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Francesco Merlo per “la Repubblica”
Nelle ultime settimane, quando gli italiani lo trattavano da sopravvissuto, Marco pensava soprattutto al passerotto che ogni giorno si posava sul suo davanzale: «Credi che sia sempre lo stesso, oppure si danno il cambio come gli amici che mi vengono a trovare?».
Matteo Angioli e Laura Hart, che sino alla fine gli hanno regalato le loro giovinezze, incoraggiavano il rito tribale delle visite all’uomo piegato su se stesso perché «lo fanno sorridere - dicevano - e lo rendono allegro». Poi, a bassa voce: «Lo resuscitano». Gli dissi: «Marco, scrivono i tuoi necrologi mentre sei in vita. Ti trattano come fossi morto». Rispose: «E sono pronti, da morto, a trattarmi da vivo».
E abbiamo riso, ma senza cattiveria, della prosa funeraria italiana, «un genere eccellente e smisurato che dilaga sui giornali grazie agli specialisti in coccodrilli. E’ l’industria dolciaria degli estinti, magnificati in genere solo dopo la morte». E Pannella cambiò anche l’abusato aforisma: cattivi con i vivi e buoni con i morti. «Con me è diventato: cattivi con i vivi e buoni con i morituri. Che dici: mi faccio accoppare? Pensa che begli articoli …».
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Chiesi a Marco: «Potresti vivere senza i radicali, senza Matteo?». E poi chiesi a Matteo: «Potresti vivere senza Marco?». E non so chi per primo cominciò a parlarmi di Dante e di Virgilio alle soglie del Paradiso. Il canto è il trentesimo del Purgatorio: Dante, che finalmente vede Beatrice e riconosce in lei i segni dell’antica fiamma, si volta per trasmettere a Virgilio la sua emozione.
Ma Virgilio non c’è più, se n’era andato: “n’aveva lasciati scemi /di sé, Virgilio dolcissimo patre”. Pannella aveva immaginato così il distacco. Volontariamente, alla soglie del Paradiso, sarebbe andato a farsi sedare: «Tutto è predisposto, senza lacrime, “ché pianger ti conven per altra spada”».
Marco, ma tu hai paura di morire? «Al contrario, ho paura di vivere troppo». Aveva visto Benigni recitare in tv l’addio di Virgilio: «Mi ha divertito e commosso». Marco e Matteo mi avevano detto: «Quello è davvero il grande poeta italiano». A me parve una banalità: «Certo, Dante, lo so …». E Pannella: «No, stiamo parlando di Benigni».
CICCIOLINA PANNELLA
E intanto con infinita pazienza Matteo e Laura lo prendevano di peso,lo manomettevano, lo calmavano e lo eccitavano, sopportavano i suoi umori a volte insopportabili. Poi arrivava Mirella, arrivava Rita … E gli allenavano la memoria: «Marco, ti ricordi quando Gianluigi Melega disse che eri diventato “troppo” per tutti, “come una portaerei nel lago di Nemi?” Che anno era?».«E vediamo se indovini chi pronunziò questa frase: “Ci sono troppe splendide cose che potremmo fare con il nemico per pensare a eliminarlo”». Marco sorrideva: «Gandhi». «No. Tu».
Dormiva quando il dolore glielo permetteva: «Ma i sedativi non mi bastano più». L’uomo che diceva di sé: «Io vivo nelle strade, negli aeroporti, nei treni», era un’anima reclusa che, solo grazie all’amore radicale, non è stato mai un’anima in pena. Marco chiamava Laura «la padrona».
GLI 86 ANNI DI MARCO PANNELLA
E li toccava, lei e Matteo, più di quanto toccava tutti gli altri: piccoli pugni sulle braccia, qualche pizzico, carezze e baci sulla guancia. Con il Dalai Lama, nell’ultimo incontro, si toccarono per più di mezzora, «se fai qualcosa che non mi piace vengo a Roma e ti do un morso» gli disse il capo del Buddismo tenendogli la mano nella mano.
Quando Marco si svegliava cercava subito Matteo. E Matteo c’era. Che cosa è un’assistenza radicale? «E’ la ragione al posto della pietà. Ridere, commuoversi e pensare».
Ho raccontato a Pannella che quando morì Alessandro Manzoni cominciarono subito a circolare, con gli aneddoti più strambi, i cimeli di ogni genere: libri, lettere autografe, ma anche feticci, sino al dente guasto e alla ciocca di capelli bianchi, una lanugine stopposa, che il cameriere Vismara strappò all’amato cadavere e che è rimasta custodita, insieme alla famosa tabacchiera di legno, nel collegio di Merate, dove il Manzoni da giovane aveva patito e che perciò aveva cantato come «sozzo ovile».
VASCO ROSSI PANNELLA
Da Pannella ho persino visto la foto di un fecaloma. Marco, che pure è stonato come una campana e che da Radio Radicale ha persino eliminato la musica leggera, mi rispose con una canzone: «Da un po’ di tempo mi suona nella mente, l’ho persino sognata, è una specie di malessere musicale ». E l’ha cantata per me: «”Ma pecché, pecché ogne sera /penzo a Napule comm’era/ penzo a Napule comm’è”. Ecco il problema: com’era e com’è». E concluse con un must pannelliano: «La durata è la forma delle cose».
Ricordo bene quando Marco e Matteo arrivarono, come due banditi, a casa mia, in campagna, la sera di Santo Stefano del 2000. Matteo era tornato dalla Nuova Zelanda dove era andato a studiare. La passione tra loro era scoppiata per mail: un’educazione sentimentale radicale, frammenti di un discorso amoroso digitale. Me li diedero da leggere mentre mangiavano i resti freddi del pranzo di Natale: tacchino farcito, salsicce e bacon, bread sauce e cranberry sauce, cavolini di Bruxelles…
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Pannella diceva che il pranzo di Natale «è una complicata algebra, addizioni e sottrazioni di gusto, di tatto, di inclinazioni dell’anima», e intanto io leggevo quelle pagine belle e intense che Marco voleva pubblicare perché - sosteneva - «questo è il futuro radicale». Ripartirono alle tre del mattino sotto l’acqua lasciandomi quella vecchia carta riempita di modernissime mail.
Nel mondo radicale quel libro, che mai è stato pubblicato, è diventato mitico «come le miniere nella corsa all’oro», come Juvenilia di Hemingway, come la valigia nera di Benjamin ...
Di sicuro ha alimentato il gossip sulla omosessualità di Pannella che non ha mai distinto tra amore e sesso: «Pasolini diceva di avere usato il “ti amo” una sola volta in tutta la sua vita, scrivendo a me: “sai quanto ti amo e quanto sono dalla tua parte” ». Matteo fece un’intervista al Corriere per spiegare, ma poi si rassegnò: «So bene che Marco passa per il primo frocio d’Italia».
BERLUSCONI GIANNI LETTA PAOLO ROMANI VISITANO MARCO PANNELLA -4
Sedici anni dopo, Matteo e Laura, la sua compagna fiamminga, plurilaureata, carica di master e dottorati, una Beatrice radicale, hanno trasformato la soffitta romana di Pannella nel sanatorio della Montagna Incantata. Quella casa sino all’altro ieri, sino all’ambulanza che lo ha portato in clinica a morire davvero, è stata il laboratorio metafisico della politica, da Berlusconi a Bertinotti, il luogo dove si discuteva e si facevano esperimenti di trasmutazioni d’essenze: i carcerati, Vasco Rossi…
Quando, per esempio, venne Matteo Renzi a toccare il corpo dello sciamano, Marco parlò pochissimo. Ascoltò lui e Roberto Giachetti e Filippo Sensi che rievocavano i rapporti tra i radicali e la sinistra, la reciproca insolenza e la febbre lessicale dentro una grammatica etica comune: Ingrao e Cossutta che «provava per noi un certo amore, ricambiato ». E le visite del vecchio Bordiga «che da vecchio si sentiva radicale». E poi Vittorini, Sciascia, Tortora, Moravia, Spinelli … sino a Modugno: «Spesso - diceva Pannella - il radicalismo è stato una bella maniera di invecchiare».
matteo angioli e marco pannella
A sera poi arrivò Clemente Mimun e gli chiese: «Come ti è sembrato il nostro presidente del Consiglio? ». Lui lo guardò leggermente irritato: «Mica l’ho visto, non è ancora venuto». E’ stato quello il momento in cui tutti, anche Matteo e Laura, abbiamo pensato che forse il nonno d’Italia avrebbe dovuto vivere nascosto in una nuvola di onori, agi, conforti domestici, medici e dolcezze familiari, tra gente che da lui non pretendesse più nulla.
Non è andata così: «Te lo immagini con gli occhi vitrei e smemorati?», mi diceva Matteo. Pannella non lo avrebbe permesso. E infatti Pannella non lo ha permesso: «Tutti – mi disse - sanno quel che debbono fare». Dunque Marco Pannella, in quella casa, in via della Panetteria, dava a tutti del ragazzo in abruzzese, «bardasce, mammucciòne», ma con gli occhi inseguiva le luci che si allungavano e si muovevano sul letto e sulle sue gambe lunghe e magre.
matteo angioli e marco pannella
Recluso in casa, gigante in soffitta , l’incontenibile si lasciava conquistare solo dalla finestra amica, cercava il cielo coperto e piovoso: «Oggi sono contento perché la luce, quando è così dolce, mi piace molto». Anche Leopardi negli ultimi giorni cercava la luce.
Una volta che andai con Oliviero Toscani lo abbiamo osservato mentre dormiva: «Guarda, sembra un capo indiano». In t-shirt bianca e mutandoni mi disse: «Il digiuno mi ha mangiato i muscoli perché il corpo mangia se stesso ma scarta il grasso».
Oliviero, che scattava foto, si accorse che la casa gli ricordava quella di Andy Warhol.«Perché?», gli chiese Marco. «Perché sei circondato da cose che non si somigliano tra loro se non nel fatto che ciascu- na di esse somiglia a te: il ritratto del prozio monsignor Giacinto, gli ingombri africani, questi pezzi di antiquariato senza valore, e poi le statue, le teste addobbate con i nastrini dei congressi … l’aria da eternità studentesca».
FRANCESCO MERLO
Qualche mese prima quando Pannella non stava troppo male, e ancora ogni tanto usciva, ero andato a trovarlo con due dei miei figli. Il più piccolo di 13 anni non voleva venire. «Perché vuoi che venga?». «Per toccare la storia d’Italia». Pannella lo conquistò, gli fece visitare la soffitta delle meraviglie, aprì armadi, svuotò cassetti, salirono su una scaletta di ferro e sbucarono in terrazza, gli regalò un ombrello che aprendosi scaricava acqua,
gli fece indossare le sue famose bretelle che come quelle del filosofo Siegfried Kracauer «legavano le idee più fantasiose alla terra più ferma», gli annodò qualcuna delle sue strambe cravatte antipartitocratiche, libertarie, nonviolente, antiproibizioniste. «Quando non stanno sul collo – gli disse - dormono e fanno sogni allegri». E intanto fumava i toscanelli, «70 al giorno, ma sono alla grappa, e dunque Bacco impedisce al tabacco di puzzare: il fumo diventa pro-fumo».
marco pannella
Aveva due tumori, «uno qui» diceva portandosi la mano al polmone sinistro, «e l’altro qui» diceva portandosi la mano al fegato. Ma ne parlava solo se glielo chiedevamo e sempre allegramente, come se nei guai fossimo noi che volevamo sapere «come stai?» e non lui che rispondeva «sto benissimo ». Il coraggio della malattia «è in fondo una questione di buona educazione », e chi conosceva Pannella non poteva certo stupirsene. «Nel gusto, nella cultura, nel garbo è un uomo di grande eleganza intellettuale » diceva Sciascia. Anche se, aggiungeva, «è sempre costretto a gridare».
2. UNA VITA IN ANTICIPO
Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
filippo facci
Marco Pannella ha interrotto lo sciopero della morte. Era iniziato il 2 maggio di 86 anni fa e forse era l' unico sciopero che nessuno gli aveva chiesto d' interrompere, che nessuno derideva o considerava patetico, che non anticipava una battaglia tremendamente inattuale e che altri, un domani, avrebbero vendemmiato e magari vinto al posto suo.
Pannella da una sessantina d' anni diceva cose giuste ma con troppo anticipo, così sembravano sciocchezze; quando si realizzavano, lui era già passato a dire altre cose giuste ma con troppo anticipo, e sembravano altre sciocchezze; così sembrava che dicesse sempre sciocchezze, e non ne diceva mai.
Quando corse voce che era malato sul serio (due tumori) e che presto sarebbe giocoforza morto, molti noi risposero: sciocchezze.
marco pannella fermato dai commessi
Non me ne frega niente di scrivere, ora, un dignitoso «coccodrillo» di Marco Pannella. È da due mesi che a Libero me lo chiedono. E poi ultimamente muore un sacco di gente, e invecchiare significa accorgersene progressivamente sempre di più, o forse significa stupirsi che Tizio sia morto oppure stupirsi che - tu guarda - è ancora vivo: ma il problema è che Pannella era fuori classifica, è come se avessero detto che era morto il Cervino: impossibile, c' è sempre stato e ci sarà sempre. Del resto tutta la vita di Pannella sembrava sempre un falso allarme, un' esagerazione.
marco pannella e il dalai lama
Apro una parentesi personale, un parallelo che segnato la mia carne con una roncola. Conobbi Marco Pannella quando avevo 15 anni: era il 1983 e mi iscrisse al Partito Radicale. Poi, nel 2009, a ferragosto, mi capitò di rivederlo perché m' invitò a quell' incredibile maratona radiofonica che era la «conversazione settimanale con Pannella»: tre ore di dialogo surreale e indimenticabile. Nel periodo immediatamente successivo ci sentimmo abbastanza spesso, ma io, d' un tratto, non mi feci più vivo per due diverse ragioni. La prima è che era iniziato quel meccanismo per cui lui Pannella tendeva a fagocitare le persone.
La seconda è che avevo scoperto, dall' oggi al domani, che mio padre stava morendo per un tumore ai polmoni, come ieri Pannella. A essere precisi: Pannella, quando apprese di avere un tumore al polmone, nel 2014, aveva esattamente l' età che aveva mio padre quando apprese del suo. Ed ecco: nel mese che seguì, prima delle esequie, a parte pochissimi amici, ci fu una sola persona di media conoscenza - Marco Pannella - che continuò a telefonarmi, a chiedermi di mio padre, ogni volta ricordandosi ogni minimo particolare, senza poi avere null' altro da chiedermi o da dirmi.
marco pannella contro la leva obbligatoria
E ho imparato che ci sono persone così, eccessive nel bene e nel male, capaci di una generosità improbabile e però autentica, di un trasporto a cui loro, per primi, non possono resistere. Pannella faceva così con me, ma l' aveva fatto con un intero Paese per mezzo secolo. Pannella era un uomo che amava troppo.
Mio padre - fumatore sino all' ultimo, ovviamente come Pannella - morì per quella che nei fatti è un' eutanasia non dichiarata: dormendo con un sonno indotto da sedativi; esattamente come Pannella, che mercoledì rispose «sì grazie» quando glieli proposero. A suo modo, un' altra battaglia vinta sotto il naso di tutti: un sereno sberleffo a quella cappa narcotica che ha sempre circondato, da noi, le cose che si fanno ma che non si dicono. Pannella le diceva sempre, tutte.
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Ci ha sempre messo la faccia. Ieri, anche il corpo. E che impressione, meno di due ore prima della notizia della morte di Pannella, ieri, incontrare per caso Giuseppe Englaro, il padre di Eluana, un altro pazzo di cui questo Paese ha avuto tremendamente bisogno. Di pazzi, abbiamo avuto bisogno: di un Pannella per togliere il divorzio e l' aborto dalla clandestinità, di un Tortora per accorgerci che la giustizia fa schifo, di un Berlusconi per portare la tv privata in Italia, di un Craxi per modernizzare il Paese, di uno sbirro molisano per fermare un finanziamento illecito che rasentava il racket. Pazzi sì: per compensare il perenne ritardo della politica nei confronti di quella società che siamo noi.
Non lo voglio scrivere il coccodrillo di Pannella, l' ho già scritto tre anni fa su questo stesso giornale, era il 19 dicembre 2012 e scrissi così: «Pannella è uno dei più onesti e disinteressati uomini politici della storia repubblicana, uno dei pochi grandi e veri personaggi che ho avuto l' onore di conoscere decentemente. E non ho voglia di aspettare che muoia per scrivergli tipicamente un coccodrillo retorico: voglio scriverglielo da vivo». Era, appunto, il 2012: per avere Pannella in tv quell' estate, a una trasmissione che conducevo su La7, dovetti penare le pene dell' inferno: «Pannella non fa ascolti», dicevano tutti. Era vero, ma risposi: «Chi se ne frega».
Per un giorno tornai a sentirmi giornalista.
Dopodiché, ora, che cosa dovremmo fare? L' elenco?
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Tutte le cose che Pannella ha combinato in vita sua? Figurarsi, non basta la Treccani, forse neanche la bella biografia che gli ha dedicato Walter Vecellio. Parliamo di uno di cui Jean-Paul Sartre si diceva affascinato, uno che fece iscrivere Eugène lonesco al Partito Radicale, che fece dire a Umberto Eco: «Pannella ha insegnato agli italiani come si fa a diventare liberi, e soprattutto a meritarselo». Indro Montanelli invece lo definiva «un figlio discolo, un giamburrasca devastatore, ma in caso di pericolo sarà il primo ad accorrere in soccorso».
Pannella: fascista, comunista, provocatore, qualunquista, destabilizzatore, uomo dei cento referendum e dei mille digiuni, del divorzio, dell' aborto, dell' obiezione di coscienza, per i diritti di tutte le minoranze, delle marce antimilitariste, personaggio pagliaccesco e di grande eleganza intellettuale, frequentatore di Benedetto Croce e Mario Pannunzio, Ernesto Rossi e Umberto Terracini, Elio Vittorini e Pier Paolo Pasolini, Ignazio Silone e Riccardo Lombardi. Pannella e Gandhi, Cicciolina e Toni Negri, Enzo Tortora e Luca Coscioni,
le canne e le sigarette, e la partitocrazia, lo strapotere dei giudici, il Parlamento degli inquisiti, l' ambientalismo, Mario Pannunzio e Il Mondo, il Partito Radicale e la Radio pure, Bruno Zevi e Giovanni Negri, la liberalizzazione della cannabis, il partito che sta (sempre) per chiudere, la fame nel mondo, l' abolizione del finanziamento pubblico dei partiti,
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Domenico Modugno, le dimissioni di Giovanni Leone, Leonardo Sciascia, il cartello-sandwich alla Rai, la pena di morte e Nessuno tocchi Caino, l' autofinanziamento del partito, il referendum con Mario Segni, la Bonino commissario europeo, il Dalai Lama, la Corte Penale Internazionale, l' hashish in piazza, Emma for president, la Cecenia, la procreazione assistita, l' interventismo pannelliano in Kosovo e in Afghanistan,
l' Associazione Coscioni, Piergiorgio Welby, la moratoria contro la pena di morte, le carceri, l' amnistia, la rinuncia al vitalizio, i quattro bypass, i due tumori, le due sessualità, le mille sigarette, Marco Pannella, una vita sua e nostra.
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