1. FRANCIA, L’AUSTERITÀ SPACCA IL GOVERNO HOLLANDE ESTROMETTE L’ALA SINISTRA
Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera”
francois hollande
Non è nel suo stile, ma François Hollande ha compiuto ieri una vera scelta di rottura: via i ministri che lo criticavano da sinistra, fine — dopo neanche cinque mesi — del primo governo Valls e nascita immediata del Valls II, che dovrà sostenere adesso senza più esitazioni la direzione social-liberale decisa dal presidente.
Aiuti alle imprese per rilanciare l’economia, risanamento dei conti pubblici per restare aggrappati alla Germania: Hollande non rinuncia al suo «patto di responsabilità» e piuttosto che cedere ai ministri ribelli Montebourg, Hamon, Filippetti e Taubira, li caccia. Aiutato in questo dalla fermezza di Valls, che durante il colloquio decisivo all’Eliseo avrebbe detto «o loro, o me».
Arnaud Montebourg
Il ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, in un’intervista a Le Monde sabato lamentava che i cittadini francesi sono in realtà governati dalla Germania, anzi dalla destra tedesca guidata dalla cancelliera Merkel, schiavi di un rigore che si è dimostrato ampiamente inefficace.
Montebourg proponeva di destinare un terzo dei tagli alla spesa pubblica alle famiglie per «rilanciare il potere d’acquisto e la crescita», «come ha cominciato a fare Renzi in Italia», e auspicava l’abbandono delle politiche di austerità «che non solo non riescono a risollevare l’economia, ma la affossano ancora di più».
Poi, domenica, alla «Festa della Rosa» di Frangy-en-Bresse, il paladino del «made in France» Montebourg ha di nuovo criticato il governo parlando — proprio lui, ministro dell’Economia — di una politica economica fallimentare, assecondato dal ministro dell’Educazione, Benoît Hamon, e dalla responsabile della Cultura, Aurélie Filippetti, che ha scritto un tweet di incoraggiamento ai due.
Arnaud Montebourg
Dopo settimane di fronda interna, Hollande e Valls hanno deciso che era abbastanza. Ieri mattina, mentre Montebourg alla radio assicurava di non essere mai venuto meno «al dovere di solidarietà all’interno dell’esecutivo» dando quasi l’impressione di volere fare marcia indietro, il primo ministro Manuel Valls all’Eliseo presentava le dimissioni del suo governo e otteneva subito da Hollande l’incarico di formarne un altro, «coerente con gli obiettivi fissati dal capo dello Stato».
Arnaud Montebourg
Poche ore dopo, la ministra Filippetti ha reso pubblica una lettera aperta con la quale dava l’addio all’esecutivo e citava l’ultima drammatica riunione di giovedì scorso, quando ai colleghi ha posto la domanda retorica «se adesso dobbiamo vergognarci di essere di sinistra».
Si consuma così la riedizione dell’eterna frattura della sinistra francese, divisa tra liberali alla Michel Rocard (l’altro ispiratore di Hollande, dopo Mitterrand) e socialisti massimalisti. Se la Spd tedesca ha abbracciato l’economia di mercato con il celebre programma di Bad Godesberg nel lontano 1959, François Hollande ha atteso il gennaio 2014 per dichiararsi socialdemocratico, durante una conferenza stampa peraltro dominata dalle parole dette e soprattutto taciute sull’affaire Gayet.
manuel valls
La contraddizione di un governo a due volti era presente sin dal giorno della nascita, il 31 marzo, quando Hollande preferì ancora una volta comporre i dissidi dando l’incarico al centrista Valls ma offrendo il dicastero dell’Economia al campione anti-globalizzazione Arnaud Montebourg. Oggi, 147 giorni dopo, l’equivoco viene chiarito: Valls dovrebbe presentare oggi una squadra senza ala sinistra, con il fedelissimo di Hollande, Michel Sapin, a capo probabilmente di un grande ministero di Economia e Finanze, e la madre dei quattro figli del presidente, Ségolène Royal, fino a ieri responsabile di Ecologia ed Energia, spostata a un dicastero unico dell’Educazione e della Cultura.
Christiane Taubira
La scommessa di Hollande e Valls è che, una volta allontanato dal governo, Montebourg e le sue idee perderanno peso. Ma in Parlamento decine di deputati socialisti dissidenti, contrari a Hollande e fautori di una svolta a sinistra, trovano adesso in Montebourg il loro eroe. Dovessero prendere il sopravvento, le elezioni anticipate sarebbero alle porte.
2. UNA RESA DEI CONTI INEVITABILE
Jean-Marie Colombani per il “Corriere della Sera”
L’uscita di Arnaud Montebourg dal governo di Manuel Valls era inevitabile, dal momento in cui il ministro dell’Economia aveva cominciato a criticare, anziché attuare, la sua politica economica. Una simile situazione aveva avuto un unico precedente, quando Nicolas Sarkozy, ministro di Jacques Chirac, avendo trascorso gran parte del tempo a criticare il presidente, se non addirittura a offenderlo impunemente (si era lasciato scappare un riferimento al «fannullone»), aveva finito poi per vincere le elezioni presidenziali del 2007 con un programma di «rottura» con la politica del suo predecessore.
VALLS E FILIPPETTI
Non facciamoci illusioni: lo scenario ipotizzato da Arnaud Montebourg era proprio quello di ripetere l’impresa di Sarkozy, ma François Hollande e Manuel Valls non si sono prestati al gioco. Arnaud Montebourg fa parte di quegli impazienti che si lasciano guidare dall’idea che si fanno del proprio destino. Il paradosso è che militano in un movimento, il partito socialista, che aspira a incarnare un ideale e un progetto collettivo.
Nel caso presente, ci troviamo davanti alla chiara dimostrazione dei rischi del sistema presidenziale francese. Tutto è in vista di una sola scadenza, le elezioni presidenziali, e le battaglie non sono più politiche, bensì personali. La sinistra d’altronde non ha il monopolio di questa guerra permanente delle personalità, alimentata dal fatto che chiunque raggiunga una piccola notorietà politica pensi immediatamente che valga la pena presentarsi alle elezioni presidenziali.
AURELIE FILIPPETTI
In queste circostanze, il gioco di Arnaud Montebourg consiste nel plasmarsi un’immagine e nell’assumere una posizione che gli consentano di concorrere alle primarie, destinate a nominare il prossimo candidato socialista. E questo in prospettiva delle prossime presidenziali fra tre anni! Problema: sotto la Quinta repubblica, è difficile immaginare di organizzare le primarie quando il presidente uscente è egli stesso il candidato naturale del suo partito. Ebbene, Arnaud Montebourg fa parte di coloro i quali non solo pensano che François Hollande abbia già perso le elezioni del 2017, ma soprattutto mirano a eliminarlo dalla corsa alla sua stessa successione imponendogli le primarie.
MARINE LE PEN FOTOMONTAGGIO BACIO HOLLANDE
Le critiche che gli sono state rivolte, a dire il vero per la maggior parte demagogiche, sono pertanto destinate a segnare il suo cammino. Facendolo uscire dal governo, François Hollande e Manuel Valls pensano, al contrario, di poterlo escludere dalla corsa presidenziale e dimostrare che, al di fuori del sistema, Arnaud Montebourg non ha poi quel gran peso che presume di avere.
Tuttavia, l’allontanamento forzato dell’ex ministro dell’Economia getta una luce aspra e crudele sulle difficoltà crescenti dell’equazione politica presidenziale. La questione in realtà è di sapere se coloro che si proclamano «l’ala sinistra» del PS, o che si sono manifestati tramite l’astensione all’Assemblea di una trentina di deputati, si organizzeranno in modo tale da poter paralizzare l’azione del governo. Se questo è il caso, e ogni giorno che passa sembra confermarlo, entreremmo allora in uno scenario della crisi, quella vera, che finirebbe inevitabilmente per condurre allo scioglimento dell’Assemblea nazionale.
MARINE LE PEN VOTA
E lo scioglimento sarebbe seguito immediatamente dal trionfo della destra. A quel punto sorgerebbe il problema della coabitazione. Ebbene, nel clima attuale, una buona parte della destra sarebbe tentata di rifiutare la coabitazione, per costringere il presidente alle dimissioni e cancellare la disfatta di Nicolas Sarkozy alle elezioni presidenziali. Ci si chiede: quale sarebbe allora l’interesse di questi deputati ribelli che finirebbero seduta stante tra le file dei disoccupati ?
Siamo davanti a una delle debolezze permanenti di una parte della sinistra francese, che preferisce la comodità, e spesso la demagogia che si accompagna all’opposizione, alle difficoltà dell’azione di governo. Specie quando si sa che sono necessarie misure impopolari e che le riforme strutturali di cui ha bisogno il Paese impongono una dolorosa riduzione della spesa pubblica, che sicuramente provocherà ripercussioni e risentimenti. Troviamo traccia di questa filosofia nella lettera che il ministro della Cultura, Aurélie Filippetti, ha indirizzato al presidente e al primo ministro, per indicare il suo rifiuto di far parte della nuova squadra, spiegando che vorrebbe restare «la voce di coloro che non hanno voce».
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È questa la definizione, quando si limita il proprio campo di manovra all’obiettivo di un partito di opposizione, ovvero la funzione del tribuno, che fu a lungo interpretata dal partito comunista e che oggi appartiene all’estrema sinistra e ai «ribelli» del partito socialista. Nel frattempo, notiamo che nessuno dei ministri che oggi criticano François Hollande si sia fatto notare finora per l’incisività dei suoi interventi governativi. La leader dei Verdi, Cécile Duflot, può essere orgogliosa di un bilancio catastrofico quando si è trovata alla testa del ministero degli Alloggi Pubblici.
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Che non si venga a sapere che Arnaud Montebourg abbia mai apportato soluzioni durature ai compiti che gli sono stati affidati, e la Filippetti stessa non gode di grande stima nell’universo culturale. Ma la questione politica di difficile — se non impossibile — soluzione è la seguente: dall’indomani stesso della sua elezione, François Hollande ha dovuto affrontare una destra radicalizzata e ha fatto di tutto per sottrarsi alla minaccia del Fronte nazionale.
Di conseguenza, non può aspettarsi alcun sostegno da quel settore, nemmeno dalle frazioni tradizionalmente più moderate della destra francese. Oggi è osteggiato persino all’interno della sinistra, anche quando — in occasione delle ultime amministrative — i suoi avversari più agguerriti, provenienti dall’estrema sinistra, hanno accusato una sonora sconfitta. La sua linea politica dovrebbe poter contare sulla frazione riformista del partito socialista, ma anche sul centrosinistra e sul centrodestra.
francois hollande
Questa politica, detta socialdemocratica, che in realtà cerca soluzioni per due emergenze, il risanamento dei conti pubblici e il rilancio della competitività delle imprese allo scopo di creare nuova occupazione, potrebbe essere l’oggetto di un programma di governo di due anni, con l’appoggio di una grande coalizione capace di alleare la destra e la sinistra di governo.
Ma nessuno in Francia sembra intenzionato a imboccare questa strada. Il presidente non ha altra scelta che resistere, sperando che i risultati di questo riordino generale del Paese, da lui già avviato, finirà per portare i suoi frutti. Ma la strada si fa sempre più stretta.
(Traduzione di Rita Baldassarre )
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