Massimo Gaggi per il Corriere della Sera
FRANCIS FUKUYAMA
Ogni giorno un colpo di scena. Adesso anche Trump che avrebbe rivelato ai russi fonti segrete dell' intelligence alleata.
La minaccia di attaccare la Corea del Nord e poi l' offerta di un incontro col suo dittatore. A testa bassa per mesi contro la Cina, poi si affida a Pechino per la crisi coreana. Sempre tutto unprecedented, senza precedenti. Magari alla fine non ci saranno i disastri temuti. Sul free trade, ad esempio, non ha attuato le sue minacce, dal muro di dazi con la Cina alla denuncia del Nafta, anche se ha cancellato l' accordo Tpp. Ma se smettiamo di inseguire il suo tweet del giorno e guardiamo le cose in una prospettiva più ampia, è facile capire che Trump provocherà danni permanenti alla democrazia americana e alle relazioni internazionali».
Dal suo ufficio nella Stanford University, in California, lo storico Francis Fukuyama riflette sull' impatto che la nuova presidenza sta avendo non solo sulla politica Usa ma anche sulla struttura dello Stato.
Mesi fa lei era preoccupato dai singoli atti del nuovo presidente, ora sembra più allarmato dal deterioramento complessivo di un sistema di governo.
«Trump è il presidente più ignorante che sia mai stato eletto. Ha detto cose incredibili come il fatto che solo ora si è reso conto della complessità del sistema sanitario Usa: un labirinto che ogni americano ha imparato a conoscere bene. Non crede negli intellettuali, nelle élite.
Francis Fukuyama
Ma senza élite una democrazia muore. L' ultimo a pensare che per governare puoi scegliere chi ti pare, che non c' è bisogno di gente esperta, fu Andrew Jackson, il settimo presidente degli Stati Uniti, eletto nel 1829. Da allora l' America ebbe un' amministrazione inefficiente e corrotta per quasi un secolo. Rischiamo di ripetere quell' esperienza».
In effetti, a parte gli errori di Trump, il governo non funziona anche perché mancano ancora tanti uomini chiave.
«Qui i problemi sono due. In primo luogo, politicizzando tutto, Trump sta distruggendo le isole di indipendenza delle istituzioni americane essenziali per il funzionamento dei sistema dei checks and balances . L' abbiamo visto ora con l' Fbi, la cacciata di Comey, ma pensi alla Federal Reserve: la Yellen ieri era per Trump una serva di Hillary Clinton da cacciare al più presto. Oggi la elogia e dice che sta pensando di riconfermarla.
TRUMP LAVROV
Domani chissà. E poi la Corte Suprema più spaccata che mai per linee ideologiche, gli attacchi al sistema di intelligence. Il secondo nodo è quello delle tante caselle ancora vuote, certo. Ma io vedo soprattutto gente in gamba che se ne va. I funzionari della generazione del baby boom vanno in pensione e i giovani che dovrebbero sostituirli, percepito il disprezzo che c' è in giro per la burocrazia, non vogliono lavorare nel settore pubblico. Guardi il Dipartimento di Stato: il motore della politica estera americana è imballato anche perché il ministro, Rex Tillerson non ha alcuna considerazione delle strutture ministeriali. Così gli esperti, gli unici che conoscono a fondo le diverse realtà del mondo, se ne vanno».
Tutta colpa di Trump?
donald trump e steve bannon
La «decostruzione dello Stato amministrativo», il progetto ideologico del suo consigliere Steve Bannon ha punti in comune con la «disruption», che è la filosofia delle aziende tecnologiche. «Distruzione creativa» partita dal mondo dell' economia e della produzione, e poi passata nel sociale, con la tentazione di arrivare fino alla politica. Anche Silicon Valley detesta la burocrazia e immagina di poter cambiare la politica con algoritmi e intelligenza artificiale.
Dal laboratorio di Stanford come la vede?
«Vivo da sette anni qui, nel cuore della Silicon Valley e mi rendo sempre più conto che i manager che la guidano non hanno il senso della realtà complessa e contraddittoria del mondo che è fuori dalla bolla di questa valle. Magari sono bene intenzionati, ma ugualmente pericolosi nel perseguimento delle loro utopie perché hanno molto potere economico e di convinzione.
Hanno creato monopoli giganteschi che condizionano tutti noi. Bisogna intervenire finché siamo in tempo. Basta vedere quello che è accaduto su fake news, privacy violata, hacker che scorazzano in sistemi ingenuamente aperti. E poi il lavoro, anche intellettuale, sempre più robotizzato. Il governo è assente: per il ministro del Tesoro di Trump il problema della disoccupazione tecnologica si porrà tra cento anni. Invece è già qui».
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Torniamo alla politica estera. Trump sta per partire per la sua prima missione internazionale. Cosa si aspetta?
«Per lui sarà un viaggio educativo. Al G7 siederà a fianco di sei capi di governo molto più preparati e competenti di lui. Capirà che deve fare i compiti a casa. E in Medio Oriente, prima in Arabia Saudita, poi in Israele, scoprirà che la realtà della regione è molto più complessa di quella delle sue formulette populiste. Al di là dei suoi sbalzi caratteriali, tornerà più informato e consapevole. Comunque una cosa utile».
Quali sono i danni che lei teme nelle relazioni internazionali?
«Soprattutto la sua apertura di credito nei confronti dei dittatori: tratta meglio il filippino Duterte, l' egiziano Al Sisi, lo stesso Putin di alcuni fedeli alleati dell' America. Elogia Erdogan per la vittoria in un referendum condannato dalla comunità internazionale e dallo stesso Dipartimento di Stato.
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Questo può avere conseguenze profonde perché il soft power della potenza americana, per dirla col politologo Nye, è basato sul ruolo degli Usa come baluardo della democrazia e del rispetto dei diritti umani. L' ordine internazionale che abbiamo avuto fin qui si basa su questo. E poi mi spaventa la scelta semplicistica di mettere tutte le uova in un solo cesto: la Cina dipinta come nemico, ma poi Trump per la Corea del Nord si mette pienamente nelle sue mani , sperando che Xi Jinping gli risolva il problema. Non lo farà, la Cina non ne ha la forza e nemmeno l' interesse».
A sinistra c' è chi pensa che questi problemi si risolveranno con un «impeachment».
«Favole, è un processo complicatissimo, vanno provati reati gravi e serve una maggioranza dei due terzi: non succederà. Non con questo Congresso».
Duterte armi