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    JANNIK SINNER E LO SCANDALO SCOMMESSE NEL CALCIO: “UN AMBIENTE DIVERSO DAL TENNIS” (MICA TANTO: SI SCOMMETTE, E TROPPO, ANCHE NEL TENNIS) – IL NUMERO 4 DEL TENNIS MONDIALE SI RACCONTA ALLA VIGILIA DELLE "FINALS" DI TORINO (ESORDIO DOMENICA CON TSITSIPAS, NEL GIRONE CI SONO ANCHE DJOKOVIC E RUNE) – “RESPINGO IL CONCETTO DI ESSERE UN’AZIENDA. IL MIO OBIETTIVO NON È FARE SOLDI: È DIVENTARE LA MIGLIORE VERSIONE DI ME POSSIBILE. NUMERO UNO DEL MONDO? BOH, VEDREMO – LA RESIDENZA A MONTECARLO? UNA SCELTA PROFESSIONALE, NULL’ALTRO. IO DEVO PENSARE AD ALLENARMI NEL MODO MIGLIORE, SENNÒ NON PROGREDISCO” - E SUL PARAGONE CON PANATTA...


     
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    Gaia Piccardi per https://www.corriere.it/sette/attualita/23_novembre_10/jannik-sinner-intervista-301c8aee-7d45-11ee-8bbd-2076da079d53.shtml

     

     

     

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    Bianco come il latte, rosso come il sangue, Jannik Sinner è la palla di neve rotolata giù dalle montagne e diventata valanga, il primo vero potenziale numero uno italiano del tennis mondiale (a 22 anni è salito fino al n.4) dai tempi di Adriano Panatta. I paragoni gli fanno storcere il naso («gioco per me, non per superare chi mi ha preceduto»),

     

    la storia della Davis ‘76 conquistata nel Cile di Pinochet con le magliette rosse l’ha orecchiata però essendo nato il 16 agosto 2001, leone, figlio della piccola borghesia altoatesina, Millennials moderno e pragmatico, guarda avanti, mai indietro: nello zaino solido talento, fredda ironia («ho l’abbronzatura del muratore...» sorride spogliandosi per le foto), lucidità assoluta. Nella distribuzione delle anime gli Dei del tennis ci hanno assegnato Sinner: è andata bene.

     

    Quell’angolino d’Italia di confine fin qui aveva prodotto atleti a proprio agio sottozero (più un controverso marciatore); lui ci è andato vicino, poi ha deviato verso un pendio meno scontato. La rivoluzione è cominciata in quel momento, rifiutandosi di accondiscendere a un destino che sembrava scritto per prenderne a pallate uno tutto suo.

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    Dopo i successi a Pechino e Vienna le Atp Finals l’aspettano come un messia, Jannik.

    «Il sogno di chiunque. I migliori otto dell’anno, a Torino. Era il mio obiettivo di inizio stagione, l’ho centrato in anticipo. Sono contento: è la conferma di un lavoro che funziona e di una stagione stabilmente ad alto livello. Bisogna anche considerare con quanti tornei ci si qualifica per le Finals, con quali risultati...».

     

    Biglietti sold out da settimane. Perché piace tanto?

    «Secondo me ci sono due cose da considerare. Io non sono solo, la storia del tennis italiano la stiamo facendo da anni: Fognini, poi è arrivato Berrettini, poi io; in questo modo quasi ogni settimana un italiano arriva in fondo a un torneo. I tifosi, abituati al calcio, hanno detto: okay, c’è anche il tennis, e sta crescendo! Di un secondo aspetto parlavo recentemente con il mio coach australiano, Darren Cahill: tu sei ancora giovane, mi diceva, però a un certo punto ti renderai conto di non giocare solo per te stesso ma anche per i tifosi».

     

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    Quasi un concetto di squadra, come in Davis.

    «È una motivazione in più. La vita da globe-trotter non è semplice tra fusi orari, superfici, continenti. Giocare a Torino per me vuol dire tanto anche perché vivrò l’esperienza con il pubblico di casa. È una mentalità nuova, nella quale comincio a entrare. Mi piace quando la gente sale sul mio carro. Anche per questo ci tengo a far bene alle Finals».

     

    A Torino la sfida, sconfitti più volte Alcaraz e Medvedev, sarà battere Novak Djokovic. Perché il serbo è diverso?

    «Perché ti ritrovi davanti uno che ha vinto 24 Slam, tre su quattro solo quest’anno. A livello di risultati, il migliore che questo sport abbia mai avuto. Io spero di incontrarlo prima possibile, già nel girone, sono le partite importanti per la crescita, quelle per cui dico: vinco o imparo. Djokovic mi dirà dove sono. Io mi ci sono sentito più vicino quest’anno in semifinale a Wimbledon, pur perdendo in tre set, che l’anno scorso nei quarti, quando avevamo lottato per cinque. Non vedo l’ora. Sono le partite per cui mi alleno tutti i giorni, quelle che mi caricano di pressione».

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    (…)

    Che tipo di dubbi?

    «Dopo l’allenamento mi chiedo: ho fatto abbastanza? Potevo sforzarmi di più? È il mio lavoro, ci tengo. C’è chi pensa di lavorare troppo, io penso sempre di non aver lavorato a sufficienza. La mia mentalità è questa. Anche quando arrivo a sera schiantato dalla stanchezza, mi interrogo».

     

    Chiede tanto a se stesso, Jannik, ma sa perdonarsi?

    «Ho i miei tempi, dipende. Con Alcaraz a New York, quando ho sprecato il match point, sono andato avanti a pensarci un po’. Ma non sono uno che si porta dietro le cose per giorni. Con Shelton a Shangai ho perso alle dieci di sera, c’era un volo per l’Europa all’una e mezza, ho detto: prendiamolo. In aereo già scherzavo con il team: pensa te, ho sbagliato il rovescio sul 4-3, era palla break... E ci siamo messi a ridere. Voglio capire, non voglio vivere di rimpianti».

     

     

    (…)

    Più che normale. Però tutto, anche il lutto, è subordinato al tennis.

    jannik sinner e la famiglia jannik sinner e la famiglia

    «Per il tennis sono andato via di casa a 13 anni. Mi dà emozioni positive e negative, gioie e dolori. Mi dà tutto. Respingo il concetto di essere un’azienda: il mio pensiero non è il fatturato, non sono mai i soldi. Se lo fossero giocherei sempre, accetterei le esibizioni, non prenderei pause. A me al contrario interessa alimentarmi bene, dormire le ore giuste, mangiare a casa ogni volta che posso, farmi trovare in campo pronto la mattina dopo. Pronto a migliorare.

     

    Se non gioco il Master 1000 di Madrid o il girone di Davis, e capisco che i tifosi magari ci rimangono male, è perché sono a Montecarlo che mi spacco di lavoro. Il mio obiettivo non è fare soldi: è diventare la migliore versione di me possibile. Numero uno del mondo? Boh, vedremo. Magari n.4 è il mio limite. Desidero scoprirlo. E per farlo devo dire di no a qualcosa, sennò la stagione diventa interminabile. Quest’anno chiuderò con 22 tornei giocati: meno gare, più blocchi di lavoro. Dicono: Jannik è diventato più muscoloso. Eh, certo... Anziché andare in giro mi sono chiuso in palestra. Solo così si cresce, secondo me».

     

    Montecarlo, ecco.

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    «È una scelta professionale, null’altro. A Montecarlo giochi all’aperto tutto l’anno, ci sono tutti i top player, i campi sono sempre a disposizione: sembra un Master 1000. Con chi giocherei in Italia? E io devo pensare ad allenarmi nel modo migliore, sennò non progredisco».

     

    Essersi reso disponibile per giocare le finali di Davis a Malaga rabbonirà quella quota di tifosi delusi?

    «Spero di sì. Però sia chiaro: se vedrò difetti nel mio tennis, farò sempre la scelta di migliorare me stesso. Se non sei al top, se scendi di rendimento del 3%, gli altri ti sbranano. Non mi piace commettere lo stesso errore due volte».

     

    In Italia è divampato lo scandalo delle scommesse nel calcio, da Fagioli a Tonali coinvolge giovani della sua età. L’abbiamo fatto per noia, dicono.

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    «Sono ambienti diversi, io quello del calcio non lo conosco. Ma nemmeno la noia so cosa sia. Questa è la vita che sognavo da bambino, la proteggo. E se proprio mi annoio, mi costringo a prendere in mano un libro: non voglio stare troppo sul cellulare. Ho in valigia La cena , un thriller: due coppie si ritrovano il 31 dicembre, e succede un casino. Vediamo se arrivo in fondo...».

     

    Natale alle Maldive, come le celebrities ?

    «Ma no. Sono sempre via, la regola base è: Natale con la famiglia, tra le montagne. Con sciatina già programmata la mattina del 25 dicembre».

     

    A 22 anni, qual è il suo sogno di felicità, Jannik?

    «La salute dei miei. E continuare a vivere la vita che piace a me, anche dopo lo sport. Ci penso: chissà cosa farò, poi? Di certo desidero occuparmi delle cose che posso controllare: la dedizione al lavoro, la programmazione, la mia testa, che mi sto impegnando a conoscere. Il resto, che vada come deve andare. Ma spero di rimanere bambino il più a lungo possibile perché solo i bambini, facendo cose semplici, sanno godersi il momento».

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