Paolo Griseri per “la Stampa”
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Quando i carabinieri del generale Dalla Chiesa perquisirono l'abitazione di Renato Curcio, il fondatore delle Br, trovarono nelle agende l'indicazione degli appuntamenti delle ultime settimane. In diverse date l'indicazione era «Bestia feroce». Un nome in codice, quello di Silvano Girotto, frate Leone, francescano, guerrigliero nel Cile del dittatore Pinochet, un passato nella Legione straniera. Tornato in Italia dal Sudamerica, Girotto aveva accettato di infiltrarsi nelle Brigate Rosse. Fu lui a consentire l'arresto dei fondatori del gruppo armato, Curcio e Franceschini, a Pinerolo, l'8 settembre del 1974. È morto ieri a Torino all'età di 83 anni.
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«Pensavamo che sarebbe sparito e per questo lo interrogammo prima del processo con una testimonianza a futura memoria», ricorda oggi Giancarlo Caselli che con l'allora procuratore di Torino, Bruno Caccia, aveva seguito il tentativo di infiltrazione di Girotto. Anni duri e difficili. L'interrogatorio a futura memoria rende bene il clima di quei giorni. Smentendo tutti i timori "frate mitra" non fuggì. E non venne nemmeno eliminato per vendetta dai brigatisti. Si presentò invece al processo ai capi storici delle Br che si celebrò a Torino nell'aula di corso Vittorio Emanuele nelle settimane del rapimento Moro.
Processo celebrato in una città blindata, quando fu quasi impossibile comporre la corte d'assise perché la paura teneva lontani i giudici popolari. E quando il presidente degli avvocati torinesi, Fulvio Croce, venne assassinato dai brigatisti per il solo fatto di aver accettato la loro difesa d'ufficio.
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I terroristi nelle gabbie ammutolirono quando videro entrare Girotto in aula. Il frate prese posto di fronte alla corte e raccontò i motivi della scelta di infiltrarsi nelle Br. Di come da ragazzo si fosse arruolato nella Legione straniera, di come ne fosse fuggito dopo tre mesi, inorridito dalle torture dei francesi ai prigionieri algerini, della sua conversione religiosa in carcere a Torino, catturato dopo una rapina a un tabaccaio.
Girotto scelse il nome di frate Leone, uno dei più stretti collaboratori di san Francesco negli ultimi anni della sua vita. Dopo la partecipazione alle manifestazioni operaie a Borgomanero (dove diventò "il prete rosso") il frate partì in missione per la Bolivia e qui aderì alla lotta armata contro il dittatore Suarez. Si trovava in Cile nei giorni del golpe appoggiato dalla Cia per rovesciare Salvador Allende. Combatté contro i militari di Pinochet, venne ferito, si rifugiò nell'ambasciata italiana e venne rimpatriato. Era la fine del 1973. Per quale motivo un combattente con questo curriculum decise di condannare la lotta armata e, anzi, di accettare la proposta del generale Dalla Chiesa tentando di infiltrarsi nelle Brigate Rosse?
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In una intervista rilasciata pochi mesi dopo l'arresto di Curcio e Franceschini, "frate mitra" spiegò la nuova conversione: «Nel contesto italiano la lotta armata è un'avventura tragica e senza sbocchi Non sono concettualmente contrario alla lotta armata ma lo sono quando essa non è necessaria. Se tornassi in America Latina - diceva nel 1975 - riprenderei il mitra perché so che là non esiste alternativa».
Pur in assenza dei social, anche all'epoca si sprecarono le dietrologie sulla figura di Silvano Girotto. Alimentate da un particolare che viene ricostruito da Giancarlo Caselli e Mario Lancisi in un libro del 2015 intitolato Nient' altro che la verità.
Per arrivare alle Br Girotto aveva contattato un medico di Borgomanero, Enrico Levati. Pochi giorni prima dell'incontro fissato dal frate con Curcio e Franceschini a Pinerolo (doveva essere l'atto dell'ingresso definitivo del religioso nelle Br) un anonimo telefonò a Levati avvisandolo: «Curcio sarà arrestato domenica a Pinerolo».
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Chi sapeva dell'operazione degli uomini di Dalla Chiesa? E perché nonostante la telefonata non si riuscì ad avvisare Curcio e Franceschini? L'unico messo in allerta fu Mario Moretti, capo della colonna romana e organizzatore, quattro anni dopo, del sequestro e dell'assassinio di Aldo Moro.
Ma il vero segreto, quello che sarebbe rimasto per molto tempo il cruccio di Silvano Girotto, è perché l'Italia, a partire dalla sinistra, lo abbia considerato, in fondo, un traditore e non un benefattore, come effettivamente fu. L'arresto di Curcio e Franceschini ebbe un peso determinante nella lotta alla lotta armata. Senza quell'arresto non ci sarebbe stato il processo ai capi storici delle Br che nei giorni del sequestro Moro sarebbe diventato il contraltare ai proclami brigatisti, la dimostrazione che, nonostante le difficoltà, lo Stato c'era, continuava a funzionare, non era stato colpito al cuore come volevano far credere i terroristi. Girotto si è spento mercoledì sera a Torino, circondato dalla moglie boliviana (conosciuta durante la resistenza agli squadroni di Suarez) e dai nipoti. Giancarlo Caselli lo ricorda così: «Un uomo dalle mille esperienze e dalle mille sfaccettature, certamente un uomo decisivo nel contrasto alla lotta armata».
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