Estratto dell’articolo di Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”
BENIAMINO ZUNCHEDDU DOPO L ASSOLUZIONE
«Non le nascondo che ho pianto. Quando si fa un lavoro come il mio si finisce per costruirsi addosso una specie di corazza di fronte alla sofferenza altrui. Però non sempre funziona...». In questi due giorni non ha funzionato.
Francesca Nanni si è commossa ogni volta che ha sentito parlare di lui, di quel pastore sardo che nemmeno conosce. Oggi è la procuratrice generale della Corte d’appello di Milano, ma nel 2019 aveva lo stesso incarico a Cagliari e fu lei a firmare la richiesta di revisione per Beniamino Zuncheddu.
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Fu lei a credere, studiare, collegare fatti, indagare. […] a trovare la chiave che poi avrebbe aperto la cella di quell’uomo in carcere da innocente. […] La dottoressa Nanni ricorda di aver «lavorato in silenzio per mesi prima di arrivare alla revisione». La prima volta che quel pastore catturò la sua attenzione fu quando — dopo 27 anni di cella — ripeté una volta di più di essere innocente.
Eppure sarebbe stato facile uscire, a quel punto: bastava ammettere di essere l’assassino di cui parlavano le sentenze, cioè l’uomo che aveva ucciso tre persone e aveva ferito Luigi Pinna, poi diventato testimone oculare. «Fu una circostanza alla quale feci caso» ricorda la procuratrice.
«Più avanti il suo avvocato venne a parlare prima con un mio sostituto e poi con me. Era preciso, capace, mi fece un’ottima impressione. E allora feci una cosa che avevo imparato nei processi di mafia: andai a vedere se e quali episodi criminali si erano verificati in quella zona prima del triplice omicidio. È così che arrivammo al sequestro Murgia e intuimmo che poteva avere a che fare con il nostro caso».
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Ma la dottoressa Nanni è una donna pratica. Chiamò l’avvocato e gli disse: «Mi ha convinto, quest’uomo è innocente ma con le prove che abbiamo non andiamo da nessuna parte». Oggi dice che «ci voleva qualcosa di più. E allora convinsi la Procura ordinaria ad aprire un’inchiesta per cercare eventuali altri complici e mettemmo sotto controllo alcune persone. Fra gli altri anche Luigi Pinna».
Un giorno Pinna fu convocato al palazzo di giustizia. «Io stavo preparando la richiesta di revisione, quindi lo chiamai per chiarimenti. Ricordo che gli dissi più volte questa frase: “Vede, Pinna. Io la capisco, vedo il suo tormento. So che in tutto questo tempo lei ha vissuto male e io e lei sappiamo perché: lei ha il dubbio che quella persona che dice di aver visto non sia il vero responsabile”.
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Quando uscì andò dalla moglie che lo aspettava in macchina e disse le famose frasi: quelli hanno capito, sanno la verità». È da quelle frasi che è ripartito il processo, poi il colpo di scena: Pinna che in aula ritratta la sua vecchia testimonianza e racconta che fu un poliziotto a mostrargli la foto di Zuncheddu e indicarlo come colpevole. Francesca Nanni dice: «Mi piace pensare che quella mia frase ripetuta più volte abbia mosso la coscienza del teste, anche se non credo che lui abbia mai pensato di accusare un innocente». Zuncheddu le ha fatto arrivare un milione di «grazie» ma per lei resta uno sconosciuto («lo conosco dalle carte»). Incontrarlo? «Se e quando ci sarà l’occasione lo incontrerò volentieri».
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