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    ''I MIEI COLLEGHI CANTAUTORI ROMANI SCRIVONO CANZONI PIENE DI POESIA, MA NELLA VILLA AL MARE EREDITATA DAL PAPÀ''. FABRIZIO MORO È ANCORA INCA**ATO, E MENO MALE - ''SONO UN PO' MENO IPOCONDRIACO, MA BASTA UNA FEBBRE PER MANDARMI IN DEPRESSIONE. MIO PADRE ERA IL TIPO CHE DICEVA: 'NON SEI CAPACE, LASCIA, FACCIO IO'. E SE DOVEVO APRIRE UNA BOTTIGLIA DI VINO DAVANTI A UN GRUPPO DI PERSONE, MI TREMAVA LA MANO PER L'INSICUREZZA DI NON FARCELA. FINCHÉ…''


     
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    Enrica Brocardo per www.vanityfair.it

     

    ermal meta e fabrizio moro ermal meta e fabrizio moro

    «Il mio primissimo provino, a 17 anni, lo portai a un signore che aveva un negozio di dischi a via Tiburtina. Avevo 17 anni, mi ci accompagnò mio padre che di discografia, poverino, non ne sapeva nulla. Era convinto che fosse un produttore. All’inizio facevo ascoltare le mie canzoni a chiunque. L’ho presa larga, come dico io. Lo stesso ha fatto Ermal. Che poi è il motivo per cui ci siamo trovati». Fabrizio Moro attacca a parlare senza neppure bisogno di una domanda. E va avanti per un bel po’ senza fermarsi. Un bel cambiamento per uno che fino a qualche anno fa era «chiuso, diffidente».

    fabrizio moro fabrizio moro

     

     

    Il 16 giugno aprirà il suo tour all’Olimpico di Roma, poi altre 17 date in giro per l’Italia. Suonerebbe come una consacrazione dopo la vittoria a Sanremo in coppia con Ermal Meta e il quinto posto all’Eurovision. «In realtà vincere il festival non significa riempire le piazze», dice. E te lo spiega dati alla mano. Perché da anni studia come stiparle tutte, un passo alla volta. In Italia e non solo. L’Eurovision, racconta, gli ha fatto venir voglia di provare un tour europeo.

     

     

    Rimpiange di averla presa larga, come dice lei? Di non essere arrivato al successo prima?

    «Tutto il tempo che ho perso, gli errori che ho fatto, le zappate sui piedi che mi sono preso e dato da solo mi hanno reso quello che sono oggi. Ma è vero anche che, in mezzo, ci sono stati anni in cui ero sempre incazzato».

     

    Esempi di zappate?

    Fabrizio Moro LaPresse Fabrizio Moro LaPresse

    «Io sono troppo sincero. Istintivo. Adesso prima di dire qualcosa ci penso. Ma fino a qualche anno fa, che fossi sul palco di Sanremo, di un congresso politico o dell’Eurovision, mi portavo dietro la rabbia del marciapiede. Il problema è che, quando sei incazzato, ti capiscono solo quelli incazzati come te. A lungo, sul palco, ho fatto i convegni politici. Ce l’avevo con il presidente della Repubblica, con il primo ministro. Ho scritto canzoni che non potevano essere mandate in radio (Barabba, del 2009, ndr), per anni non ho messo piede in tv».

     

    Ma tutta questa incazzatura da dove arrivava?

    «Nessuno mi dava retta. Quando non riesci a esprimerti diventi un frustrato e i frustrati rovinano il mondo. Diciamo, però, anche un’altra cosa: parecchi miei colleghi cantautori romani che scrivono solo testi pieni di poesia compongono nella villa al mare ereditata dal papà, coi tappeti persiani e i camerieri coi guanti bianchi. Col sistema è normale che non ce l’abbiano, loro».

     

    E lei ce l’ha ancora?

    sanremo bacio fabrizio moro dj jad sanremo bacio fabrizio moro dj jad

    «Sono ancora arrabbiato ma mi sono disinnamorato della politica. Perché ho capito di non poter cambiare nulla, non siamo più negli anni Sessanta. E sono diventato una persona più equilibrata. Grazie all’amore delle persone che hanno creduto in me e dei miei figli. Mi hanno aiutato a mettere a fuoco tante cose».

     

    Come è stata la sua infanzia?

    «Sono cresciuto a San Basilio, nella periferia romana da genitori emigrati. Mio nonno era un contadino, mio padre faceva il carrozziere. Era un quartiere fatto di case popolari, baracche. Per me, da bambino, era un posto bellissimo. La mia famiglia aveva occupato un palazzo intero: quattro piani, due famiglie per ogni piano. Tutti parenti eccetto per un appartamento al primo piano. Anche se, alla fine, era come se parenti lo fossero anche loro. Dodici bambini più quelli dei palazzi vicini. Ancora oggi mi è rimasta la voglia di comune».

     

    Con chi la farebbe?

    «In realtà ce l’ho già. Ho comprato una casa fuori Roma, a Formello e ogni giorno c’è qualcuno: gli amici, i miei musicisti, mio padre, mia madre, mia sorella, mio fratello, i cugini… Mi piacciono le famiglie numerose, le tavolate, le domeniche a casa».

     

     

    Da bambino felice ad adolescente rabbioso: com’è successo?

    ermal meta fabrizio moro da fazio ermal meta fabrizio moro da fazio

    «Da ragazzo ho cominciato a pensare a tutte le cose che non potevo avere, materiali ed esistenziali. Non avevo soldi, non mi andava di studiare e così, anche se ero sempre stato promosso, al quarto anno ho lasciato le superiori. Non mi sentivo bravo in niente. Papà è una persona buona, si è sempre dedicato alla sua famiglia, però con noi figli non c’è mai stato un vero incontro emotivo. Era il tipo che diceva: “Questa cosa non sei capace a farla, lascia perdere, faccio io”. Per dirle, fino a qualche anno fa se dovevo aprire una bottiglia di vino davanti a un gruppo di persone, mi tremava la mano per la paura di non farcela. Dall’insicurezza è nato il desiderio di rivalsa, la rabbia».

     

    E con sua madre che rapporto aveva?

    fabrizio moro fabrizio moro

    «È sempre stata una donna dolcissima. Amava la musica, il cinema, l’arte. È diventata mamma giovanissima – oggi ha sessant’anni – e da bambino ero orgoglioso di lei perché era anche molto bella. Di carattere, però, è sempre stata chiusa, timida. Da sola non usciva mai. La paura di ammalarmi me l’ha trasmessa lei. Bastava che mi facessi un graffio che si spaventava, urlava. Ancora oggi si preoccupa di tutto, della vita».

     

    È ancora ipocondriaco?

    «Un po’ meno ma, per capirci, basta che mi venga la febbre per mandarmi in depressione. Quando sto con i miei figli, però, faccio il possibile per mostrarmi forte. Anche se dentro non lo sono».

     

    È un padre ansioso?

    san basilio roma san basilio roma

    «Per niente. Non li controllo apposta, lascio che caschino per terra. Tanto che la loro mamma di quando in quando sbrocca».

     

    Ovvero la sua compagna. Della quale non parla mai.

    «E preferisco non farlo neppure adesso».

     

    Parliamo allora di questa sua prima volta all’Olimpico.

    «Arriva al termine di un percorso un po’ anomalo di questi tempi, simile a quello dei cantautori negli anni Settanta, pieno di alti e bassi. Il mio primo concerto a pagamento l’ho fatto nel 2011 al locale Stazione Birra di Ciampino: 700 persone, 12 euro a biglietto. I miei colleghi non lo dicono, ma se suoni gratis nelle piazze è facile che arrivi anche a fare diecimila persone. Però non conta niente. Per carità, io ho campato così per tanti anni. In Calabria avrò fatto 200 feste del santo. Ho suonato dappertutto».

    fabrizio moro e ultimo due romani da san basilio fabrizio moro e ultimo due romani da san basilio

     

    E dopo Ciampino che cosa è successo?

    «Ho fatto altri concerti sempre a Roma o al massimo nel Lazio. Ogni volta davo l’anima e la gente se ne accorgeva. Nel 2015 a Conciliazione feci 1.500 paganti, l’anno dopo 3 mila, a Villa Ada 4 mila, l’anno scorso ho fatto due date al PalaLottomatica. Mio padre diceva: “Adesso ti puoi comprare un appartamento”. E io: “Macché”. Non mettevo in tasca niente, reinvestivo tutto nella produzione dei nuovi live. Il mio primo concerto nel Nord Italia è stato l’anno scorso a Verona: 1.700 paganti».

     

    Si ricorda il numero di biglietti venduti per ogni concerto?

    fabrizio moro fabrizio moro

    «Perché ho sempre curato ogni minimo dettaglio dei miei concerti da solo, ogni volta con la paura che non venisse nessuno. Ancora oggi ci sono “piazze” difficilissime, Genova per esempio. Non ho praticamente mai suonato in nessuna delle città di questo tour e si tratta di spazi grandi, da 4-5 mila persone. Un po’ di timore ce l’ho. Ma io sono un musicista e voglio stare sul palco. C’è da suonare all’Olimpico? Vado. In un campeggio? Vado pure lì. Della tv non me ne frega niente, mi serve per poter fare concerti. Se vendo pochi dischi mi dispiace, ovvio, ma se la gente non viene a vedermi dal vivo mi metto a piangere. Però sono un tipo ostinato: non smetterò mai di portare la mia musica ovunque. È il mio obiettivo da sempre perché credo nel messaggio che porto».

     

    Ovvero?

    «Rappresento tutte le persone che, come me, vengono dalla periferia e che hanno trovato un modo per realizzare i loro sogni. Sa qual è il mio film preferito? Rocky. E com’è che Rocky Balboa ha costruito il suo successo? Con l’amore. Se non avessi visto quel film da bambino, forse non avrei mai fatto il cantautore».

     

     

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