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    FELLINI WESTERN – COWBOY, BANDITI, CAVALLI E SCERIFFI: L’UNICA VOLTA IN CUI IL REGISTA SI CIMENTO’ COL GENERE WESTERN FU IN “TOBY DAMMIT” (EPISODIO DEL FILM "TRE PASSI NEL DELIRIO"). LA SCENA, REALIZZATA A ROMA NEGLI STUDI ELIOS SULLA TIBURTINA, VENNE TAGLIATA: ORA QUELLE IMMAGINI RIEMERGONO GRAZIE A UN REGISTA SPAGNOLO E A UN RIGATTIERE ROMANO – LO SCENEGGIATORE BERNARDINO ZAPPONI DISSE CHE QUELLA SEQUENZA COL FILM NON C’ENTRAVA NULLA. ERA UN ERRORE - FELLINI OBIETTÒ CHE ERA COSTATA CINQUANTA MILIONI DI LIRE, MA ALLA FINE SI CONVINSE E LA TAGLIÒ – LIBRO+VIDEO


     
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    Alberto Anile per il Venerdì - la Repubblica - Estratti

     

    federico fellini TOBY DAMMIT SCENA WESTERN TAGLIATA federico fellini TOBY DAMMIT SCENA WESTERN TAGLIATA

    Tutta colpa di Bernardino Zapponi. Il suo amico Fellini aveva girato, per la prima e unica volta nella sua carriera, una scena western. Pure costosetta. Preparata, realizzata e montata. Quando Toby Dammit fu pronto per essere proiettato, Zapponi, allora alla sua prima sceneggiatura con il Maestro, si fece cogliere dagli scrupoli. Federico «gli aveva dato dentro, con corpi trascinati dai cavalli, case che crollavano e salti acrobatici.

     

    In mezzo a questa sarabanda arrivava Toby Dammit, smarrito; lì incontrava un collega, finito male anche lui eccetera. Questa sequenza, sebbene di per sé ottima, non c’entrava niente con il resto del film. Era una gobba. Un errore». Fellini obiettò che era costata cinquanta milioni di lire, ma alla fine si convinse e la tagliò. «Indubbiamente sarà conservata in qualche cineteca», scriveva anni dopo Zapponi con un’ombra di rimpianto. Proprio per niente: cercata e stracercata, quella sequenza non si è più vista. Perfino le copie consultabili della sceneggiatura, in Italia e in America, non ne conservano traccia. Resta solo un servizio Rai di Lello Bersani dove s’intravedono banditi, sceriffi e corse a cavallo davanti a un saloon.

    federico fellini abbraccia terence stamp TOBY DAMMIT federico fellini abbraccia terence stamp TOBY DAMMIT

     

    A trent’anni dalla scomparsa di Fellini (31 ottobre 1993) e a cinquantacinque dall’uscita del film (12 settembre 1968), riemergono decine di scatti inediti della famosa scena. Un ritrovamento eccezionale, dal quale il «Venerdì» ha potuto pescare in anteprima mondiale.

     

    Toby Dammit è un episodio di 43 minuti, realizzato per Tre passi nel delirio, omaggio corale a Edgar Allan Poe (gli altri due episodi sono di Louis Malle e Roger Vadim). Nato come lavoro d’occasione, per Fellini diventò molto di più, in un’intervista del ’71 lo definì addirittura la sua pellicola «più rappresentativa». Toby Dammit arriva subito dopo il più famoso film non realizzato della storia del cinema, Il viaggio di G. Mastorna, una grottesca incursione nel dopovita a cui Fellini aveva appena rinunciato. Dal Mastorna, Toby Dammit ha ereditato l’aspetto mortuario e l’impostazione allucinata, oltre all’avvio in aeroporto. Il protagonista, truccato come un Edgard Allan Poe beat, è Terence Stamp, reclutato grazie al fatto che Antonioni lo aveva licenziato all’ultimo momento da Blow-Up preferendogli David Hemmings.

    TOBY DAMMIT 23 TOBY DAMMIT 23

     

    Stamp interpreta un attore inglese depresso e sballato, volato a Roma per interpretare Trenta dollari, «il primo western cattolico»; come trama «il ritorno del Cristo in una desolata terra di frontiera», stile «fra Dreyer e Pasolini; con un pizzico di Ford, beninteso», registi i fantomatici fratelli Manetti (che non sono i Marco e Antonio degli ultimi Diabolik ma gli immaginari Maurizio ed Ernestino, forse caricatura di Gian Luigi e Brunello Rondi). Per questo film nel film, Toby ha chiesto di essere pagato con una Ferrari (come Pasolini per interpretare Requiescant di Lizzani), che – dopo un’allucinata serata di gala – gli farà però trovare la morte, decapitato da un filo d’acciaio steso in autostrada sopra un ponte crollato.

    TOBY DAMMIT TOBY DAMMIT

     

    Su Toby Dammit si potrebbe indagare all’infinito, chiedendosi che fine abbia fatto Marina Yaru, interprete della bambina/demonio che attira Toby sul ponte, oppure seguendo le tracce della Ferrari 330 LMB Fantuzzi Spyder, più volte riutilizzata e riverniciata, oggi tornata rossa per un collezionista di Long Island. Ma il mistero più affascinante riguarda quella sequenza western, realizzata in due giorni del novembre 1967 negli studi Elios di Alvaro Mancori, sulla Tiburtina, gli stabilimenti in cui all’epoca si giravano anche otto western contemporaneamente.

     

    Nel film è ancora rintracciabile un accenno. Lasciato l’aeroporto, un uomo della produzione grida all’auto di Toby: «Andiamo al villaggio western... veniteci appresso». Dopo alcuni giri nel pittoresco traffico capitolino, i fratelli Manetti e il divo inglese sbarcano invece in uno studio televisivo: la scena western veniva giusto prima.

     

    FEDERICO FELLINI sul set toby dammit FEDERICO FELLINI sul set toby dammit

    Le foto sono state rinvenute, un po’ per un caso un po’ per fiuto, dallo spagnolo Juan Manuel Chumilla-Carbajosa, regista con studi italiani e una passione invincibile per Fellini. Durante un viaggio a Roma, curiosando da un rigattiere a Testaccio, aveva intravisto una foto con il profilo di Terence Stamp su quello che pareva uno sfondo western; il commesso gli disse che si trattava di un film di Fellini e che quel negativo faceva parte di un archivio appena rilevato. «Non può essere!, mi sono detto», racconta oggi Chumilla-Carbajosa. «Col telefonino ho fatto una foto al negativo, con un’app l’ho trasformato in positivo e ho capito che era Toby Dammit. Brivido ed emozione». 

     

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    TERENCE STAMP TOBY DAMMIT TERENCE STAMP TOBY DAMMIT

    Le foto mostrano Fellini che abbraccia Stamp, ancora Fellini con Zapponi, e tecnici che spingono l’auto di Dammit, ora in versione intera ora segata a metà per infilarci la cinepresa. Ma soprattutto si vedono squarci della famosa sequenza: l’auto di Dammit che entra nel villaggio western, il bandito con un foro di pistola al centro della fronte, le prostitute che si fanno il trucco e parrucco davanti al saloon, il cowboy sanguinante che si avvicina all’auto. «Ci sono tutti gli archetipi del western», dice Chumilla-Carbajosa, «pure in modo esagerato: l’impiccato, il cowboy trascinato dal cavallo, le ragazze del saloon, il cattivo, la diligenza. Non ci sono indiani, e questo è curioso». Anche perché l’unica altra volta che Fellini sfiorò il western, alla fine di Intervista, ce li mise, benché armati metaforicamente di antenne tv.

     

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    Ora le foto avranno una sorta di trailer in un libro che in questo trentennale felliniano sarà pubblicato in Spagna, in tiratura limitata (il numero di copie sarà ovviamente quello del diavolo, 666). Si lavora a una docufiction, per la quale sarebbe bello rimettere Terence Stamp al volante di una Ferrari, e soprattutto a una mostra immersiva che nel 2024 aprirà in Spagna. «Ma che io vorrei fare anche in Italia e con la collaborazione dell’Italia», dice Chumilla-Carbajosa, «perché, anche se Fellini è universale, la sua opera è innanzitutto patrimonio del cinema italiano».

    BERNARDINO ZAPPONI 2 BERNARDINO ZAPPONI 2 BERNARDINO ZAPPONI BERNARDINO ZAPPONI

     

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