Andrea Andrei per “il Messaggero”
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Stavolta non si può sbagliare. Per Facebook le prossime elezioni americane del 3 novembre rappresentano una prova cruciale, non solo per la credibilità, ma per la tenuta stessa della piattaforma. D'altronde proprio le scorse elezioni presidenziali degli Stati Uniti, quelle del 2016, hanno rappresentato una delle peggiori crisi della storia del social network, accusato di aver permesso intrusioni da parte della Russia con campagne mirate di disinformazione che avrebbero falsato il risultato delle votazioni.
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«Da allora abbiamo triplicato i nostri sforzi per vigilare sulla sicurezza della nostra piattaforma», ha sottolineato ieri Nick Clegg, vicepresidente degli Affari globali dell'azienda, durante una tavola rotonda virtuale con le maggiori testate internazionali, «con un team a cui oggi lavorano più di 35 mila persone».
Non solo, Clegg (che in Gran Bretagna fu vice primo ministro di David Cameron dal 2010 al 2015) ha anche rivendicato che il colosso di Menlo Park ha «aiutato finora 2,5 milioni di persone a registrarsi al voto su Facebook, Instagram e Messenger», tramite un Centro informazioni sul voto avviato lo scorso agosto negli Usa, e «da marzo a maggio abbiamo rimosso più di 100 mila contenuti sulle nostre piattaforme per aver violato le nostre regole sulle interferenze politiche».
I RISCHI
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Clegg ha anche ricordato che dal 2017 l'azienda di Mark Zuckerberg è stata in prima linea nel «proteggere oltre 200 elezioni in tutto il mondo, Europa compresa». Lo stesso Centro informazioni fu aperto anche in Italia, nel 2018. Ma l'appuntamento elettorale del 3 novembre negli Stati Uniti, che vedrà il democratico Joe Biden sfidare il presidente repubblicano Donald Trump, sarà un banco di prova ben più insidioso, soprattutto perché, dopo che lo stesso Trump ha più volte negli scorsi giorni messo in discussione la regolarità del procedimento elettorale (si riferiva in particolar modo alle votazioni via posta, che potrebbero favorire i democratici), il timore di disordini in America è molto alto.
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Ne ha parlato anche lo stesso Clegg in un'intervista al Financial Times il 22 settembre, dicendo che Facebook è pronta «a bloccare in maniera significativa i contenuti» sulla piattaforma in caso di disordini violenti dopo le elezioni, cosa che avverrebbe per la prima volta in una democrazia occidentale.
Una dichiarazione, la sua, che più che tranquillizzare gli animi ha in realtà dato l'impressione che Facebook non abbia la sicurezza di poter gestire la situazione. Senza considerare che Facebook, a causa dell'algoritmo che regola i contenuti visibili da ogni utente sulla propria bacheca e che favorisce il dilagare delle fake news, viene accusato di essere responsabile della polarizzazione del sistema democratico, soprattutto negli Usa, dove i contrasti fra democratici e repubblicani si sono enormemente inaspriti nell'ultimo decennio.
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Il piano d'azione per cercare di uscire indenni da questa situazione ingarbugliata, secondo Clegg, prevede «combattere le interferenze, la disinformazione e fornire trasparenza nella pubblicità politica». Ma per farlo, Facebook è costretta a prendere posizione, almeno per cercare di ristabilire un concetto che il funzionamento del social mette in discussione: la verità. «Non accetteremo che un candidato o una forza politica proclami la vittoria finché non sarà ufficiale. Per questo agiremo in partnership con Reuters.
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Applicheremo un'etichetta informativa ai contenuti che cercano di delegittimare il risultato delle elezioni o di mettere in discussione la legittimità dei metodi di voto», ha annunciato ieri Clegg, che ha anche ricordato come l'azienda abbia «bandito 250 organizzazioni suprematiste bianche da Facebook e Instagram». Gli annunci politici saranno limitati nella settimana prima del voto e «gli inserzionisti politici devono essere autorizzati e dimostrare di trovarsi nel Paese in cui desiderano pubblicare gli annunci». Che siano misure efficaci o palliativi lo scopriremo presto.
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