TRUMP
Luigi Bolognini per la Repubblica
È quasi frastornato William Finnegan, firma di punta del New Yorker, premio Pulitzer per il magnifico Giorni selvaggi (in Italia edito da 66th and 2nd), un libro che racconta il surf come mai prima, come una pratica zen nella quale conta cercare l’onda perfetta sapendo che forse non arriverà mai. Ed è sull’onda finale che si sono decise le presidenziali americane. E in un modo che nemmeno anche un profondo conoscitore dell’America come lui immaginava.
Come spiega il risultato di Trump?
WILLIAM FINNEGAN
«Con una sola parola: una rivoluzione. Che un simile candidato, che non sa strutturare non dico un pensiero, ma una frase, che dice solo volgarità, un buffone arricchito, ecco, che uno così sia stato considerato credibile dall’elettorato è una rivoluzione. Ha portato anche nella politica americana, che ne sembrava immune, il populismo all’europea, anzitutto quello di Berlusconi, cui somiglia moltissimo per il sessismo, la provenienza sociale, il mondo della tv.
sostenitori di trump
Anche per questo lascia un partito repubblicano comunque in macerie: Trump non aveva un proprio movimento politico, tanto che si è dovuto appoggiare al Gop, alienandogli per queste e per le prossime il voto delle tante minoranze, come i latinos e i neri, oltre che ovviamente le donne».
Eppure eccolo lì, fino in fondo. Non crede che sia dipeso anche dalla debolezza della candidatura avversaria?
«Della candidatura sì, della candidata no. Hillary è capace e intelligente, ma ha giocato malissimo, credendo di aver già vinto. E non ha il carisma del marito Bill o Obama, gente che sa sedurre, entrare in sintonia con chiunque. Paradossalmente anche Trump è uno vero. O meglio, è falsissimo, ma c’è dell’evidente, grossolana, genuinità in quel che dice, e questo alla gente è piaciuto, ogni gaffe quasi lo ha rafforzato. E Hillary è molto impopolare, diciamolo tutto, antipatica. E poi è una donna, e molti elettori non si fidano a nominare una donna comandante in campo. Le candidature in fondo si sono sorrette tra di loro: chi ha votato uno dei due lo ha fatto contro l’altro e viceversa ».
TRUMP FINNEGAN
Si pensava che queste elezioni sarebbero state decise dai Millennial, la generazione dei nati dal 1982 fino – ora – al 1998, finalmente tanti quanti i baby boomer, la generazione tra gli anni ‘40 e ‘60, una settantina di milioni.
«L’hanno fatta, la differenza. Andando o no alle urne, più che scegliendo l’uno o l’altro candidato. I venti-trentenni in America, sono molto più per i democratici che per i repubblicani. Per vari motivi. Il principale è che chi è stato adolescente nel Terzo Millennio non se ne fa niente di uno slogan che richiama gli anni Ottanta come “Make America great again” di Trump: non può avere nostalgia di qualcosa che non vissuto. Il secondo è stato il carisma di Obama.
Il terzo è che la politica dei democratici è comunque più attenta al sociale e questa è una generazione che vive di incertezze sul futuro. Ma alle primarie il suo vero candidato era Bernie Sanders, paradossalmente il più anziano, eppure quello che più sapeva parlarle di futuro e di idealismo. Il pragmatismo di Hillary piaceva meno, anche se alla fin fine i programmi non erano troppo diversi. Sanders da vero gentiluomo e persona lealissima ha cominciato a fare campagna per la Clinton ventre a terra. Ma la diffidenza, o meglio l’indifferenza dei millennial verso di lei è restata. E ha avuto il proprio peso in questo risultato».
trump donald trumpland
Altri sconfitti sono i sondaggi.
«Sì, ormai la gente mente spudoratamente a certe domande, si vergogna di ammettere di votare certi candidati. Poi però lo fa. Quindi tutti i sondaggi sono sbilanciati verso sinistra. Si chiama Bradley effect, qui, ma bisognerà trovare il modo di riformarli una volta per tutte».
Sia il presidente uscente che quello entrante sono una rivoluzione per gli schemi americani. Il prossimo passo? Un gay? O addirittura un ateo?
«Non esageriamo. Credo un latino, c’è un’ottima generazione che sta crescendo».
TRUMP FINNEGAN donald trump vince le elezioni