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Riccardo Crivelli per la Gazzetta dello Sport
Fa male, male da morire. Perché il figliol prodigo sembrava perduto, e invece si era ritrovato. Quando ti maceri nel rimpianto a capo di una battaglia cruenta e senza un attimo di respiro di 3 ore e 37 minuti contro il numero quattro del mondo, recuperata con cuore, ardore e intelligenza dopo due set dell' altro al suono del cannone, significa che hai lasciato sul campo tutto te stesso.
Il tuo orgoglio, il tuo sangue, soprattutto l' onore del tuo enorme talento. E quindi scrosciano applausi, dal pubblico che ormai ti adora e dall' avversario che ti ha rispettato e temuto, consapevole delle doti eccelse di colui che aveva di fronte. Eppure Fognini, con il sorriso a mezza bocca di chi ha visto la luce ma ne è rimasto accecato, sa che per adesso vince solo il rammarico: «Vado via di qui rosicando, non c' è dubbio.
Ci sono andato vicino, sono arrivato a Roma e non ho visto il Papa. Ma posso essere contento del livello del mio tennis, dall' altra parte c' era uno che ha vinto uno Slam e ha fatto due finali».
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DOLORE E Fabio gli starà con il fiato sul collo fino al sesto game del quinto set, dopo essersi palesato solamente all' 82° minuto di una partita dominata per i primi due dalla qualità del tennis di Cilic, che picchia come un fabbro, non si fa spostare dalle traiettorie del rivale e non concede errori su cui lucrare punti facili. Il primo set dura 48 minuti, il secondo 34, poi finalmente appare Fogna, fin lì tormentato dalla forza del croato e dai soliti guai alle caviglie che per qualche scambio lo fanno addirittura zoppicare. Solo momenti: «Mi sono bloccato come era già successo a Ginevra - confesserà il numero uno italiano - ma quando mi sono ripreso sono rimasto tranquillo, sapevo di essere ancora in partita nonostante il risultato». E sale, eccome se sale, ancorato a un servizio che gli regala perfino più ace rispetto all' avversario (10 a 8), a una risposta finalmente aggressiva e incisiva e alle solite magie a tutto campo, dai dritti in corsa alle smorzate mozzafiato.
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GAME MALEDETTO Il terzo set è una formalità, il quarto diventa un corpo a corpo spettacolare ed emozionante, fino al match point per Marin sul 5-4 e Fogna alla battuta, sciupato dal croato con un rovescio lungo su una seconda. Il pericolo mette le ali a Fabio, che nel tie break porta Cilic all' università con due vincenti di dritto e un passante di rovescio in corsa e in allungo che arriva direttamente dall' iperspazio. Dopo più di tre ore di mazzate, incredibile ma vero, si riparte alla pari: «L' ho spinto al quinto set quando non ci credeva nessuno. E lì poteva accadere di tutto, il match era diventato un terno al lotto e lui mi sembrava un po' stanco».
Poteva: il verbo usato da Fabio coniuga il tormento di un minuto di follia. Sul 3-3 e servizio, il nostro recupera da 0-30 a 40-30, ma lì offre alla storia della partita e a un avversario stranito e incredulo tre incredibili errori: doppio fallo, dritto non forzato di manovra lungo e altro dritto in corridoio con deviazione del nastro. E' l' epilogo, tristissimo e immeritato per come si è prodotto: «Il suo sorpasso in quel momento ha rovinato tutto, recuperare ancora era complicato contro un giocatore del suo livello».
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CAPOCCIA Eppure il torneo di Fabio rimane l' epitome del suo nuovo corso, una splendida avventura senza il lieto fine scandita pure da un atteggiamento tecnico e mentale solidissimo in ogni momento, nonostante il pericolo sempre incombente della squalifica dopo il fattaccio degli Us Open. Lunedì sarà 15 o 16 del mondo (dipende da Djokovic...), e con tanta voglia di far sorridere il futuro: «La top ten sarebbe forse il premio alla carriera, ma a 31 anni sento di avere ancora tante cose da dire. Se mi guardo indietro, vedo che il tennis c' è sempre stato: è la capoccia che a volte non mi ha supportato. Ma io sono così e ora devo guadare avanti». Prima c' è il matrimonio della sorella (si sposa sabato, se fosse andato in finale era un bel problema...) e poi occorrerà risolvere i guai fisici: «Voglio arrivarci in fondo, capire bene che cos' è. Mi rivedrete a Wimbledon. O forse in qualche foto dal mare». Sorridere nel dolore. Anche così si rimane grandi.
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