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    TUTTI I SOSPETTI PORTANO A FROOME - IL DOMINATORE DEL TOUR FRULLA LE INSINUAZIONI: “MAI COINVOLTO IN STORIE DI DOPING: FATEMI TUTTI I CONTROLLI CHE VOLETE, ANCHE DI NOTTE, NON NASCONDO NULLA”


     
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    FROOME FROOME

    Gianni Mura per “la Repubblica”

     

    Molto caldo, sui 36 gradi. Corridori stanchi e gonfi d’acqua. È un Tour tra sole reale e ombre metaforiche. Ormai non si parla quasi più di quel che resta dei 4 cavalieri (il visconte dimezzato è Nibali) ma di quanto va forte Froome. Tanto forte. «Troppo forti, lui e la Sky per essere puliti? Non chiedetelo a me, non ho nessun dato».

     

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    Questo ha twittato Lance Armstrong con raro senso pratico: oggi e domani pedalerà davanti alla corsa (un bel po’ davanti, si presume) per aiutare Jeff Thomas e la sua organizzazione che raccoglie fondi contro le leucemie. Un utente, molto risentito, è intervenuto: tu sei l’ultimo che dovrebbe parlare, hai infangato il ciclismo per più di dieci anni. Risposta tranquilla: «Non cerco visibilità, non ho autorevolezza, non sto accusando nessuno. Pongo una domanda che tanti si sono posti, tutto qui».

     

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    Tutto qui fino a un certo punto, perché il tweet rimbalza dritto su Froome. Risposta gelida: «Non vedrò Armstrong, come lui non ha visto noi da vicino. Conosco Jeff Thomas e gli auguro le migliori fortune. Mia madre è morta di leucemia». Ma non c’è solo Armstrong. C’è il numero sospetto di pulsazioni (165) durante la scalata del Ventoux, due anni fa. Cos’ha da dire? «Che il massimo delle mie pulsazioni è 170, dunque in 165 non trovo niente di sospetto.

     

    Guardate, io li capisco, tutti quelli che hanno dei dubbi su di me, perché gli ultimi vent’anni di ciclismo hanno reso automatico il sospetto. Basta andare forte e sei sospettato. Allora dico: prima di accusare senza prove, venite a vedere quanto lavoro faccio, dalle 6 alle 22, quasi ogni giorno. E fatemi tutti i controlli che volete: di notte, di giorno, alle Canarie, durante gli allenamenti. Non ho niente da nascondere, sono per un ciclismo pulito. Tutta la mia carriera parla per me: mai coinvolto in storie di doping. Che altro potrei fare?».

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    Le ombre metaforiche saranno, di qui a Parigi, ma anche oltre, compagne di strada di Froome, più sottilmente stressanti e pericolose di quanto non siano le ombre che ha fatto diventare i suoi avversari. È da qui che parte l’arringa difensiva di Dave Brailsford, gran capo della squadra.

     

    Che alle ombre dovrebbe aver fatto l’abitudine, erano ben presenti anche quando il Tour lo vinse Wiggins, con Froome nel ruolo di gregario ogni tanto imbizzarrito, ma obbligato dal contratto a essere fedele. Dice Brailsford: «Chris è andato molto forte, ma io analizzerei la tappa partendo dalla controprestazione dei favoriti. Sarà stato il caldo, o la giornata di riposo gestita male, non lo so. Ma è andato tanto forte lui o tanto piano gli altri?».

     

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    Le ombre sono multiple e non riguardano solo Froome. C’è un Porte che, direbbe Nibali, sembra il fratello maggiore di quello del Giro. C’è un inseguitore, Thomas, che fa danni sulle montagne e fa venire in mente il velocista Hincapie, della guardia di Armstrong, che vinceva il tappone pirenaico. Brailsford ha fiuto: «Noi riteniamo di essere una squadra all’avanguardia in molte cose, non nel doping. Quando Chris ha vinto, ha conquistato un ottimo piazzamento Gallopin, che non è certo uno scalatore. Complimenti a lui, questo gli dico. Non lo sospetto certamente di doping».

     

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    Per Marc Madiot, ds della Fdj, la spiegazione è altrove: «Ed è semplice. Sky è un colosso da 25 milioni di euro l’anno. Ingaggia solo corridori fortissimi. Porte e Thomas in una squadra francese potrebbero essere capitani, ma preferiscono fare i gregari di lusso alla Sky. Loro sono i più forti, sanno di esserlo e non perdono occasione per dimostrarlo».

     

    Nella seconda tappa pirenaica è accaduto poco, rispetto alla prima, anche perché le strategie di quel che resta dei cavalieri sono di pura difesa. Non andiamo a stuzzicare il mostro, limitiamo i danni e sulle Alpi si vedrà. Ieri lo 0-0 spacciato per vittoria ha pagato. Un po’ di penne (50”) le perde solo Nibali. A 3 km dal traguardo uno scatto di Mollema (che non è Froome) lo ha inchiodato. Ogni cambio di ritmo gli è fatale. Sembrava stesse meglio, o meno peggio, salendo il Tourmalet, ma si saliva a passo regolare.

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    Non solo per paura di Froome, c’entrano anche le fatiche della prima settimana oltre all’evidente inferiorità (per ora, lo dico senza molta convinzione). Pur includendo monsieur Tourmalet, il monte più scalato dal Tour (79 volte dal 1910 a ieri) e, prima, il cuginetto Aspin, era abbastanza naturale che il gruppo cercasse di recuperare energie, dopo una tappa durissima e prima di una tappa che potrebbe diventarlo. Chi attaccherà Froome? O sarà ancora Froome ad attaccare? Più probabile la seconda.

     

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    Attacca da lontano e attacca bene, alla sua maniera, Rafal Majka, scalatorino polacco che parla italiano e già l’anno scorso aveva vinto due tappe, Alpi e Pirenei. Più la maglia a pois. «Quest’anno non mi interessa, c’è da aiutare Contador». Majka ha lasciato i compagni di fuga a 7 km dalla cima del Tourmalet e ha vinto col sorriso e una dedica: «Questa vittoria è per Ivan Basso, so che l’intervento è andato bene e spero di rivederlo presto. Ed è anche una vittoria per Bennati». Che è caduto a metà percorso e ha dovuto ritirarsi. Nel comunicato medico, si teme la frattura di una gamba.

     

    Contro un imprevisto passaggio pedonale di vacche bianche ha rischiato di sfracellarsi Barguil a 80 all’ora nella discesa del Tourmalet. Schivate. Immaginato, come in una vignetta di Altan, un fumetto sulla testa delle prime due biancone. La prima: «Cos’è tutto questo casino?». La seconda: «Non so, comunque qui c’eravamo prima noi e in più veniamo da destra».

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