Ezio Mauro per repubblica.it
VITTORIO ZUCCONI
Anche quella forza della natura giornalistica che era Vittorio si è fermata. La forza della scrittura, l’impeto del narrare, l’energia della raffigurazione, la potenza della costruzione. E insieme, la felicita’ ogni volta del capire e del raccontare, una sorta di abbandono responsabile e vigile al richiamo della storia, qualcosa di quasi fisico, materiale, dove la vicenda lo dominava possedendolo: finché il suo giornalismo soggiogava la realtà, la penetrava attraversandola, e intanto ricreava un mondo.
Questa capacità di evocare ogni volta un quadro, un paesaggio, un ambiente in cui far muovere come in una piece teatrale i personaggi con le corrette proporzioni della vita era la sua cifra, la qualità specifica del suo lavoro, che portava il giornalismo un po’ più in là dei suoi confini normali. Viveva per raccontare. E attraverso il racconto, capiva e aiutava a capire, cioè muoveva il meccanismo dell’interpretazione e dell’analisi, che in lui sembrava nascere dai fatti, in un’informazione che era insieme grande cronaca, narrazione e commento.
intervento in video di vittorio zucconi dagli stati uniti
Viveva il giornalismo, non lo interpretava. E infatti il Vittorio privato, quello dell’amicizia, era uguale al suo ruolo pubblico. A cena, in redazione, nei viaggi, negli incontri ogni vicenda, qualsiasi fatto, tutti gli avvenimenti grandi o piccoli di cui si parlava per lui prendevano automaticamente il format del racconto, come se fossero pronti per essere scritti, o addirittura come se fossero avvenuti per finire nella rete del suo giornalismo. Che li reinterpretava rendendoli simbolici, o almeno emblematici, comunque esemplari.
Una domenica, a Mosca, passeggiavamo soli sulla via Arbat durante un meeting tra Reagan e Gorbaciov, senza lavoro perche’ allora “Repubblica” non usciva il lunedì, quando vedemmo correre in senso opposto otto uomini in nero con l’auricolare nelle orecchie: nello stupore russo apparve Reagan, stringendo la mano ai passanti, sotto l’occhio della Cnn, senza il codazzo dei cronisti al seguito. Era un’improvvisata, duro’ un attimo per ragioni di sicurezza, dopo pochi minuti la strada sovietica era tornata quella di sempre. Ma ecco che Vittorio mi stava già raccontando quello che avevamo appena visto. Non potendo scrivere il pezzo, me lo recitava, perfetto.
antonio gnoli con lo scoter
Geloso nel lavoro, come tutti noi, era generoso nell’affabulazione, empatico, capace di entrare in sintonia con qualunque interlocutore, un bambino, un campione sportivo, un politico, un lettore. Divoratore notturno di qualsiasi cosa si potesse leggere, col suo russo, il francese, l’inglese americano e persino un po’ di giapponese poteva parlare di tutto, e su tutto aveva un’opinione, ma soprattutto un ingresso particolare, con un ricordo personale, una storia tangenziale: e infatti era un animale radiofonico perfetto, come testimoniano gli anni alla direzione di “Radio Capital”. Si prendeva in giro canzonando gli altri. Ma invecchiando confessava l’importanza dell’amicizia, con quegli slanci che nascono a sorpresa dal pudore del lavoro: fino a borbottare una sera al telefono un “ti voglio bene” a qualcuno prima di riattaccare, probabilmente vergognandosi.
zucconi cover
Aveva lavorato con direttori come Scalfari, Ronchey, Fattori, Nutrizio e Di Bella. Aveva visto il mondo con gli occhi del mestiere, che obbliga a indagare, decifrare, capire. Bruxelles, giovanissimo, poi New York, Mosca, Parigi, Tokyo, Roma con il caso Moro, di nuovo e definitivamente Washington, l’America dei suoi figli Guido e Chiara e dei suoi nipoti. Ma l’ancoraggio del suo mondo privato era Alisa, a cui leggeva i pezzi in cucina prima di spedirli, la compagna che lo accompagnava nei viaggi, che gli faceva da sparring partner, quando masticava un avvenimento elaborandolo, prima di cominciare a scrivere.
Scrivere era l’inizio e la fine di tutto, l’unica cosa che contava. Non diceva mai no al giornale, aspettava la chiamata con la richiesta di un articolo, lo cominciava subito, poi attendeva la telefonata di controllo, di ringraziamento, di complimenti. Aveva promesso alla famiglia che non avrebbe risposto al giornale solo il giorno in cui suo figlio giurava come ufficiale, e infatti non lo fece per due ore, poi cedette. Era morto Frank Sinatra e scrisse un articolo bellissimo col computer sulle ginocchia tornando a casa in auto, mentre Alisa guidava.
ezio mauro
Quella scrittura fluida e impetuosa come una necessita’, come un trance, come qualcosa di naturale, che sembrava sgorgare da sola, e trovare automaticamente il suo corso. La prima volta in cui abbiamo lavorato insieme, durante un vertice internazionale a Washington, a un certo punto ho fatto il giro del tavolo, gli sono passato alle spalle, per guardare il suo foglio dentro la macchina per scrivere. Quando ho visto le correzioni, quelle “X” grandi una dietro l’altra con cui tutti cancellavamo le imperfezioni, mi sono rassicurato: anche Vittorio fatica, persino quella scrittura ardente ha bisogno di qualche correzione, anche lui e’ umano.
Restano nei racconti di redazione le leggende zucconiane, come capita con tutti i grandi del giornalismo. Quando a Cuba con il Papa non rispondeva alle chiamate del giornale (che non sapeva se era arrivato) e infine giunse il pezzo prima della telefonata. Quando prese una stanza sotto la camera della moglie di un condannato alla sedia elettrica e fece un racconto della sua angoscia coi rumori e i movimenti dell’ultima notte, un racconto che mosse il Papa a intervenire con una lettera. Quando ripercorse con una donna a Hiroshima il suo cammino per andare all’appuntamento inconsapevole con l’atomica, poi deviato dal caso mentre l’Enola Gay stava arrivando. Quando entro’ nella Cappella Sistina immediatamente prima dello Spirito Santo, pochi attimi prima che le porte si chiudessero sul Conclave e venisse proclamato l’”extra omnes”.
zucconi e renzi a otto e mezzo
Lui negherebbe, correggerebbe, sorriderebbe, come quando gli dicevamo che era il più bravo di tutti. Poi con la solita fame di giornale e con la malinconia della lontananza domanderebbe come sempre: cosa si dice in redazione? Oggi una cosa sola, Vittorio: che anche noi ti vogliamo bene, e il giornale piange senza di te.
2. L’ULTIMA LITE CON PILLON
Da it.blastingnews.com
Screzio radiofonico stamane al Tg Zero di Radio Capital. Interviene telefonicamente il senatore leghista Simone Pillon, noto per le posizioni particolarmente conservatrici in materia di famiglia e di aborto, oltre che primo firmatario del Disegno di Legge sulla "bigenitorialità perfetta", attualmente in fase di trattazione presso la Commissione giustizia del Senato della Repubblica.
vittorio zucconi e teo teocoli
"Perchè lo Stato deve costringere la donna a partorire?" è la domanda di Zucconi.
Non appena il senatore viene interrogato dal giornalista, si apre un aspro botta e risposta. "Perché ce l’ha con l’autonomia delle donne?”, esordisce Zucconi. "Io non posso difendermi da una domanda del genere", replica il senatore, evidenziando di avere una moglie, due sorelle, una madre e di non aver mai posto in dubbio l'autonomia ed il proprio rapporto personale con le donne.
"Se mi vuol far domande serie....altrimenti abbiamo tutti di meglio da fare", continua il senatore, rivolto verso Zucconi, che replica con un altro interrogativo: "Allora gliene faccio una seria: perché lo Stato deve costringere una donna a partorire?”.
Evidentemente, Zucconi faceva riferimento a una intervista rilasciata dal senatore Pillon, nella quale viene dichiarato, come obiettivo primario, quello di raggiungere la soglia "zero" per gli aborti in Italia, per poi arrivare ad un cambiamento della Legge 194, che tutela il diritto all'interruzione di gravidanza da parte della donna.
zucconi dal dentista
Anche dinanzi a tale domanda, tuttavia, il senatore Pillon ha negato la propria disponibilità a rispondere: "Io sono stato contattato per fare un'intervista sull'affido condiviso [VIDEO], se vi interessa parliamo di quello".
Nuova reazione di Zucconi, molto irritato: "Un senatore della Repubblica italiana è pagato da noi, deve rispondere”. “Anche lei è pagato da noi, con la pubblicità che riceve la radio”, replica Pillon.
A questo punto Zucconi non resiste: “Manco per il caz***, tagliatelo"". E ancora: "Fuori dalle ba**e”. A questo punto, la regia di Radio Capital ha interrotto la telefonata del senatore.
3. IL LIBRO - VITTORIO ZUCCONI E IL LATO FRESCO DEL CUSCINO
4. VITTORIO ZUCCONI A ANTONIO GNOLI (9 luglio 2018, "Repubblica"): "Vivo nel terrore di scoprire che non sono così bravo come credo" Il papà giornalista amico di Fo e Mike. La Fallaci con l’elmetto e lo scoop sulla Lockheed. Ha appena pubblicato "Il lato fresco del cuscino". E confessa: "Sono un mix di incoscienza e ansia"
5. ZUCCONI SI DIMETTE DA TIFOSO ROSSONERO: ‘BARBARA È UNA BAMBINA VIZIATA, GALLIANI MERCE AVARIATA E ALLEGRI È FRESCO COME IL GIORNALE DI IERI’
Vittorio Zucconi per "il Venerdì la Repubblica" ripubblicato da Dagospia
Zucconi sfotte Floris e Mentana
Disperso nelle brume milanesi, a rimorchio di un amico di famiglia che mi trascinava verso un luogo dedicato chissa perche al primo vescovo di Pavia, San Siro, il mio calvario glorioso e doloroso di tifoso milanista comincio negli anni 50. Sarebbe finito solo sessant'anni dopo, in queste ore di liberatoria ridicolaggine, in una grottesca pochade di ereditiere ambiziose, servi padroni, segreti ricatti, gente che sa troppo o troppo poco, calciatori di seconda mano comperati ai mercatini di Porta Cicca e un malcapitato allenatore con l'improbabile nome di Allegri.
In sei decenni di fede milanista credevo di averle viste tutte, ma proprio tutte. Dal primo pomeriggio nebbioso di un Milan Atalanta 1950 con il trio Gre-No-Li a mala pena intravisto dal parterre fra le gambe degli adulti nel tempio di San Siro ancora con un solo anello, alla calata della Barbie Berlusconiana e della nuova corte sul «club piu titolato d'Italia».
ZUCCONI
La «fede rossonera» come tutte le fedi aveva ripagato e martirizzato il bambino solitario che ero stato, immigrato dal profondo sud della Valle Padana Modena alla gelida Milano del Dopoguerra.
Per il Milan ho rischiato di morire, imbottendomi di pastiglie rubate alla mamma per nasconderle un febbrone equino che mi avrebbe impedito sicuramente di assistere a un derby con l'odiosa Inter. L'automedicazione incosciente mi precipito in uno shock anafilattico dal quale il medico accorso a casa mi strappò, disse lui, «per un pelo». Per il Milan, Marco (Mignani, il grande pubblicitario che inventò, senza immaginare le conseguenze, lo slogan della «Milano da Bere»), Antonio e io entravamo nell'anello superiore dei popolari dopo le nevicate cinque ore prima dell'inizio, per scavarci, come partorienti Eskimo, una conca nella neve.
Doveva essere esattamente sulla linea di metà campo, nella quale depositare il sedere per un gelido bagnomaria. Per ascoltare Tutto il Calcio nei primi anni 70 dal Belgio, già adulto e corrispondente estero per autorevoli quotidiani, lasciavo la giovane moglie e l'infanta neonata, per vagare tra le colline attorno a Bruxelles e cercarne una dalla quale, fra scrosci, pernacchie, fruscii, si materializzasse nell'autoradio la voce di Sandro «Catarroarmato» Ciotti da Milano per annunciare che il Milan era finalmente passato in vantaggio.
tweet di zucconi su robin williams
Credevo di averle viste tutte, dalla A alla B, il tragico alfabeto che soltanto la detestabile Inter non ha mai dovuto compitare. Felicino Riva e Giussy Farina, antesignani di presidenti bucanieri. L'ascesa e il tramonto di Gianni Rivera, l'abatino, il «grande mezzo giocatore», come scriveva l'allora odioso per me e grande Gioann Brera che osava criticarlo, anche definito come «quello che ha sempre il culo per terra» da mia madre, che aveva anticipato, pur non sapendo nulla di football, la fine del calcio tecnico e l'avvento del calcio muscolare e violento.
Ero allo stadio, finalmente nei «distinti» senza il sedere nella neve, per le imprese dello «Sciagurato Egidio», il centravanti Calloni che aveva un talento prodigioso per sbagliare gol sicuri, e per il suo successore, l'inglese Blisset, acquistato direttamente da Elton John che ne possedeva il cartellino. L'inetto Blisset, che, dopo una raffica di gol sbagliati, si meritò l'etichetta indelebile, e molto politicamente scorretta, urlata da un tifoso esasperato: «L'è un Calloni nègher».
PER ZUCCONI ANCHE MUSSOLINI ERA UN FORMIDABILE PAGLIACCIO
Di Berlusconi Silvio, costruttore edile e gran venditore di appartamenti sulla carta nella Milano del cemento a gogò «immerso nel verde a dieci minuti dal centro», non mi fidavo. Lo avevo conosciuto da vicinissimo, quando allenavo le prime squadrette allievi che lui, prima per i gesuiti del Circolo Torrescalla e poi con il proprio marchio Edilnord
sponsorizzava.
Tra lui, il boss, e me, il patetico «mister»‚ per i trovatelli raccattati con gli annunci sulla Gazzetta della Sport e arrivati sui campi a piedi pagandosi il biglietto del tram, c'era un fondamentale abisso ideologico. Io catenacciaro alla Rocco, sostenitore dello schieramento 1-8-1, un libero, otto difensori e l'unico bravo davanti a pedalare con la lingua fino ai parastinchi sulle palle lunghe. Silvio megalomane, sognatore di calcio spettacolo e di goleade: a dispetto della commovente broccaggine dei nostri allievi e del loro «mister», lui voleva il bel gioco.
Ma poiché non si litiga col successo, anche al tifoso ormai scettico e diffidente fu impossibile resistere alla seduzione del Rinascimento milanista, condotto a colpi di miliardi che improvvisamente si riversarsono sulla squadra assetata dopo i decenni della siccità.
ZUCCONI TWEET GRILLO BERLUSCONI SALVINI CONTRO L EURO
Finiti gli anni eroici nei quali uno dei predecessori di Galliani, Gipo Viani, concedeva inganni generosi al centravanti Ferrario, detto Ciapìna, con il vizio del poker.
Gli riprendeva al tavolo da gioco quello che gli aveva dato al tavolo delle trattative. O venivano assoldati rottami dal passato glorioso pagati a cottimo, se fai gol incassi, sennò, ciccia. Sempre attentissimo alle mode del momento, e con il portafoglio a fisarmonica gonfiato dai miliardi, il Milan del «Presidentissimo» e del suo fedele servo Lothar, cioè Galliani, quello calvo che stava al fianco di Mandrake, strappato al mondo delle antenne tv, fece incetta di olandesi, per onorare il culto allora vigente del «calcio totale all'olandese», e li affidò a un genio fanatico del «calzio», il romagnolo Arrigo Sacchi, il quale vinse tutto. Ancora oggi incazzandosi quando si sente dire che vinse facile, dimenticando che accanto a Gullit, al divino Van Basten, e Rijkaard, il suo Milan contava alcune sostanziose schiappe ben schierate e motivate da lui.
zucconi lasette
Una vocina dentro, forse quella del bambino trascinato nella San Siro preistorica, insinuava che ci fosse qualche cosa di sgradevole e di oscuro, in quella proprietà, qualche odore non proprio limpidissimo di soldi e di operazioni fatte dal padrone e dal suo Lothar per allargare l'impero televisivo fino al Regno dello Due Sicilie a colpi di antenne, stallieri e ripetitori, ma, come già sapeva Virgilio, tifus omnia vincit, il tifo, come l'amore, vince su tutto.
guglielmo zucconi
La vocina divenne un grido quando l'eterna finzione dello «sport separato dalla politica» una bufala che neppure l'Italia fascista sarebbe riuscita a smentire pur vantando le vittorie di Pozzo come tributi al Duce crollò con la discesa nel campo delle elezioni. Mi illusi, in quel 1994, di poter restare un tifoso «diversamente milanista», di poter accettare di vivere con il disturbo bipolare di godere per le vittorie del Milan come per le sue sconfitte, dedicandole a Silvio.
Avrei dovuto sapere che colui che aveva osato trascinare Maldini e Baresi, totem di noi tifosi, nel garbage, nella spazzatura elettorale della Storia Italiana, avrebbe fatto esplodere la contraddizione.
Ora che la contraddizione è esplosa, saltata per la mancanza di quel meraviglioso surrogato dell'onestà e della competenza che sono i soldi, resta al bambino di San Siro soltanto un filo per tenerlo legato a quelle strisce verticali rosse e nere. È il filo sottilissimo ma tenace del Dna, dell'eredità genetica, impossibile da tradire. Non quella dei miei genitori o nonni, che del calcio altamente s'impippavano fino al disgusto che mio padre esibiva quando al mattino esploravo in ansia i campi ancora incolti davanti alla finestra della nostra casa di piazza Firenze a Milano, cercando di capire se la nebbia avrebbe reso inutile il viaggio verso lo stadio.
Vittorio Zucconi
Negli spasmi agonici di una dinastia ormai al tramonto in tutte le sue manifestazioni, che soltanto un illuso può sperare o temere si tramandi di padre in figlia, quando anche l'eredità sarà consumata, mi restano un figlio milanista e, peggio, un nipotino di nove anni milanista al punto di avere scelto proprio i colori rossoneri per l'uniforme della squadretta nella quale gioca.
In Maryland, Usa, non a Casalpusterlengo. Come posso spiegare a figli e nipoti che il patriarca della famiglia si è ormai disamorato di questa pochade milanista? E che il reality show del fedele Lothar prima offeso e poi recuperato sotto la minaccia di una causa dove troppe verità sarebbero emerse, della frizzante Salomè bionda che chiedeva a Erode la testa del suo Galliani Battista su un vassoio (d'argento), dei «reduci d'Algeria» come Maldini, Albertini e Seedorf, che si vorrebbero riesumare per ridare credibilità alla bandiera, non merita più passione, né tanto meno «fede»?
Dovrò continuare a fingere di essere milanista, per loro, in attesa che qualche danaroso sceicco, qualche gasista siberiano, qualche trafficante messicano raccolga i pezzi dell'impero crollato e comperi l'Associazione Calcio Milan a prezzi di fine stagione. Barbie Berlusconi è la bambina viziata, con troppi bambolotti e troppo tempo libero.
Galliani Lothar è ormai merce avariata, un dentifricio uscito dal tubetto che nessuno potrà rimettere dentro. Il Mister, con il quale solidarizzo avendo conosciuto da vicino la invadenza del padrone (ma non i suoi milioni, ahimè) è fresco come il giornale di ieri.
BARBARA BERLUSCONI
E quando il nuovo signore entrerà in tribuna a San Siro, potrà sempre chiedere, come Tohir all'Inter con Ventola, di riprendere Calloni. Bei tempi.