Eugenio Scalfari per “la Repubblica”
PIERO OTTONE E CARLO CARACCIOLO
Piero Ottone negli ultimi mesi e soprattutto negli ultimi giorni aveva voglia di andarsene dalla vita e alla fine se ne è andato. In certi casi la morte è una liberazione e questo è stata per lui. Non credo avesse un male preciso, un dolore che lo tormentasse, ma una crescente stanchezza di vivere e un' attesa crescente di «Sora nostra morte corporale». E così è avvenuto.
Siamo stati grandi amici e di questa amicizia ho ancora freschi ricordi. Uno soprattutto che produsse una svolta nella sua vita. Lo ricordo benissimo perché riguarda personalmente anche me. Quando decidemmo, Carlo Caracciolo ed io, di fondare Repubblica Piero era già da anni direttore del Corriere della Sera. L'aveva voluto Giulia Maria Crespi che possedeva in quell' epoca un terzo delle azioni del Corriere. Un altro terzo l'aveva un suo parente affine (cioè non consanguineo) e un altro ancora Gianni Agnelli.
GIANNI LETTA - MONTANELLI - PIERO OTTONE - GAETANO AFELTRA
La Crespi non era certo di sinistra, anzi era una conservatrice, ma molto liberale e aveva capito che Ottone era appunto un liberale di prima scelta, perciò chiamò Piero: perché giudicava che il movimento sessantottino aveva cambiato profondamente i giovani e quindi doveva essere trattato con il dovuto riguardo.
Piero corrispose pienamente a questa strategia editoriale della Crespi e accettò l'incarico. Il primo e più rilevante cambiamento riguardò l'atteggiamento del Corriere verso i comunisti. Fino a quel momento il giornale milanese parlava di loro non come avversari politici ma come gente che non ha diritto di occuparsi di politica. Come se fossero come belve di un giardino zoologico da chiudere in gabbia.
PIERO OTTONE
La grande riforma di Ottone fu proprio questa. «I comunisti non sono animali, non hanno la coda. Noi li avversiamo politicamente ma nulla di più. Hanno doveri e diritti come tutti gli altri». Quest'atteggiamento scontentò parecchi lettori tradizionali del Corriere ma procurò molti lettori nuovi e la vendita complessiva aumentò. Anche noi, che pubblicavamo da molti anni il settimanale l'Espresso manifestammo pubblicamente la nostra approvazione e la nostra amicizia aumentò.
La fondazione di Repubblica però creò una inevitabile concorrenza, anche perché io avevo pubblicamente manifestato l'obiettivo estremamente ambizioso di raggiungere e possibilmente superare entro quattro o cinque anni il Corriere. In un'epoca in cui le vendite del Corriere erano mediamente di 700mila copie e in certe occasioni arrivavano addirittura ad un milione. Si trattava dunque d'un programma difficilmente realizzabile.
PIERO OTTONE SCALFARI
Piero comunque mi telefonò facendomi molti auguri ed entrambi ci confermammo che la nostra amicizia non sarebbe minimamente cambiata. Le vendite di Repubblica arrivarono a 70mila copie ma lì si fermarono per due anni; i nostri sforzi di superare quella quota non ebbero alcun effetto.
Ogni tanto con Piero ci incontravamo quando andavo a Milano e i rapporti tra noi non cambiavano. In un incontro Piero mi disse: «Mi permetto di dirti che l'obiettivo che ti eri proposto di arrivare al nostro livello di vendite non lo raggiungerai. Il suggerimento che ti do è quello di chiudere Repubblica. Puoi dire che hai fatto un esperimento e che adesso ci vuoi pensar sopra per fare delle modifiche di carattere strategico-editoriale e poi si vedrà. Questo mi pare un modo elegante di uscire da un esperimento che eventualmente potrai in futuro ritentare». Forse hai ragione, gli risposi, ma voglio aspettare ancora qualche mese.
PIERO OTTONE SCALFARI
A fine anno se sarò ancora a questo livello di vendite seguirò il tuo consiglio. Ebbene, le cose andarono diversamente. Cominciò la mattanza delle Brigate rosse, di fronte alle quali Repubblica prese un atteggiamento durissimo. Il partito comunista di Berlinguer, che nel frattempo aveva decisamente rotto con la Mosca stalinista, si alleò con la Dc contro le Br e noi diventammo il giornale di quell' alleanza.
Il Corriere fu molto più cauto e nel frattempo avvenne addirittura un cambio della proprietà: di fatto il proprietario divenne, tramite un prestanome, il Banco Ambrosiano il cui direttore era un affiliato della P2, una loggia massonica di corrotti e di mascalzoni. Il Corriere cominciò a perder quote di vendita e noi a guadagnarne. Ma indipendentemente da questo fenomeno, quando Ottone si accorse della P2 decise immediatamente di dimettersi dal Corriere.
piero ottone
La Mondadori, che aveva il 50 per cento delle azioni di Repubblica ed era quindi un nostro socio con una forte amicizia personale che ci legava da entrambe le parti, offrì a Ottone una posizione molto importante nel suo consiglio d'amministrazione e Piero venne quindi anche con noi e ci dette non solo il suo lavoro di amministratore d'un azionariato comune ma anche quello di giornalista sul nostro giornale. Tutto proseguì fino a qualche tempo fa, quando il desiderio di morire e la fatica insopportabile di vivere presero il sopravvento. Provo profondo dolore per la sua dipartita.