Massimo Lopes Pegna per la Gazzetta dello Sport
schiavone
E' vestita da tennista come se dovesse scendere in campo, Francesca Schiavone. Anche se nel foglio scarabocchiato che ha davanti a sé ha scritto le parole che decretano la fine di una fetta importante della sua vita: si ritira.
La Wta le ha concesso l' onore delle armi: la sala interviste numero uno, quella riservata ai grandi personaggi. Almeno per un' ultima volta. Va dritta al punto, Francesca, come se si volesse togliere il peso il più in fretta possibile. «È questo un momento memorabile. Sono qui per dire addio al tennis. Ho preso la decisione con il cuore, perché con la testa vorrei andare a lottare e a battere molte di queste ragazze. Ma il cuore mi suggerisce che sono in pace e felice per tutte le soddisfazioni che mi sono tolta in carriera e nella vita. Perciò mi sveglio la mattina e mi sento bene».
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lacrime A 38 anni, è scesa a n° 454 del mondo e nei pochi tornei che ha giocato nel 2018, nei tabelloni principali, non ha più vinto. Era una scelta scontata, prima o poi doveva succedere. «Dopo Parigi ci ho riflettuto per due o tre mesi, poi ho capito che era la cosa giusta da fare. Ho chiamato la Wta perché il momento è adesso: dovevo coglierlo». Una pausa. La voce si strozza, gli occhi si inumidiscono: «Voglio ringraziare la mia famiglia: grazie mamma, grazie papà. Non volevo piangere, ma non riesco a trattenermi. Sono una passionale, forse per questo sono sempre stata un po' matta e ho avuto degli alti e bassi». Finalmente sorride: «Oggi è un giorno lieto, non uno triste e stasera stapperò una bottiglia di champagne».
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Si ferma un attimo e scruta la platea. Poi dice: «Quando avevo 18 anni avevo due sogni: vincere il Roland Garros ed entrare nelle Top 10 donne del mondo. Li ho realizzati entrambi e per questo sono felice e fortunata». È stata la prima italiana a conquistare uno Slam, nel 2010 a Parigi (è ancora l' unica ad aver espugnato il Roland Garros), e l' unica a centrare due finali di un Major, sempre Parigi l' anno seguente.
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Diventò numero 4 del ranking nel 2011, posizione mai raggiunta da nessun altra azzurra, dopo la vittoria agli ottavi degli Australian Open contro la Kuznekova. Ora ha altri sogni che vuole inseguire: «Un giorno mi piacerebbe venire a uno Slam come allenatrice di un mio giocatore. Sarebbe una soddisfazione grandissima». Sarà questa la sua nuova esistenza professionale nella sua casetta di Miami, dove risiede da alcuni anni. «Da alcuni mesi sto già allenando. È molto differente da quello che facevo, ma c' è sempre la passione per questo sport e la possibilità di insegnare quello che so. Ci sono alcune nozioni per me fondamentali che ho appreso giocando a tennis: essere una persona semplice, umana e di avere un bell' atteggiamento». Un' altra pausa per riflettere: «Ho molti esempi in testa. Gente come Roger (Federer), Rafa (Nadal), Serena e Venus (le Williams). È stato un onore poterci giocare e crescere con loro».
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RICORDI Ritiene che la sua partita più bella fu con la Li Na a Parigi, quando la eliminò al 3° turno l' anno della vittoria.
Se potesse affrontare qualcuna in una finale sarebbe Serena: «Ma non qui agli Us Open, troppo dura. No, sulla terra, così avrei più possibilità di batterla». Pensa che uno dei momenti più memorabili sia stato il match con la Sugiyama su questo cemento nel 2003 al quarto turno: «Una sfida che durò quattro giorni e con cui mi qualificai per i quarti. Mi portarono qui per l' intervista in questa stessa stanza: ero felice. Ma quella gioia durò pochissimo perché due ore dopo mi batté la Capriati. Però ho una memoria nitida e bella di quei giorni».
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Ripensa a quando con la Kuznekova stabilì il primato per la partita (ancora oggi) più lunga del tennis femminile (4h44') agli Australian Open del 2011: «Ci sono degli highlights che durano mezz' ora e mi dico: "Ma come ho fatto a giocare per tutto quel tempo?"». Ricorda con piacere le tre vittorie in Fed Cup: «Giochi per il tuo Paese e non per soldi. E ho avuto l' opportunità di vincerla tre volte con mie colleghe che erano anche amiche. Un' esperienza straordinaria». Ribadisce che allenerà e che un giorno vorrebbe mettere a disposizione il suo know how con ragazzi italiani, ma ci deve essere la voglia. E a modo suo spiega: «Come dicevano nel film Karate Kid: "Karate sì o karate no, non esiste una via di mezzo"». E per ora non c' è stato alcun contatto con la federazione italiana.
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Rimpianti? «Non essere riuscita a mettermi al collo una medaglia olimpica (a Pechino 2008 si fermò ai quarti, n.d.r.) per l' Italia. Ci sono andata vicino. Ma so che prima o poi qualcuno di noi la vincerà».
2. GRINTA, ESTRO E SUPER ROVESCIO DA RAGAZZA DI PERIFERIA A REGINA
Riccardo Crivelli per la Gazzetta dello Sport
Il ciclo si chiude, la porta dorata di una generazione irripetibile non solo per il tennis, ma per tutto lo sport italiano, lascia dietro di sé la primogenita, colei che aprì la strada a un percorso lastricato solo di gloria e che ha trasformato la storia sua e di un gruppo di donne formidabili e di amiche per la pelle, legate dal sacro fuoco della competizione e del successo, in una leggenda che non finiremo mai di raccontare.
IRRIPETIBILE Francesca Schiavone è stata unica, e non soltanto perché per una semplice questione anagrafica è arrivata prima delle altre a rivoluzionare le racchette in rosa in un decennio travolgente: unica perché in lei il tennis si è fatto vita, quotidianità, espressione dei sentimenti più puri e carnali, gioia e dolore, senza lo schermo della finzione. Francesca è sempre stata lei, prendere o lasciare, con il suo carico di emozioni e di adrenalina che finiva per catturarti e coinvolgerti oppure, perché no, respingerti.
Lo ha detto lei stessa mille e mille volte, lo ha ripetuto come un mantra: il suo tennis è, o meglio era, istinto animalesco. E dunque con uno stile assolutamente non riproducibile, colpi piatti e taglienti appesi a un rovescio a una mano di una bellezza stordente e a un dritto penetrante e potente, mescolati a un estro di artista condito da smorzate, volée, attacchi in controtempo. Una meraviglia d' altri tempi.
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LA MALEDIZIONE La Schiavone nasce a Milano, nel quartiere popolare del Gallaratese, che nel 1980 è ancora periferia lontana di gente perbene arrivata dal Sud con il boom economico.
Papà Franco, origini irpine, è autista Atm, mamma Luiscita, bresciana, casalinga: i campi del Tennis Milano, in via Cilea, sono davanti a casa. Francesca comincia lì e a 20 anni è già al terzo turno degli Us Open e in finale a Tashkent. Ma per una sorta di maledizione, all' enorme talento non si abbina la gloria sublime di una vittoria: nelle prime otto finali giocate, fino al 2006, perderà sempre. Eppure nel 2002 ha scalzato la Farina dal ruolo di prima giocatrice d' Italia, eppure quel gioco scintillante dovrà per forza approdare allo zucchero dei trionfi.
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Nonostante il tennis rappresenti l' essenza dell' individualità, sarà una gara a squadre, insieme alla maturazione come donna («Sono sempre stata una vera, ma all' inizio ero troppo chiusa in me stessa»), a illuminare la scintilla del paradiso. In Fed Cup incrocia prima la Pennetta e la Vinci, poi la Errani: le differenze diventano presto unità, gli stimoli reciproci conducono ciascuna di loro a crescere e migliorare. È del 2006 il primo successo, la Schiavone ci aggiunge, nel primo turno, la vittoria sulla Mauresmo, allora numero uno del mondo. E' il segno dell' esplosione, della consapevolezza raggiunta, della Schiavone che diventa Leonessa e può cavalcare i sogni più reconditi come fa con la Ducati Monster quando vuole godersi la libertà.
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Fin da bambina, non si è persa una finale del Roland Garros, memorizzando ogni discorso delle vincitrici, sicura che un giorno sarebbe toccato a lei. Profetica e mitica. L' apoteosi nel 2010, con il trionfo sulla Stosur, il bacio con discorso alla terra rossa e i complimenti di McEnroe («Hai una volée migliore della mia»). Uno Slam, prima donna italiana a riuscirci. L' anno dopo salirà al numero 4 del mondo, come solo Panatta, affrontando poi con il mai sopito spirito guerriero il lento e inesorabile declino. Saluta con 8 tornei in singolare, altre due Fed Cup, più di 600 partite vinte e un posto nobilissimo nella storia agonistica azzurra. Sempre indomita. Sempre sincera con se stessa e gli altri. Inchiniamoci tutti.
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