Katia Ippaso per “il Messaggero - Cronaca di Roma”
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«Si prende di mira ciò che, in qualche misura, si apprezza. Non ho mai imitato personaggi di secondo piano». Francesca Reggiani si sta preparando al combattimento scenico con alcune figure, abilmente deformate, nel nostro mondo giornalistico, televisivo e politico: Giorgia Meloni, Ilaria Capua, Concita De Gregorio, Vittorino Andreoli.
Le ha meticolosamente studiate in tempo di pandemia. Uomini e donne che sono entrati nelle nostre case con toni seri (o semiseri) e che usciranno dal palcoscenico con vizi e vezzi passati al setaccio del linguaggio comico: La gatta morta, il nuovo one woman show di Francesca Reggiani, sarà in scena dal 16 al 19 novembre al Teatro Olimpico.
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Chi è la gatta morta?
«Quest' estate riflettevo sul fatto che se un uomo cerca di fare il piacione, nessuno dice niente, anzi viene incoraggiato. Se invece una donna ha comportamenti seduttivi, immediatamente diventa una gatta morta».
Quindi il suo vuole essere un manifesto in difesa delle gatte morte?
«Più che altro è in difesa di tutte quelle donne che, superata una certa età, non riescono a trovare un amore e neanche un innamoramento».
Perché, secondo lei? È colpa dello stigma sociale?
«C'è il mito insopportabile della giovinezza che provoca una forte discriminazione tra i generi».
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Lei l'ha subita?
«Io sono stata fortunata perché, dopo la fine della lunga relazione con il padre di mia figlia (con il quale vado anche d'accordo), in pieno lockdown ho trovato un meraviglioso compagno. Lui non fa parte del mio mondo, ma ci capiamo perfettamente. Insomma, a 62 anni non mi sento sola».
Dove vi siete conosciuti?
«È una storia pazzesca. Ci conosciamo da bambini, da quando io avevo 5 anni e lui 9. Poi però le nostre strade si erano separate».
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Tra i personaggi del suo show c'è anche l'accademica e virologa Ilaria Capua. Perché?
«Ormai non si possono fare show televisivi senza virologi, immunologi, esperti sanitari. Sono le nuove star. Sono diventati i nostri compagni di vita, volti familiari».
Ci saranno poi Giorgia Meloni e Concita De Gregorio...
«Sono due donne di grande personalità che sono spesso in tv. Mi piace osservarle».
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Cosa le interessa dello psichiatra Vittorino Andreoli?
«È la mia passione. Lui interviene per spiegarci la sindrome da lockdown e come l'uomo, in assenza di rapporti umani, si sia rivolto al mondo virtuale».
E lei quale relazione ha con il mondo virtuale?
«Diciamo che sono curiosa e cerco un confonto».
È facile demonizzarlo.
«A me ha insegnato una certa libertà. Una volta che ti infili in quel binario, scopri possibilità incredibili. Ma se devo prendere appunti, prendo penna e quaderno».
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Scrive spesso?
«Ho buon rapporto con la scrittura e la lettura. Deve sapere che mio nonno, che era milanese, è stato il primo grande distributore di giornali. Alla fine della guerra, ha avuto l'idea che tutta l'Italia, da Nord a Sud, dovesse essere unificata dalla lettura mattutina del giornale».
C'è un personaggio drammatico che le piacerebbe interpretare?
«Più che altro mi piacerebbe lavorare con registi come Sorrentino o Martone. Magari anche in un ruolo drammatico. Ma, come diceva il mio maestro Gigi Proietti, è più difficile far ridere che far piangere».
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