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La giustizia di Sorveglianza milanese tende di nuovo la mano a Fabrizio Corona. Stavolta per permettergli di curare una patologia psichiatrica aggravatasi in carcere. E lo fa con decisione «umanitaria». Letteralmente: perché a riportarlo fuori dal carcere, pur dopo due revoche delle misure alternative sprecate in altrettante violazioni dell’affidamento terapeutico anti-droga, è un provvedimento di «differimento della pena da eseguire in detenzione domiciliare umanitaria» (articolo 47 ter, per come la sentenza n.99 della Corte Costituzionale lo ha esteso in aprile dalle patologie fisiche a quelle anche mentali).
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Il domicilio in questa prima fase sarà un istituto vicino Monza, dal quale non potrà mai allontanarsi essendo il luogo nel quale proseguirà a scontare la sua pena (anziché in cella) durante le cure. Da quando era uscito dal carcere nel febbraio 2018, dopo 5 anni e 5 mesi in cella (su 9 anni e 8 mesi totali), l’ex re dei paparazzi aveva incassato una serie di richieste di revoca della misura alternativa inizialmente concessagli dal Tribunale di Sorveglianza per permettergli di curare la dipendenza psico-logica dalla cocaina.
IL NUOVO ARRESTO DI FABRIZIO CORONA
Finché nel marzo 2019 il beneficio gli era stato davvero revocato (ed erano stati riconteggiati come pena da scontare in cella i 13 mesi trascorsi in affidamento terapeutico) a causa di una sfilza di violazioni, alcune delle quali durante le sue presenze tv e tali da persuadere i giudici che «non mostrasse alcuna revisione critica». Ora le relazioni psichiatriche dell’équipe di San Vittore hanno segnalato il patologico progredire di disturbi della personalità borderline, associati a tendenze narcisistiche e a episodi depressivi, con l’indicazione che Corona non reggerebbe più il carcere e inizierebbe già ad essere resistente alle terapie farmacologiche.
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E qui — cioè su un terreno dove in futuro si misurerà l’omogeneità di trattamento giudiziario dei molti detenuti meno in vista di Corona ma in analoghe condizioni di sofferenza mentale in cella — si innesta la novità della sentenza della Consulta (relatrice la giudice Marta Cartabia), che in aprile ha ritenuto incostituzionale che i giudici potessero differire la pena in detenzione domiciliare per chi fosse malato nel fisico e non anche nella mente. Ed è questo istituto che il giudice Simone Luerti ora ravvisa calzi a Corona, che adesso, assistito dall’avvocato Antonella Calcaterra, sin quando non sarà migliorato sconterà la condanna nel domicilio di cura, con fine pena fissata al marzo 2024.
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