dick fosbury
Estratto da dagospia.com
(…) Baricco. “Uno strappo culturale. Fosbury con il suo salto in alto illogico e pericoloso a Città del Messico nel '68 rivoluziona l'atletica leggera. Un cambiamento d'epoca. Come accade nell'estate del '90 con Kate Moss…”
FOSBURY
Estratto dell’articolo di Emanuela Audisio per la Repubblica
Anche lui nel ’68 aveva fatto la rivoluzione. Scherzava dicendo che ai Giochi di Città del Messico saltando all’indietro aveva fatto fare un grande passo avanti all’umanità. Verso il futuro. Lo stesso che l’America avrebbe fatto l’anno dopo andando sulla luna.
Se il mondo è andato in alto lo si deve a lui, all’americano Dick Fosbury, un tipo umile, e al suo salto del gambero (traduzione non corretta). Già il Fosbury Flop, come scrisse un giornalista locale sostenendo che il suo stile era flopping , come quello di un pesce preso all’amo.
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dick fosbury
«Ero solo stanco di perdere, con il ventrale al liceo a Portland ero un atleta mediocre, a 16 anni arrivavo a 1,62, così come un bambino che gioca ho cercato di trovarmi uno stile più adatto, dorsale, e sono salito a 1,77. Continuavo a perdere, nessuno aveva da ridire, tutti però esclamavano oh, e mi sono ritrovato la foto sul giornale con il titolo “il saltatore fannullone”. Sembrava che dormissi sull’asticella, ero quasi sdraiato, in orizzontale, me lo potevo permettere perché in Oregon stavano sostituendo la sabbia con dei materassi più morbidi altrimenti mi sarei rotto la schiena».
Fosbury, figlio di immigrati inglesi, studente allampanato di Medford, non sembrava portato per lo sport, aveva abbandonato il baseball e il basket, e si definiva «uno dei peggiori saltatori in alto dello stato», ma dando le spalle all’asticella migliora e da not so good diventa competitivo. A quel punto tutti gli allenatori che gli dicevano «divertente, ma non andrai lontano» vanno a controllare il regolamento, ci sarà pure un modo per dire che quel salto contravviene alle regole? Non c’è. E Dick all’università perfeziona il suo stile, passa da un’inclinazione di 45 a 80 gradi, inizia a vincere. Quando parte per le Olimpiadi di Città del Messico ha 21 anni, nessuno lo conosce, tranne il russo Gavrilov (sarà medaglia di bronzo) che è andato ad allenarsi in Oregon. Tutti sono scettici, Fosbury si allena sotto il sole, è la sua prima trasferta, è scampato per un soffio alla guerra del Vietnam (congedato per una malformazione alla colonna vertebrale), non è mai uscito dall’America, a spiarlo c’è solo un incuriosito atleta italiano, l’ostacolista Eddy Ottoz. Per farla breve: Dick sale a 2,24, vince l’oro olimpico, mentre nello stadio si sta concludendo la maratona e il suo compagno Kenny Moore all’arrivo lo guarda e si mette a fare un balletto.
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Alla faccia di chi sosteneva che quella tecnica funzionava solo per lui. Sara Simeoni con il Fosbury decolla e il cubano Sotomayor nel ’93 è salito a 2,45, attuale record del mondo. Era fiero di aver trovato un modo da bambino per risolvere il problema del suo salto e di aver indicato al mondo che per salire non servono equazioni complicate. Sapeva di far parte di una generazione di campioni in cerca di libertà e di diritti, capace di volare e di far succedere un sessantotto. L’anno dopo al cinema uscì Easy Rider . Dick lo aveva anticipato con il suo easy jump . «Non volevo cambiare il mondo, ma solo arrampicarmi nel cielo a modo mio».
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