Il calcio lo guarda ancora, eccome. Su Twitter ha pure commentato positivamente le partite dell’Italia agli Europei: «Amo questa squadra».
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