Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
E nel caos di forza Italia, là dove il vuoto di potere si confonde e si perde nel pieno delle zuffe e dei voltafaccia, può ergersi finalmente la figura di Renato Brunetta.
BRUNETTA ITALICUM
Il quale bene o male dà la linea, come si diceva un tempo, a un gruppo parlamentare per metà vanamente fanatizzato e per l’altra metà sull’orlo della separazione e magari del tradimento. E ha preso a twittarla pure come un selvaggio, questa linea alla fine quasi tutta sua, in un crescendo di divertiti singulti pop-dialettali - «E mo’?», «Paura, eh?» - e di apocalittiche figurazioni che sul suo privato bollettino, Il Mattinale, si stagliano sotto la testata con una grafica tipo spray sui muri.
«No al fascismo renziano!», tanto per dire. «La democrazia sotto il tallone della dittatura renziana», per gradire. Oppure, più meditabondo: «Nulla sarà più come prima». Da cui, come tanti anni orsono, l’annuncio, degno del Poe primissimi anni 80: «E ora Comitato di Liberazione Nazionale da Renzi».
BRUNETTA ITALICUM
Nella società dell’enfasi, per la verità, la scritta di ieri suonava quasi moderata e anche un pochino criptica: «Renzi sempre più solo vende la scuola alla Cgil». A occhio, né la solitudine del premier né la sua disponibilità verso il sindacato della Camusso paiono, almeno al momento, nel novero del possibile. Ma oltre a fuggire spesso le risultanze fattuali, la post-politica, al culmine dei processi di personalizzazione, impone agli osservatori un sovrappiù di curiosità per il carattere degli individui - e il capogruppo ha certamente carattere.
Per cui, anche senza indulgere a diagnosi di vieta e orecchiante introspezione psicanalitica, ci si limita a constatare che in questi ultimi e tumultuosi accadimenti l’ego del già pugnace Brunetta si è dispiegato, per non dire che si è dilatato, oltre ogni ragionevole previsione in tal modo consentendo al personaggio di assurgere a un ruolo di mattatore.
BOSCHI ITALICUM
Oltre dieci anni del resto sono trascorsi dai primi indimenticabili crash show. Se la memoria non inganna era il 2004 quando a Ballarò l’onorevole Franceschini, ormai sopraffatto da cifre ed esecrazioni tributarie, incautamente esortò l’allora economista da combattimento a «prendersi una camomilla ». Non l’avesse mai fatto: che impeto! che strepiti! « Prenditea te ‘ a camomia!
Prenditea te ‘ a camomia! » gridava sia pure fuori campo con quella cadenza veneta che «in bocca alle belle donne è un piumino, ma in bocca a certi uomini una grattugia» (Montanelli, su Visentini).
Bene, l’altro giorno non è sfuggito alle cronache il modo anche insinuante e fin troppo personalizzato con cui Brunetta ha cercato di raschiare («volubile» e «amante del potere») l’orgoglio di Maria Elena Boschi in un battibecco in fondo originato da una battuta di lei sul «cambio d’umore» di lui. Questo d’altronde passa il circo degli odierni duelli, e chi se ne accontenta va perdonato.
renato brunetta simone baldelli e luca telese (4)
Così come, in versione di spettacolare mutismo, bisognava averlo visto poco prima del voto finale sull’Italicum, allorché ritto nell’emiciclo di Montecitorio, Brunetta ha passato una buona mezzora a guardare fisso negli occhi, fra l’ipnotico e l’intimidatorio, tutti i potenziali deputati che almeno in teoria resistevano alla sua decisione di Aventino integrale - e in pratica solo tre gli hanno disobbedito, ma uno solo ha votato.
Schiacciato tra ondivaghi e misteriosi seguaci di Fitto e sfuggenti fedeli di osservanza nazarenico-verdiniana, si direbbe che il capogruppo, con il suo enorme telefonino sempre tra le mani, abbia imparato a districarsi approfittando dell’assenza del Fondatore e Presidentissimo, che lo ritiene un sublime rompiscatole, ma proprio per questo, ora che è alle prese con le aziende, gli impicci famigliari e il Milan, ne apprezza la disinteressata aggressività, certo più di tanti infidi opportunisti.
renato brunetta pierfrancesco pingitore
E anche qui è a suo modo una rivalsa giacché a lungo, nei giochi cortigiani del periodo d’oro, Brunetta si è sentito sotto-utilizzato da Berlusconi, e pare facesse per questo scene dell’altro mondo; rinfrancato solo allorché il Cavaliere lo «sguinzagliava» - come da poco simpatico verbo utilizzato da Cicchitto, peraltro testimone di nozze di Renato - per slanciarlo contro l’allora ministro dell’Economia Tremonti. E anche di questa indotta e inestinguibile rivalità, pure certificata da spassosi siparietti e fuorionda nella sala stampa di Palazzo Chigi, il sistema mediatico si è compiaciuto, per la delizia dei guastafeste e degli apprendisti sicari.
Strani percorsi conducono dunque i poveri eroi della politica post-ideologica verso il più sospirato risarcimento personale. Che questo avvenga a ridosso del disastro collettivo ne accresce lo spessore umano e forse la nobiltà, ma anche l’insignificanza
renato brunetta e carlo ripa di meana renato brunetta renato brunetta con marina ripa di meana