Francesco La Licata per “La Stampa”
gaspare mutolo nel 2017
Gaspare Mutolo è uno dei pentiti storici della mafia. Collabora con lo stato da quasi trent' anni e viene considerato una fonte attendibile, come si può leggere nelle motivazioni di molte sentenze importanti. E' uno dei primi, a ridosso di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, ad avere intrapreso "la via del cambiamento" come lui stesso definisce la sua determinazione alla collaborazione con lo Stato.
intervista di giovanni brusca a mosco levi boucault
Perché, dice "Asparino" ormai approdato da un anno agli 80, «la cosa importante è il cambiamento». Cioè «comprendere appieno gli errori che si sono fatti e impegnarsi a non ripeterli». Abbiamo scelto lui, "Asparino", per districarci nell' ingarbugliata vicenda che vede protagonista Giovanni Brusca, il pentito tornato libero dopo aver pagato con 25 anni di detenzione l' eccidio (confessato) di Capaci e la terribile fine (anche questa accertata e confessata) del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero in condizioni disumane per due anni e due mesi, usato come merce di scambio per indurre il padre, Santino, a ritrattare la confessione sulla strage di Capaci e, alla fine strangolato e disciolto nell' acido.
barillari toto' riina
Mutolo afferma, ed è una premessa che la dice lunga sulla considerazione riposta nella figura di Brusca, di non conoscere abbastanza «i figli di don Bernardo Brusca, sia Giovanni che Enzo. Ci siamo incrociati per brevi periodi in carcere, nulla di più. Altro discorso vale per il padre: don Bernardo era un mafioso di altissimo livello, uno che comandava nel territorio di San Giuseppe Jato già dai tempi di Salvatore Giuliano».
santino giuseppe di matteo
Ma le puntualizzazioni di Mutolo non si fermano qui: «Una famiglia di mafia antica ma sempre legata a doppia mandata con i corleonesi di Totò Riina, dei Bagarella e di Provenzano». Sottolineatura non richiesta, ma che fa intendere appieno quanta distanza vi sia tra i Brusca e Mutolo, rappresentate della mafia palermitana in eterno conflitto coi "viddani" di Corleone.
«Don Bernardo lo vedevo spesso - continua "Asparino" - perché negli anni Settanta facevo da autista a Totò Riina e lo accompagnavo ai "Dammusi" (la contrada dove abitavano i Brusca e dov' è morto Giuseppe Di Matteo vent' anni dopo ndr) per gli incontri fra le famiglie. Spesso si aggregavano Calogero Bagarella, fratello di Leoluca e di Antonietta, la moglie di Riina, e un boss che si chiamava Vito Cascio della famiglia di Roccamena».
gaspare mutolo negli anni settanta
Mutolo va a memoria, fa domande e si dà risposte: fa tutto da solo. «Mi chiedevo - riprende - il perché di tanto trambusto, non capivo il via vai da e per Corleone. Lo avrei capito qualche mese dopo, davanti alle terribili immagini della strage di viale Lazio, a Palermo. Senza saperlo avevo avuto un ruolo, seppure marginalissimo, nella preparazione di quella spedizione che sarebbe andata sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo.
E avrei capito anche perché Riina non mi aveva mai fatto entrare nelle stanze dove si riunivano e con grande gentilezza mi pregava di attenderlo in macchina».
Giovanni Brusca, insomma, per un lungo periodo - almeno a sentire Mutolo - non aveva fatto parlare di sé. Viene alla ribalta alla fine degli Anni '80, quando comincia lo sterminio dei corleonesi che azzera la mafia palermitana: quasi una pulizia etnica portata avanti da gruppi di fuoco di grande spessore criminale.
giovanni brusca
E neppure allora si impone all' attenzione generale. «Quando i corleonesi fanno le stragi - ricorda Mutolo - dentro Cosa nostra si comincia a delineare la personalità di Giovanni Brusca. Le voci correvano, si cominciava a sapere cosa avevano raccontato i neo pentiti Di Matteo (il padre del piccolo Giuseppe ndr) e La Barbera. E si delineava l' importanza di Brusca nella politica stragista di Totò Riina».
Così il primogenito di don Bernardo diventa il killer più temuto e odiato, anche dentro Cosa nostra. E' indicativo il fatto che in molti comincino a chiamarlo "u verru", cioè il maiale riproduttore che gode in mezzo al fango. Poi si scoperchiò l' ignobile storia di Giuseppe Di Matteo.
Non era mai avvenuto che nelle vendette trasversali e nelle storie degli scontri tra famiglie mafiose si fosse arrivato a coinvolgere i bambini, considerati sacri (almeno a parole, visto che nei fatti non era proprio così) da una legge non scritta di Cosa nostra.
«Per questo motivo - racconta Mutolo - ci siamo molto meravigliati quando abbiamo saputo che Brusca aveva fatto richiesta di collaborare ed entrare nel programma di protezione».
strage di capaci 2
Chi si è stupito? «Mi trovavo con Masino Buscetta - riprende - nella sua casa sul lago di Bracciano e commentavamo che mai gli sarebbe stato concesso di entrare nel programma di protezione. E invece la sua richiesta fu accettata. Allora abbiamo deciso di protestare, ma senza eccessivo clamore. Sapevamo di essere intercettati e ci siamo chiamati al telefono esponendo in modo abbastanza deciso i motivi del nostro dissenso, in modo che chi doveva sapere sapesse».
Giuseppe Di Matteo
Quindi è contrario alla liberazione di Brusca? «Col sentimento sì, col cervello dico semplicemente che è stata applicata una legge dello Stato che, come dice la signora Maria Falcone, fu voluta dal giudice morto per noi. Io dico che, ora, da libero, Brusca dovrà legittimare la sua scelta di cambiamento.
Io sono cambiato, specialmente dopo la morte di mia moglie, e sono cambiato quando ho visto le vedove, le mamme e i figli di tanti morti ammazzati, sfilare sulle sedie dei testimoni al maxiprocesso. Ho sentito più volte Brusca giustificare la sua violenza con la scusa che si era in guerra. Ecco quando lui abbandonerà questo alibi e non troverà più giustificazioni a quegli orrori forse sarà davvero cambiato».
GIOVANNI BRUSCA GIOVANNI BRUSCA STRAGE CAPACI gaspare mutolo GIOVANNI BRUSCA GIOVANNI BRUSCA