Alex Frosio per La Gazzetta dello Sport
milan arsenal
Sembrava la Champions, e forse il problema è stato soprattutto questo. Un Milan di buona volontà si schianta su un avversario di livello purtroppo superiore come l' Arsenal, palesando i propri limiti di esperienza, prestanza fisica, anche qualità tecnica.
Non è finita, no. Però francamente è difficile immaginare una rimontona all' Emirates, se non altro perché il Diavolo ha tirato una sola volta nello specchio della porta. Ha costruito qualche chance, vero, però ha concesso più di quanto abbia creato. E lo 0-2 è un fardello pesante con cui presentarsi a Londra, anche se nei sedicesimi lì ci ha vinto - inutilmente - l' Ostersunds. I Gunners di Arsene Wenger saranno anche in difficoltà in Premier, ma quando hanno il pallone sanno cosa farne. E hanno un' esplosività atletica alla quale le squadre italiane, esclusa quella con le maglie bianconere che in Europa recita ormai da protagonista da qualche anno, non sono abituate.
bonucci
Eppure i 13 risultati utili consecutivi avevano seminato speranza ed entusiasmo. Unito alla sfidante nobile, il richiamo aveva attirato a San Siro quasi 73mila persone. E l' atmosfera si è scaldata presto, tanto da fare tremare lo stadio come ai bei tempi. Passione e cori e boati hanno trascinato l' avvio del Milan, che è partito forte, applicando l' unica strategia possibile: attaccare alto l' Arsenal, non farlo uscire in palleggio, tenerlo vicino al suo fortino tutt' altro che inespugnabile. I tre calci d' angolo nei primissimi minuti, con un tiro-cross di Suso sul quale Bonaventura è arrivato in leggero ma fatale ritardo sul secondo palo, sembravano il preludio alla solita (e solida) prestazione rossonera. L' Europa però è un altro universo. E la prima delle tante combinazioni letali Özil-Ramsey-Mkhitaryan, con destro sull' esterno dell' armeno, ha svegliato il Diavolo dal sogno. Facendolo precipitare nella paura. Il Milan ha perso coraggio, non è più stato disposto ad affrontare rischi nel disimpegno, limitandosi agli appoggi facili e scontati, portando anche troppo palla.
Soprattutto si è abbassato troppo. L' Arsenal ha mandato fuori le sentinelle, e con 6-7 uomini a pressare nella metà campo rossonera - altro aspetto poco usuale in Serie A - le idee milaniste si sono complicate.
gattuso
Le distanze tra i reparti si sono allargate e negli spazi vuoti si sono infilati i fini palleggiatori wengeriani. Una volta che Özil o Mkhitaryan hanno potuto ricevere tra le linee, e nella situazione cosiddetta di palla scoperta (cioè senza opposizione), il castello difensivo di Gattuso era destinato a crollare. Il tedesco è apparso e scomparso dalla partita come un fantasma, ma facendo paura nelle sue materializzazioni: tocco di prima in verticale per Mkhitaryan e destro vincente per lo 0-1, palla filtrante per Ramsey nel recupero del primo tempo e 0-2. Al conto della prima parte si aggiungono un volo di Donnarumma su tiro di Chambers, una volata di Welbeck timido nella conclusione, una traversa di Mkhitaryan poco prima del raddoppio.
In tutto questo, il Milan si è ritrovato inerme. Difficile, nell' intervallo, pensare a qualche contromisura per ribaltare la partita, tanto è sembrato ampio il divario di sostanza, oltre che di risultato. L' Arsenal si è un po' accontentato, Gattuso ci ha provato con le due punte, con Kalinic al fianco di Cutrone, poi sostituito da André Silva, ma il problema era come far arrivare il pallone lì davanti. Tanti cross (21), tiri imprecisi, poco ritmo e poco movimento senza palla: l' hanno fatto Kessie una volta (chiusura di Koscielny) e Kalinic un' altra (uscita di Ospina). Niente gol da mettere nella valigia per l' Emirates. Ma almeno il Milan non ha dilapidato la passione del suo pubblico. Ha dato tutto, solo che le qualità migliori dei rossoneri sono state disarmate: Suso, il più tecnico, è impallidito di fronte a Özil e Wilshere, il «fisico» Kessie sembrava un normotipo, l' incursore Bonaventura impreciso, il veloce Calabria bruciato allo sprint da Maitland-Niles, riserva della riserva (per non parlare di come lo ha trattato Mkhitaryan...).
WENGER
All' uscita, molti tifosi rossoneri si sono dovuti rassegnare al semplice fatto che il Diavolo non è ancora salito a questo livello. L' ultimo k.o. europeo a San Siro fu nel saluto alla Champions, contro l' Atletico Madrid: era un Milan al tramonto, questo sta nascendo.
Qualche pianto va pur messo in conto.
2. LAZIO TUTTO CUORE
G.B.Olivero per la Gazzetta dello Sport
Non è finita qui, cara Lazio. Non è finita su quel palo di Immobile al 95', che semmai certifica il momento poco fortunato dopo l' eliminazione dalla Coppa Italia al quattordicesimo rigore e dopo la sconfitta con la Juve al 93'.
Proprio la Juve, però, manda a Simone Inzaghi un messaggio importante: un 2-2 casalingo si può ribaltare in trasferta a patto di cancellare gli errori e di mostrare un volto diverso. La vera Lazio, quella che ci ha entusiasmato a lungo in questa stagione, può vincere a Kiev sfruttando la qualità e la velocità dei suoi giocatori più forti, tra l' altro letali in trasferta. La light-Lazio di ieri, invece, lascia qualche preoccupazione in più sia per l' approccio iniziale sia per la gestione della ripresa dopo il vantaggio faticosamente raggiunto in rimonta.
lazio dinamo kiev
Il risultato finale è sostanzialmente giusto perché rispecchia l' equilibrio evidenziato dal gioco e dalle occasioni: fino al 90' i tiri nello specchio della porta erano tre per squadra, poi la Lazio è salita a cinque grazie a un colpo di testa innocuo di Parolo e al palo di Immobile, ma anche la Dinamo aveva avuto una clamorosa chance a metà ripresa. Proprio il fatto di aver sfiorato la vittoria in una serata abbastanza grigia sia a livello individuale sia di squadra deve spingere all' ottimismo, pur nel rispetto di un buon avversario.
Che la Dinamo fosse un rivale serio lo raccontava il bilancio stagionale in Europa League (5 vittorie, 4 pareggi, una sconfitta). Khatskevich ha sorpreso lasciando inizialmente in panchina il bomber Moraes e per tutta la gara Gonzalez: i due erano diffidati e quest' accortezza, per quanto discutibile, dimostra quanto il tecnico sia convinto di qualificarsi a Kiev, dove non ha mai perso in stagione.
La Dinamo non ha dato punti di riferimento alla Lazio, il cui 3-5-2 non ha funzionato per tre motivi diversi. Il primo riguardava il fraseggio in avvio di azione, complicato dalla pressione avversaria. In realtà tre centrali difensivi erano troppi, probabilmente la difesa a quattro avrebbe aperto altri spazi su cui impostare e affondare. E qui il discorso converge sul secondo motivo, ossia le caratteristiche di Felipe Anderson, molto diverse da quelle di Luis Alberto. Il brasiliano è stato il migliore in campo, ma rispetto allo spagnolo dialoga meno con le mezzali ed è più anarchico e più attaccante.
lazio dinamo kiev
Forse ieri il 4-3-3 (o il 4-2-3-1 con cui Inzaghi ha chiuso la gara) sarebbe stato più funzionale anche se il tecnico ha preferito non togliere certezze in un momento delicato. Il terzo aspetto negativo della serata riguarda l' imprecisione tecnica e le disattenzioni, alla base di entrambi i gol subiti. Nonostante la prova poco convincente e la rete incassata in avvio di ripresa, la Lazio è stata brava a reagire segnando due gol in fotocopia con Immobile (assist di Felice Anderson) e con lo stesso brasiliano (assist di Milinkovic): due verticalizzazioni che immaginiamo e speriamo di rivedere a Kiev, nella difesa della Dinamo ci sono spazi in cui colpire. Tra la quarta della Serie A e la seconda del campionato ucraino sarà quindi decisiva la sfida di giovedì prossimo. Due giorni prima all' Olimpico la Roma, terza in A, proverà a ribaltare lo Shakhtar, comoda capolista in Ucraina. Il nostro calcio ha infinito bisogno di due vittorie.
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