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TRATTO DA “OPERAZIONE GATTOPARDO” DI ALBERTO ANILE E MARIA GABRIELLA GIANNICE – Feltrinelli editore
Prefazione di Goffredo Fofi
Del solo Alberto Anile, ma forse con l’aiuto allora secondario e via via più importante di Maria Gabriella Giannice, ho letto in anni recenti libri appassionanti, per chi ha amato il cinema italiano e la società che lo ha stimolato e di cui voleva essere il rispecchiamento. In particolare, quello sull’intreccio affettivo e artistico Rossellini-Magnani-Bergman che segnò il primo grande passaggio dal neorealismo a un cinema azzardato e austero che anticipasse invece che starne a rimorchio la novità dei tempi, oltre le convenzioni e i ricatti delle ideologie, delle parti e dei partiti; o sul passaggio provocatorio e bizzarro, perfino un po’ picaresco, di Orson Welles nel nostro paese, un’Italia che affascinò il regista statunitense (o “marziano”) al pari del Brasile e della Spagna – luoghi di un’umanità ancora forte, di un popolo che era popolo, e che non era condizionato nei suoi sentimenti e comportamenti (nella sua fatica di vivere, sopravvivere) dalle pubblicità e dalle merci.
Si ammirò di quei saggi (e dei libri su Totò, che confesso di aver letto distrattamente, a causa di una personale saturazione sull’argomento) il grande lavoro di ricerca, certamente da storico più che da critico cinematografico (ed è un elogio, anche se Anile non aveva niente da invidiare ai critici di mestiere), e una maestria che sapeva coniugare il rigore del saggio con la scioltezza della narrazione, non intralciando la lettura con note e rimandi, riservati alla documentazione finale sulle fonti.
Queste qualità sono ben presenti in Operazione Gattopardo, ma affinate e approfondite, con qualcosa di nuovo che dà la piena misura dell’assunzione di responsabilità degli autori nell’affrontare un argomento apparentemente più ristretto e perfino più semplice – parlano di un solo libro e di un solo film – ma confrontandosi con due mondi assai diversi tra loro, quello dei letterati e quello dei cineasti, sullo sfondo dell’interventismo politico sulle arti che caratterizzava la nostra cultura.
LUCHINO VISCONTI E CLAUDIA CARDINALE
La distanza tra i due mondi (o meglio, tra i due linguaggi) è sempre stata molto grande nonostante i legami di entrambi con la politica e l’incontro tra scrittori e registi nell’elaborazione dei progetti, e cioè nel lavoro di trattamento e sceneggiatura di un film.
Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa non fu un libro qualsiasi, come Il Gattopardo di Visconti non fu un film qualsiasi, il secondo opera derivata e dunque sottoposta al confronto con la fonte, obbligato in questo caso dall’importanza e dalla risonanza addirittura mondiale del romanzo.
La serietà degli autori li ha dunque spinti ad affrontare nella sua autonomia la “storia” del Gattopardo – che è necessariamente la storia del suo autore, perché Tomasi ha investito molto di sé nel personaggio immaginario del Principe di Salina, ne ha fatto un suo portavoce e un suo doppio.
Nonostante si sia scritto moltissimo sul romanzo, la ricostruzione della sua vicenda editoriale e dello scontro critico che accompagnò il suo successo, all’interno della sinistra piuttosto che tra sinistra e destra, è di rara finezza e completezza, e l’elogio migliore che si può fare agli autori è che essi hanno capito “lo spirito del tempo”, le sue contraddizioni – un’Italia avviata verso il miracolo economico, ma ancora molto lontana dal suo “boom” – non col senno del poi ma, se si può dire, come fossero attivi in quegli anni (non erano ancora nati!), per la comprensione delle forze in campo e di quegli “scherzi della dialettica” che portavano scompiglio nelle ideologie e disordinavano la rigidità dei fronti.
Io invece ero nato, ero già adulto e ho vissuto quelle contraddizioni “dal vero” e in parte dalla Sicilia. Non ho amato subito il romanzo, che pure mi affascinò per quel che mi faceva scoprire di una storia di cui sapevo ancora poco.
LUCHINO VISCONTI CLAUDIA CARDINALE BURT LANCASTER E IL LEOPARDO
Della Sicilia avevo imparato a conoscere subito il “basso” con pochi e parziali assaggi del medio e dell’alto (per esempio, le sorelle Topazia e Orietta Alliata di Salaparuta, della seconda delle quali e di suo marito Gianni Guaita sono stato amico fedele; i giornalisti de «L’Ora» e in modo particolare la saldissima coppia Marcello Cimino – Giuliana Saladino; il coraggioso fotografo, ancora de «L’Ora», Nicola Scafidi, che fotografò giorno per giorno la lavorazione del film così come fotografò tutto quello o quasi che di rilevante accadde nell’isola dal dopoguerra alla fine del secolo scorso; l’avvocato socialista, e grande appassionato di cinema, Nino Sorgi; Ignazio Buttitta e altri bagheresi, eccetera) per il tramite dei loro rapporti con Danilo Dolci con cui lavoravo.
alain delon claudia cardinale il gattopardo
E ho perfino qualche ricordo sulla lavorazione del Gattopardo, perché assistetti – con grande curiosità, trattandosi del mio primo “set” e per di più di un film di quella portata – dai margini, alla Magione, alle riprese della battaglia garibaldina per la conquista di Palermo, e ricordo quanto mi scandalizzasse la voce rimbombante del regista che, con un megafono, arringava le comparse con epiteti non sempre rispettosi…
Non ho mai frequentato Visconti, ma ricordo bene la sua sicurezza e la sua arroganza – non riesco a definirla altrimenti – in certe conferenze veneziane (quella per Vaghe stelle dell’Orsa, e soprattutto quella per Lo straniero, alla cui proiezione per la stampa qualcuno aveva osato cautamente fischiare), e confesso un’istintiva antipatia “di classe” per il personaggio, nonostante che Bellissima sia stato uno dei film che ho più amato, insieme culmine dell’esperienza neorealista e sua critica e superamento…
burt lancaster e alain delon a villa igiea
Quando lessi per la prima volta Il Gattopardo, subito a ridosso della sua pubblicazione, mi sembrò un grande libro di un autore antipatico – ma questo non era la prima volta che accadeva, no? Ero troppo giovane e inesperto per motivare un giudizio critico ma abbastanza adulto per dare un giudizio “di classe” sul principe di Lampedusa.
Al seguito di Dolci avevo battuto la provincia di Palermo e visto da vicino le condizioni di vita dei contadini nei grandi feudi dell’interno, di inaudita miseria ai miei occhi – che pure venivo da una famiglia mezzadrile dell’Italia centrale – e sapevo che l’agio in cui viveva il principe veniva di lì, dallo sfruttamento di quelle persone, di quella “forza lavoro”.
E inoltre avevo già letto Signora Ava di Francesco Jovine e il paragone tra i due romanzi mi sembrò a tutto vantaggio di Jovine, perché, in definitiva, raccontava il Risorgimento dal punto di vista dei contadini del sud e non dei nobili del sud. (Non avevo ancora letto I Viceré e I vecchi e i giovani, gli altri due grandi romanzi su quel periodo storico, né di De Roberto L’imperio, che corrisponde in qualche modo alla seconda parte del romanzo di Pirandello e tratta della corruzione romana e parlamentare, della delusione verso una nuova Italia non meno equivoca, e classista, della vecchia.)
Oggi parlerei invece della complementarietà tra le due opere, due punti di vista ugualmente significativi, importanti e utili per capire di dove veniamo, o di dove viene il nostro Sud con le sue piaghe antiche e le sue nuove sconnessioni.
burt lancaster ne il gattopardo
Il romanzo di Tomasi merita assolutamente il posto che si è conquistato con non poca fatica nella storia della nostra letteratura – documentata e interpretata dagli autori di questo saggio –, e merita tutta l’attenzione che hanno continuato e che continuano a dedicargli sia i critici letterari che gli storici.
nilde iotti palmiro togliatti 1
Ed è merito degli autori spingerci a rileggerlo alla luce degli scontri che essi documentano, e a rileggerne in particolare l’ultimo capitolo, su cui giustamente essi insistono, e che serve a ridimensionare le letture più comode e più comuni, quelle che finiscono sempre nel consueto «tutto cambi» eccetera diventato proverbiale ma tirato in troppe direzioni, anche tra loro contrastanti.
Perché, sì, la memoria del film ha finito per sovrastare la memoria del romanzo – perché la forza delle immagini, la loro evidenza, si dimostra alla lunga superiore alla forza ed evidenza della parola.
Il balletto delle opinioni e dei contrasti ha provocato attorno al romanzo una discussione serrata, appassionante perché appassionata. E l’intervento dei politici (del Pci, di Togliatti in particolare), nella sua invadenza, nella sua pretesa a indirizzare il gusto e il giudizio dei lettori comuni, impressiona anch’esso, a ritroso, positivamente, nel senso – vituperato dalle destre o dai centri del potere ideologico odierno, cioè dai giornali – che ebbe una volta a dirmi Paolo Volponi: i politici della sinistra tenevano in gran conto gli intellettuali e li corteggiavano o aggredivano perché consideravano importanti le loro opinioni e la loro possibilità di influenzare le masse, o le loro avanguardie; mentre oggi non gliene importa niente, li hanno anzi in disprezzo e credono di poterne fare a meno, sostituendosi a loro.
gioacchino lanza tomasi lucio piccolo giuseppe tomasi di lampedusa
E, non ultimo, gli schieramenti avevano un senso in quanto corrispondenti a contrapposizioni sociali reali, rappresentanti di opzioni forti e dotate di buone radici. I conflitti che si scatenavano attorno a opere particolarmente significative o ingombranti, si trattasse di Vittorini o di Gadda, di Pratolini o di Moravia, di Rossellini o di Pasolini, di Antonioni o di Fellini, di Licini o di Guttuso, ma anche di Fortini o di Asor Rosa, di Aristarco o di Chiarini, e prima ancora di Croce o di Gramsci (la pubblicazione dei Quaderni) eccetera, rientravano nonostante tutto in un’epoca di enorme vivacità sociale, animata in primo luogo dalla convinzione di poter contribuire all’edificazione di una società nuova.
Il film Il Gattopardo “correggeva” il romanzo Il Gattopardo, forzandone l’analisi e le intenzioni, e gli si sovrapponeva, ma in qualche modo consentendo al suo pessimismo. Anile e Giannice constatano infine come il film possa essere letto in definitiva, per Visconti, come il punto più avanzato nelle sue convinzioni storico-politiche, ma anche il punto di svolta nella sua carriera, a giudicare dalle opere successive, di resa alle sue origini, di ritorno a un’estetica “borghese” (o “decadente”) per la perdita di fiducia nella possibilità di una rivoluzione, di una qualsivoglia trasformazione positiva del nostro paese.
luchino visconti federico fellini
Alla fine, essi dicono, è Tomasi di Lampedusa ad aver vinto, nel progressivo avvicinamento del film al romanzo, e tutte le giustificazioni teoriche avanzate dal regista nelle molte dichiarazioni pubbliche sono sopravanzate da quel che il film finisce per dire: la morte di una classe, l’impossibilità di un cambiamento successivo al Risorgimento, “rivoluzione” incompiuta o tradita (la vagheggiata continuazione della sua azione in quella della Resistenza e nel risveglio popolare del dopoguerra), la coscienza, infine, che forse – e qui la morale va ben oltre il «tutto cambi» eccetera – il mondo “di dopo” è perfino peggiore del mondo “di prima”.
giuseppe tomasi di lampedusa con gioacchino lanza tomasi
Dopo Il Gattopardo, Visconti si libera definitivamente, ho scritto anni addietro, del super-io gramsciano che lo aveva conquistato fino ad allora, proprio mentre il suo massimo rivale nel cinema italiano, Federico Fellini, rivendicava con 8 1/2 la libertà dell’artista rispetto a ogni presunto “mandato sociale”.
Certo, rivedere oggi Il Gattopardo ci dà l’idea di una grandezza – e di una varietà e importanza dei problemi che vi si agitavano – di cui a suo tempo ci rendevamo conto solo in parte, prigionieri anche noi dei conflitti ideologici dell’epoca.
alain delon claudia cardinale il gattopardo
Certo, oggi Il Gattopardo ci piace molto più di allora, ci sembra anzi un film magnifico (e la parte finale ci convince quanto e forse più di quella che gli contrapponevamo, come racconto della decadenza di una classe, del ballo di L’orgoglio degli Amberson, formalmente più libero e meno teatrale) e anche le nostre resistenze si rivelano fragili di fronte alla lezione della Storia, che dà ragione al pessimismo del romanzo e al sentimento di morte della speranza che è suggerito dal film.
giuseppe tomasi di lampedusa con gioacchino lanza tomasi 1
E non si può non citare, a conclusione della lettura di questo bel saggio su un episodio fondamentale nella storia della cultura italiana del Novecento, quanto ebbe a scrivere sul «Mondo» qualche anno dopo la morte del regista un non-amico di Visconti (e non-amante di Tomasi), Alberto Arbasino, alla fine di una sua pungente carrellata sul teatro e sul cinema italiani dei tardi anni settanta: «Torna, Luchino, tutto ti è perdonato».
articolo del new york times sul gattopardo 1983 il gattopardoalain delon claudia cardinale burt lancaster il gattopardo il gattopardo 3
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