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    “IL NUOVO NEMICO DELLA SINISTRA È RITA PAVONE? NON CI SONO PIÙ I COMUNISTI SERI” – PER FULVIO ABBATE LA 'SIGNORA GIAN BURRASCA' E’ DA RITENERE TRA GLI ''INTOCCABILI”. E VI SPIEGO PERCHE' - ''L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE CON ‘GIANNINO STOPPANI’, L’ARRANGIAMENTO DE “IL BALLO DEL MATTONE” DEGNO DI UN ALLEGRO ANDANTE BRILLANTE DI SHOSTAKOVICH O DI RAVEL E QUELL’INCONTRO CON TOGLIATTI…'' - VIDEO


     
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    Fulvio Abbate per www.huffingtonpost.it

    Rita Pavone, ve lo dico subito, almeno ai miei occhi, è da ritenere tra gli Intoccabili. La signora, per ciò che mi concerne, può pronunciare e fare ciò che meglio le suggerisce il proprio estro, insieme al suo curriculum musicale, pensa.

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    Volendo, potrebbe anche ricostituire, per suo semplice diletto ricreativo, che so, perfino l’orda degli Unni, o, che dire ancora, addirittura la capra nibelungica delle Waffen SS e ancora, già che è lì, mettersi alla testa di un’armata di “totenkopf” - “teste di morto” - alla maniera corrusca del colonnello Kurtz di “Apocalypse now”, tuttavia, nonostante tutti questi orrori certificati, qualora davvero potessimo imputarglieli, resterebbe, pura, incontaminata, intoccabile, ora e sempre così ai miei occhi, rimarrebbe cioè Rita Pavone.

     

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    Così dal tempo del “Giornalino di Gian Burrasca”, portato in televisione da Lina Wertmuller nell’Italia in bilico tra 1964 e 1965, quando lo sceneggiato in bianco e nero, mantelline di vigogna da collegiali, dai Telefunken raggiunse le pupille di noi, i baby-boomer, che allora frequentavano soltanto le classi elementari, cupe aule rette talvolta da maestri ancora, loro sì, fascisti e muniti di bacchetta, veri mostri, gli stivali di centurioni della milizia ancora ai piedi.

     

    Avvenne proprio allora che mi innamorai perdutamente, disperatamente, con una grazia forsennata che può accadere soltanto a un bambino di nove anni, sì, proprio di Giannino Stoppani.

     

    S’intende che insieme all’amore sorsero in me molti dubbi sulla reale, sempre mia, propensione sessuale, se insomma dovessi prendere atto di un’eventuale omosessualità.

     

    FULVIO ABBATE FULVIO ABBATE

    Rita, l’interprete del ragazzino incoercibile, era, sì, nella realtà una ragazza, mentre Giannino era certamente maschio, e allora, detto in breve, di chi ero esattamente invaghito: di Lei o del suo doppio in pantaloni e berretto da convittore? Quanto alla bandiera che reca il motto “Viva la pappa con il pomodoro”, sempre ai miei occhi, era sinceramente rossa, o addirittura nera, come quella degli anarchici.

     

    Un dilemma che mi sono portato dietro fino a quando, una quindicina di anni fa, l’ho incontra a un suo concerto, credo fossimo a Fabriano, e lei era lì insieme al suo amato Ferruccio, suo marito, sì, Teddy Reno. Solo allora ho potuto confessarle il mio antico dubbio.

     

    In verità, in quella circostanza, abbiamo parlato anche d’altro, del modo in cui Rita Pavone ha incrociato la storia nazionale, metti, quando Antonello Trombadori le fece incontrare Togliatti, questi, mosso da curiosità per il fenomeno giovanile della “Zanzara” e dei suoi “Collettoni”, volle conoscerla, un incontro tra torinesi, un dettaglio raccontato, fra l’altro, da Giorgio Bocca nella biografia dedicata proprio al “Migliore”.

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    Detto ciò, ragionando invece di musica e canzoni, se posso permettermi, la tessitura vocale e l’arrangiamento di “Il ballo del mattone”, con quei contrappunti di flauto, è degna di un allegro andante brillante di Shostakovich o di Ravel. 

     

    Scopro ora che molti, sui social, reputano inaccettabile la sua presenza al prossimo Sanremo. L’accusano di sovranismo, se non di cose assai peggiori. Già, la assimilano all’orrore dei trogloditi razzisti, quasi che il palco del Festival dei Fiori possa esserne violato dal passaggio, proprio come accade con i tabernacoli e i paliotti degli altari manomessi dai barbari invasori e dai propri armenti incivili.

     

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    L’inizio dello scandalo si deve, se non rammento male, a un suo commento Twitter dedicato a Greta Thunberg, cui poi ne va aggiunto un altro a proposito dei Pearl Jam che facevano appello all’accoglienza dei migranti; un groviglio ormai inestricabile cui computare infine la scelta in Rai di affidare proprio a lei, quella del Geghegè, il ricordo di Woodstock; anche lì, assodato quant’è permaloso e geloso dei propri memorabilia il popolo del rock, c’è stata quasi un’insurrezione da parte di quest’ultimo. Sempre sui social, la questione ha assunto l’aspetto di un’onda sempre più ampia e problematica, così da idealmente immaginare la sua testa innalzata dai detrattori in cima a una picca, lì come segno di indegnità morale.

     

    Associando ancora il tema della sua partecipazione al caso parallelo di Rula Jebreal, prevista sempre al festival, si è giunti perfino una sorta di meme comparativo, per stile e gusto assimilabile addirittura alle linee guida della mostra dell’arte degenerata, con la differenza che in questo nostro caso non sembra averla promossa Goebbels. Come ha scritto giustamente su Facebook Flavia Perina: “L’accoppiata di foto Jebreal-Pavone usata per criticare la cartapecora di una vecchietta sovranista nel nome della gnoccagine di una giovane progressista è il paradigma Rosy Bindi rovesciato, al posto vostro mi vergognerei, ma molto”.

     

    Intanto il libertario Emilio Targia, voce di Radio Radicale, che della signora Pavone ha scritto la biografia - “Tutti pazzi per Rita: La mia vita, i miei sogni, la mia voglia di cantare” (Rizzoli) - mi assicura che dietro tutto questa storia, da parte della nostra, non c’è nessuna intenzione di cavalcare la già menzionata capra nibelungica del razzismo, semmai soltanto leggerezza, sia quando ha commentato su Greta sia in seguito. Sempre il Biografo Ufficiale, accenna a una scarsa dimestichezza con i social da parte della sua amica.

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    Gli obietto che, sarà pur vero, gli credo, eppure, in verità, lei, Rita Pavone, da un certo punto in poi, ha dato davvero la sensazione di volersi incaponire in un ruolo, come dire, antipatizzante, sarà pure dipeso da un fattore reattivo, autoprotettivo, resta che, forte anche di questo dato ulteriore, da un certo momento in poi, il tribunale informale dei social ne ha fatto una sorta di feticcio della subcultura razzista salviniana, e la tempesta è pienamente in corso, e in questo momento sembra di intuirla tutta perfino dentro le pupille del già ampiamente smarrito Amadeus, certamente non idoneo a poterla placare.

     

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    Quanto a noi, ben al di là dell’impresentabile subcultura sovranista e dell’intera matassa sempre più intricata, soprattutto in nome della laicità, forse anche del senso del limite e ancora più del ridicolo, siamo qui a difendere in Rita Pavone il calore del tempo in cui l’impronta della mano sporca di carbone nerofumo di Gian Burrasca, appena fuggito di casa, nel timore di finire nel tremebondo collegio “Pierpaoli”, accompagnata dalla scritta  “Moio per la libertà”, proprio quel segno era esattamente per quasi tutti noi un simbolo di rivolta, lo stesso che ci avrebbe accompagnato, anni dopo, su altre barricate, con altre bandiere certamente figlie di un sogno tra Bakunin e Marx e i Situazionisti, così per le nostre vite, per le nostre passeggiate. 

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    Alla fine, però, tacerlo o far finta di nulla sarebbe davvero da meschini, il Festival di Sanremo e perfino dell’ironia, nel nostro caso, l’ha già vinto Matteo Salvini con questo suo brano idealmente in concorso: “Il nuovo nemico della sinistra è Rita Pavone. Non ci sono più i comunisti seri”.

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