Massimiliano Gallo per www.ilnapolista.it
de laurentiis mazzarri
Il ritorno di Mazzarri somiglia alla Repubblica di Salò di De Laurentiis. Il signor Aurelio si rintana nel suo fortino, fa una scelta di senilità e chiama a raccolta gli affetti più cari. Certo in quel caso il genero – Galeazzo Ciano – tradì il Duce; almeno questo pericolo De Laurentiis non lo corre. Non se l’è sentita di affidare la squadra a Tudor che peraltro ha rifiutato sette mesi di contratto. Il presidente non ha mai avuto empatia con gli slavi decisionisti: accadde con Mihajlovic, è successo di nuovo con Tudor. Del resto le usanze del Napoli sono cambiate. Non tutti gli allenatori oggi accetterebbero di essere trattati come è stato trattato Garcia. Delegittimato pubblicamente e via via ridotto al ruolo di comparsa.
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In pochi mesi il Napoli è passato da modello economico-imprenditoriale – un “gioiellino” e non nel senso della Parmalat – a un club e soprattutto a un presidente che ha fatto di tutto per avvicinare la società al modello Borgorosso. Sempre più ingombrante, protagonista di continue invasioni di campo: prima direttore sportivo e poi anche allenatore. Senza dimenticare il caso Osimhen (il cui rinnovo è ormai fantascienza), qualche scaramuccia con Kvaratskhelia e le liti con il Palazzo anche per Spalletti. Quasi tutte avvenute a furor di popolo che un tempo lo odiava e oggi lo considera infallibile.
De Laurentiis ha decretato chiusa la parentesi Garcia che potrà sempre dire di essere stato esonerato da quarto in classifica e pienamente in corsa per la qualificazione agli ottavi di Champions. Al di là ogni considerazione, a oggi il Napoli centrerebbe gli obiettivi stagionali. Ovviamente Garcia è stata una scelta sbagliata. Allora in pochissimi (diciamo quasi nessuno) ebbe il coraggio di dirlo. Un allenatore lontano da tempo dal grande giro, una quarta scelta il cui comportamento è stato incomprensibile: quanto di più lontano dall’uomo di mondo di cui alcuni parlavano.
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La scelta di Garcia fu illuminante per un altro aspetto: mostrò che non c’era la fila per allenare il Napoli fresco di scudetto. Rifiutarono Luis Enrique, Conte (già la prima volta), Italiano, persino Thiago Motta. Fu il dato più allarmante che in altri luoghi avrebbe aperto un dibattito. A Napoli si è fatto finta di niente, da queste parti non amano i guastafeste e si è continuato a fischiettare e si è cominciato a idolatrare don Aurelio fino a poche settimane prima (fino alla foto con gli ultras) considerato il male assoluto. Scudetto – ricordiamolo – arrivato grazie a un decennio di politica aziendale seria e spesso lungimirante, e a scelte aziendali coraggiose con l’addio ai sopravvalutati senatori. Anche sa da piccola impresa, modello familiare. Non c’è nulla di male in questo. Poi, ha ceduto al caudillismo che tanto piace a queste latitudini.
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Al di là di come vada a finire, Mazzarri è una scelta di disperazione come lo fu quella di Garcia. In dieci anni il buon Walter ha fatto bene in una sola stagione: quella 2018-19 col Torino, finì settimo e si qualificò per i preliminari di Europa League. E basta. A Napoli fece benissimo. Fu strepitoso. Il suo per certi versi fu il Napoli più emozionante dell’era De Laurentiis, segnò il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. L’esordio in Champions pareggiando e meritando di vincere in casa del Manchester City resta una serata memorabile.
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I tifosi si davano i pizzicotti sul braccio. È impossibile avercela con lui, anche perché ha il dono di riportarci a quando avevamo tredici anni di meno. Stavolta ha una squadra più forte e più completa. E noi pensiamo che, soprattutto inizialmente, possa persino ottenere risultati, riuscire a scuotere il Napoli. In più, crediamo che De Laurentiis arrivò a Garcia con in testa il modello Albertino Bigon il tecnico certo non in auge che conquistò il secondo scudetto con una squadra di fuoriclasse difficili da gestire. Forse De Laurentiis pensa che il Mazzarri di oggi, non più arrogante e presuntuoso dopo le batoste di questo decennio ma magari più saggio, possa avvicinarsi di più a quel modello.
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L’ultima speranza è cinematografica. Ci piace pensare che De Laurentiis abbia voluto imitare Quentin Tarantino e la sua trilogia del revisionismo. Certo quella di Tarantino era diversa, prevedeva il fallimento del nazismo e dell’omicidio di Sharon Tate. Ma la Repubblica di Salò la intendiamo solo in senso calcistico, ovviamente. Magari stavolta finisce diversamente.
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