Lara Loreti per “la Stampa”
beatrice venezi
«Complimenti! Hai dimostrato di avere proprio gli attributi». «Tu sei troppo donna». E ancora: «Io quella la distruggo», detto da un collega a un amico in comune. Avere 30 anni, essere una direttrice d'orchestra di respiro internazionale e sentirsi dire frasi come queste da direttori artistici, musicisti, registi. Beatrice Venezi a 22 anni era già sul podio, ha girato i teatri di mezzo mondo ed è impegnata nel sociale, nella lotta alle discriminazioni di genere e nel diffondere un messaggio ben chiaro: la musica classica non appartiene a un'élite, ma è per tutti. Eppure, c'è ancora chi la valuta per la giovane età e per l'aspetto fisico.
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«Un modo di ragionare medievale, purtroppo me ne sento dire di tutti i colori, ma io vado dritta per la mia strada», dice la musicista lucchese, protagonista a settembre a Livorno del Festival Mascagni e a fine estate a Torino.
Perché si fa fatica a combattere certi atteggiamenti discriminatori?
«Credo sia una questione di potere e controllo. Il mondo della musica classica è pieno di pregiudizi: c'è chi pensa che sia appannaggio di privilegiati, dalla superiorità intellettuale, e c'è un'élite che vorrebbe che rimanesse tale. Di conseguenza, se una persona mina questi schemi perché è giovane, perché è donna o solo perché dice che la musica classica deve essere di tutti, viene osteggiata. Ai meccanismi di potere questo dà fastidio. Se poi ami il glamour è anche peggio».
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Essere giovane, donna, curata e con delle idee è un problema?
«Sì, e c'è la mentalità per cui sembra che una donna di cultura non debba curarsi, come se bellezza e intelletto si escludessero a vicenda. Nel mio caso, c'è chi sostiene che il "contenitore" e l'immagine siano troppo forti. Addirittura mi criticano per vestiti e capelli lunghi.
A queste persone rispondo che ho 30 anni, ho scritto un libro sull'amore per la musica classica [Allegro con fuoco, edito Utet, ndr], ho pubblicato un disco [My journey, Warner Music Italia, ndr], ho diretto in mezzo mondo, ho prestato il mio volto per campagne sociali e la mia attività ha un ritorno sul territorio. Il contenuto c'è, se poi qualcuno non lo vuole vedere... All'estero sono considerata un'ambasciatrice del mio Paese, questo atteggiamento ostile è puramente italiano e viene sia da uomini sia in generale da persone con più anni di me».
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Si è chiesta il perché?
«La competizione gioca un ruolo centrale. Ma non riesco a capire se il motivo che provoca certi comportamenti sia, per citare un libro, una roba da "uomini che odiano le donne", se conta di più il fattore anagrafico o se sia una mera questione di genere. Fatto sta che in Italia va così. Ai personaggi importanti della classica ci si rivolge sempre con paroloni come maestro, direttore, egregio professore. Quando le stesse persone parlano con me, mi chiamano solo Beatrice. Mi sta bene, a Londra il direttore Gergiev è per tutti Valerij, ma mi pongo alla pari e do anche io del tu».
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È vero che in Giappone le hanno chiesto di indossare un abito maschile sul podio? «Sì, per la cultura locale all'inizio era difficile capire che io potessi dirigere con un vestito lungo da sera. Poi ho spiegato loro che l'outfit non è solo un elemento estetico, ma porta con sé un messaggio di innovazione sociale per cui non mi devo conformare alle aspettative. Per essere competente non devo essere brava come un uomo. E non devo essere paragonata a un uomo».
Ha mai pensato di mettere su famiglia?
«Sì, in futuro. Ma molte colleghe temono di perdere un anno o più di carriera e di essere messe da parte. Una paura indotta dal contesto: esistono discriminazioni verso le mamme».
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Come si sconfiggono questi pregiudizi?
«Si fanno tante battaglie sulla carta, ma spesso alle parole non corrispondono azioni. La musica classica va svecchiata. Quanto alle donne, i pregiudizi si superano fregandosene e continuando sulla propria strada. Io ormai ignoro certi atti di body shaming, svolgo al massimo il mio lavoro, uso le critiche per fare ancora meglio e traggo molta forza dall'affetto che ogni giorno mi dimostrano le ragazze che mi scrivono, la gente che mi stima e i successi internazionali».
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