Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
facebook tiktok
Sfidata da TikTok, un concorrente che (a differenza di Instagram e WhatsApp) non può comprare e fatica a imitare, Facebook (ora divenuta Meta) perde terreno per la prima volta nei suoi 18 anni di storia. La reazione, una guerra contro l'avversario cinese fatta di campagne pubblicitarie e di stampa e di azioni lobbistiche, può apparire estrema ma comprensibile nella logica a volte brutale del capitalismo Usa.
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Oltretutto TikTok è ormai un gigante con alle spalle il colosso ByteDance: non è, insomma, un Davide che sfida Golia e il timore che attraverso la proprietà cinese possano passare attività spionistiche di Pechino non è stato ancora totalmente fugato. Ma Facebook-Meta non è una società come le altre: è il gigante che, grazie alla colpevole inazione dei governi americani e alla mancanza di regole, ha conquistato uno sterminato potere economico, politico e di influenza sulle opinioni pubbliche di quasi tutto il mondo.
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Fa, allora, una certa impressione vedere il gruppo difendere la sua campagna sostenendo che TikTok deve accettare «un livello di controllo adeguato al suo crescente successo» dopo che per anni Facebook ha fatto di tutto per sottrarsi ai controlli e ostacolare i tentativi di regolamentazione della politica, muovendosi in linea con la sbrigativa filosofia del motto del suo fondatore, Mark Zuckerberg: «Muoviti in fretta e sfascia tutto».
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Di più: la campagna in corso, dirottando l'attenzione sul «nemico esterno» punta esplicitamente a bloccare le riforme che il Congresso sta elaborando per costringere i giganti di big tech a rispettare almeno regole minime e a rispondere di comportamenti spregiudicati che hanno un impatto negativo sul tessuto sociale e indeboliscono la democrazia americana.
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Quello di un leader dell'economia digitale che finanzia decine di società di comunicazione per diffondere messaggi anti TikTok cercando di travestire una campagna aziendale da movimento di opinione pubblica è un brutto spettacolo. Che diventa pessimo se lo alimenta il principale canale d'informazione dell'umanità che dovrebbe difenderci dalla disinformazione mentre la sua campagna attribuirebbe a TikTok la diffusione di trend pericolosi nati, invece, su Facebook se sono fondate le denunce del Washington Post e di Insider.
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