Giacomo Amadori per “Libero quotidiano”
Oscar Natale (come il nonno) Farinetti, con quel suo accento da albese doc che ti convincerebbe a comprare pure un trattore usato, ha annunciato che Eataly è pronta a sbarcare in Borsa: «Ci metteremo dentro il 33 per cento, il resto resterà alla mia famiglia, che detiene il 60 per cento della holding, e i miei figli resteranno lì a fare gli amministratori delegati, perché sono più bravi di me ed è il motivo per cui io me ne vado».
LIBRO FARINETTI
In verità l’autorottamazione l’aveva già annunciata e per lo sbarco in Borsa deve probabilmente fare un piccolo ringraziamento a Libero che nel gennaio 2014 aveva ricordato a Oscar che il 60 per cento della holding di famiglia, la Eatinvest srl, era schermato da due fiduciarie piuttosto chiacchierate: la Comitalia spa di Milano e la Comfid srl di Como. Le stesse che, secondo il Fatto quotidiano, sono state usate in alcuni affari della ’ndrangheta.
Un biglietto da visita non dei migliori per chi voglia entrare nel tempio del capitalismo nostrano. Con Libero Farinetti provò a traccheggiare: «Non lo so, giuro che non lo so, devo chiedere. (…) Penso che i miei utilizzino delle fiduciarie perché siamo molti soci e così per fare una firma sola e non mille».
Obiettammo che le uniche quote anonime era quelle riconducibili alla sua famiglia. Allora riacquistò la memoria: «Beh allora saranno i miei tre figli che hanno il 20 per cento l’uno. Io non possiedo più nulla. Io ho intestato tutto ai miei tre ragazzi che sono bravi» ci disse e aggiunse: «Se fanno qualcosa dal punto di vista fiscale, agiscono con giudizio, (…) poi se c’è da fare un condono lo fanno (Oscar Farinetti ha aderito a quello del 2001-2002 ndr), ma rispettando le regole». Il patròn di Eataly ci spiegò che l’escamotage era servito ad aggirare una legge americana «un po’ proibizionista», quindi annunciò: «Ora il problema è risolto e toglieremo queste fiduciarie».
renzi farinetti eataly
In effetti, a tempo di record, un mese dopo il nostro articolo, il 24 febbraio 2014, quei bravi ragazzi, Francesco (34 anni), Nicola (30) e Andrea (24) Farinetti si recarono presso lo studio del notaio albese Barbara Pilepich per apporre le proprie firme sull’atto di reintestazione del 60 per cento delle quote di Eatinvest messo a punto nello studio del notaio milanese Lorenzo Stucchi il 18 febbraio, insieme con i rappresentanti legali di Comfid e Comitalia.
Nell’occasione non girarono soldi visto che, come si legge nell’atto, il trasferimento avvenne «senza corrispettivo, trattandosi di reintestazione da parte di fiduciaria ai legittimi proprietari». Libero ha costretto Farinetti alla resipiscenza anche in un secondo caso. La questione riguarda il padre di Oscar, Paolo Farinetti, valoroso e decorato comandante partigiano. Nel 2013 Eataly diede alle stampe una piccola agiografia dal sottotitolo eloquente: «La leggenda del Comandante Paolo e della XXI Brigata Matteotti».
farinetti sul cantiere di eataly a roma
Il tomo conquistò, ça va sans dire, il «Premio comandante Paolo Farinetti» voluto dalla di lui famiglia. Nella biografia si ricordava che «a guerra finita Paolo Farinetti cominciò anche una brillante carriera imprenditoriale», ma si tacevano le traversie giudiziarie, conseguenza di una rapina realizzata nel 1946 ai danni della Fiat da tre ex partigiani della Matteotti. Chiedemmo a Farinetti se ricordasse quel processo, in cui venne coinvolto il genitore, e lui ci rispose in questi termini: «Io no, non perda tempo con queste cagate. Questa è macchina del fango totale».
Quindi ci richiamò per dare il suo contributo alla ricostruzione dei fatti storici: «Vorrei che scrivesse che successivamente mio padre è stato completamente assolto e riabilitato per non aver commesso il fatto». In realtà le cose andarono un po’ diversamente e Farinetti ha deciso di metterlo nero su bianco nel suo ultimo libro, dedicato proprio al comandante Paolo e intitolato «Mangia con il pane».
A costo di un certo travaglio interiore: «Ho l’impressione che lui, dovunque si trovi ora, non sia d’accordo. Perdonami papà». Nel capitolo sulla «Rapina del ’46», che fruttò oltre 2,5 milioni di lire, Farinetti ci informa che gli autori di quell’azione non erano «partigiani di retrovia», ma «erano stati dei valorosi combattenti, amici di mio padre».
PAOLO FARINETTI
Oscar, anche se «niente può giustificare un crimine», rintraccia motivazioni ideali e politiche per quell’azione. Quindi, con una certa franchezza e attraverso le parole della madre, racconta perché il padre sia stato condannato a 2 anni e sei mesi di carcere (pena condonata) e a una sanzione di 5mila lire per ricettazione: «Tuo padre, tempo prima, aveva imprestato duecentomila lire a uno dei tre componenti della banda. Aveva anche venduto a credito un camioncino a un altro di loro per circa trecentomila lire. Quando confessano a Paolo di aver compiuto il crimine, lui va su tutte le furie e li rimprovera pesantemente. Tuttavia non li denuncia e, cosa ancora più grave, accetta la restituzione di quanto gli dovevano».
RED RONNIE OSCAR FARINETTI GINO PAOLI
Il 15 luglio del 1947 il procuratore generale di Torino, Villa, «escluso il movente politico della rapina, versione dell’ultima ora» chiede per Farinetti una condanna a 6 anni e 9 mesi di prigione e 13.500 lire di multa, ma la sezione ordinaria della Corte d’assise, il giorno dopo, lo giudica «colpevole di ricettazione anziché di rapina» e ne ordina la scarcerazione. Ma perché lo puniscono, se non aveva partecipato in nessuno modo al colpo?
Oscar, sul punto, non la cita, ma Libero ha recuperato la sentenza originale: «Paolo Farinetti sapeva perfettamente che i denari a lui versati dai compagni (586mila lire in tutto: 386mila per il furgone usato nella rapina, 200mila per un vecchio credito “più o meno dimostrato verso la cooperativa partigiana” ndr) erano proprio il provento del delitto commesso (…) è evidente invero come egli abbia voluto approfittare della situazione per sbarazzarsi di un autoveicolo (…) favorendo un amico che in condizioni normali non sarebbe stato in grado di acquistarlo e per porsi in grado di soddisfare anch’egli il debito di lire 200mila che aveva verso il signor Cartagenova».
Il collegio non concede agli imputati nessuna giustificazione ideale: «Vi è una prova imponente e irrefutabile che il delitto è stato commesso per un comunissimo fine personale (…) il denaro frutto della rapina è rimasto in mano ai principali esecutori che lo hanno impiegato per fini esclusivamente personali, per acquisti vari, in pagamento di debiti personali (vedi Farinetti ndr) e anche nel gioco».
OSCARI FARINETTI
Nonostante la condanna, Oscar ci informa che il suo papà «era deciso a dimostrare di essere innocente» e che «non fu né semplice né facile comprovare la sua buona fede. (…) Ci vollero tredici anni (…) fino al 30 dicembre 1960, quando arrivò la riabilitazione completa». Per amor di precisione la Corte d’appello di Torino motivò la sua decisione specificando che il ricorrente, condannato in via definitiva, dal 1946, non aveva commesso «altro delitto» e aveva tenuto «buona condotta (…) tale da far presumere il suo ravvedimento».
OSCARI FARINETTI
Eppure al giornalista del Corriere della sera Aldo Cazzullo, albese come Farinetti, la riabilitazione sembra non bastare e nella sua recensione di «Mangia con il pane» azzarda una revisione del processo: «L’autore (Oscar Farinetti ndr) non tace (…) la questione della rapina del 1946, commessa - a sua insaputa - da tre uomini del comandante Paolo, che fu assolto: ma questo non impedisce oggi ai numerosi nemici, di destra e di sinistra, che il successo ha procurato a Farinetti di usarla come arma polemica nei suoi confronti». Per fortuna Oscar ha anche qualche amico pronto a sbianchettare le sentenze.