MASSIMO GHINI
1. «L'INDIGNAZIONE OGGI È SOLO UNA MODA SI CRITICA LA STORIA SENZA CONOSCERLA»
Riccardo De Palo per ''Il Messaggero''
L'uccisione di George Floyd «ha dato enorme visibilità alla battaglia contro il razzismo, e ha creato l'obbligo di schierarsi assolutamente per i diritti civili». Ma, secondo l'attore Massimo Ghini, spesso tutto questo «non è altro che un atteggiamento alla moda». «Sono pronto ad assumermene tutta la responsabilità - prosegue l'attore - dal momento in cui i social lanciano un tema, questo mondo ignorante, senza un progetto, ne diventa vittima».
GIORGIO NAPOLITANO E MASSIMO GHINI
Cosa vuol dire?
«Quando c'è stato l'omicidio, in America, ho condiviso l'indignazione, l'orrore per un fatto del genere. Ma non si diventa meno razzisti se ci si inchina per strada o se si alza il pugno; bisogna costruire una società - e io che abito all'Esquilino lo sento molto - in cui questo modo di sentire sia radicato».
A lei capita di spesso di essere controcorrente?
«Una volta innescai una polemica sbagliatissima (io faccio sempre le polemiche sbagliate) sulla questione delle parole nero e negro. Non si diventa razzisti o si è contro il razzismo semplicemente perché si dice nero al posto di negro; bisogna tenere presenti la Storia, la letteratura, che ci portavano a usare un tema che allora non veniva ritenuto offensivo. Se oggi rivedessimo Via col vento, ci stupiremmo nel vedere il personaggio di Mami, doppiata come la caricatura di una persona di colore. All'epoca, c'era un mondo colonialista, un certo tipo di razzismo, che va condannato ma anche spiegato».
massimo ghini foto di bacco
E cosa pensa del politicamente corretto di oggi?
«Vorrei che il politically correct fosse una scuola di pensiero che possiamo portarci dentro; ma questo senza diventare talebani. Non c'è niente di peggio nella vita, credo. Ma vorrei raccontarle un episodio...»
Prego, mi dica.
«Sembra una barzelletta. C'ero io, un africano e un bengalese. Sono sceso per andare a lavorare e mi sono ritrovato in una situazione paradossale. Sotto casa c'è uno di quei negozi dove trovi un po' tutto, dalla ricarica per i telefonini ai cappelli; e io cercavo dei fazzolettini di carta. Due ragazzi neri africani stavano davanti a me e io, che sono assolutamente rispettoso, aspettavo pazientemente il mio turno. Poi il bengalese, che evidentemente mi conosceva, mi ha chiesto cosa volessi; e l'africano ha protestato. Io non volevo certo passargli avanti, avrei preso i fazzoletti da solo. Ti trovi in situazioni in cui il razzismo non nasce neanche da te».
Cosa ne pensa di quelli che vogliono demolire le statue di personaggi del passato, da Jefferson a Churchill?
MICHAEL WALZER
«Allora dobbiamo buttare giù anche l'obelisco di Mussolini, e l'elenco di monumenti da abbattere sarebbe enorme; ma certi valori etici e morali, messi oggi in dubbio da quei simboli storici, a quei tempi nemmeno esistevano. Se bisogna fare il processo alla Storia, io dico: prima cerchiamo di conoscerla».
Nel suo lavoro si è imbattuto in questo problema?
«Noi adesso vorremmo fare uno spettacolo tratto da Scipione detto anche l'Africano , il film del 1971 di Luigi Magni, (che dovrebbe debuttare ai Mercati di Traiano all'inizio di agosto, ndr) il processo di Catone il Censore contro Scipione l'Africano. Una storia vecchia di duemila anni che sembra successa l'altro ieri, sembra Mani Pulite. C'è un ammanco terribile nelle casse dello Stato, dopo la campagna militare. E c'è la storia di Sofonisba, la nobildonna cartaginese che viene uccisa da Massinissa. Catone, per premiarlo, gli regala il regno di Mauritania. Se arrivassero le attiviste di Metoo dovremmo bloccare tutto».
STATUA DI MONTANELLI CON LA BIMBA IN BRACCIO
E il caso Montanelli?
«Se vogliamo raccontare un passato in cui tutto era politicamente scorretto, non possiamo continuare a giudicarlo con i criteri del presente. Noi abbiamo il dovere di raccontare, anche quello di giudicare; ma non è giusto ridurre Indro Montanelli alla vicenda dalla dodicenne comprata in Etiopia. Perché non parla nessuno di quello che avviene alle donne arabe oggi».
MICHAEL WALZER "È UN'ISTERIA, DOBBIAMO RESISTERE"
Paolo Mastrolilli per ''La Stampa''
«Sento una marea montante di militanti a sinistra che hanno la mentalità della purga». Non usa toni sfumati Michael Walzer, professore emerito all'Institute for Advanced Study di Princeton e storico direttore della rivista Dissent, per spiegare come mai ha firmato l'appello di Harper' s.
«È importante difendere il principio della libertà di parola, e resistere alle gang coalizzate contro chi dice cose o sostiene persone politicamente scorrette. Vogliono ripulire le istituzioni, i giornali, le accademie, da chi ha opinioni reazionarie o non sensibili. Bisogna prendere posizione contro ciò, e farlo prima che molti siano colpiti. Alcuni dei firmatari, tipo Noam Chomsky, sono persone con cui raramente mi trovo d'accordo, però penso che questo sia un buon gruppo eclettico, che rappresenta bene le diverse componenti del mondo intellettuale americano».
THOMAS JEFFERSON
«Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo?».
«Esatto. Uno dei fattori che hanno ispirato la dichiarazione è l'incidente del New York Times, cioè le dimissioni forzate del responsabile degli editoriali James Bennet, per la pubblicazione dell'articolo del senatore di destra Cotton. Quel commento non mi sarebbe piaciuto, se lo avessi letto, ma licenziare Bennet è la risposta sbagliata. Dobbiamo prevenire simili incidenti».
Stanno avvenendo anche nel mondo accademico?
«Certo. Nelle università ci sono stati sforzi da parte di alcuni professori per censurarne altri, o richiedere che ricevessero tutoraggio sulle opinioni politicamente corrette. Anche agli studenti viene chiesto di seguire corsi ideologicamente giusti. Parecchie università di élite sono nel mezzo di discussioni sulle opinioni scorrette riguardo la storia americana».
Cosa pensa del movimento per abbattere le statue?
«Non ho alcuna compassione per i generali confederati. Le loro statue erano state erette per un motivo politico, e quindi possono essere tolte per un motivo politico. Ma le campagne contro Grant o Jefferson, mirate a trasformare radicalmente la storia del Paese, sono isteria a cui dobbiamo resistere.
thomas jefferson sally hemings
Sono pronto a discutere degli schiavi di Jefferson, ma vorrei anche onorare l'autore della Dichiarazione d'indipendenza, e spiegare che gli esseri umani sono complessi. Alcuni che hanno fatto grandi cose ne hanno fatte anche di terribili. Siamo un misto di bene e male. A metà dell'800, ad esempio, chi sosteneva l'abolizione della schiavitù era ferocemente contro gli immigrati irlandesi cattolici, e viceversa. Dobbiamo riconoscere la complessità, non solo emettere condanne per ostracizzare figure storiche. La nostra dichiarazione è una risposta adulta al problema».
Trump usa il tema delle statue per la sua campagna elettorale.
«Appunto. Questa è la ragione per cui noi liberal e la sinistra dobbiamo parlare, perché la cultura della cancellazione favorisce lo sfruttamento politico da parte della destra».
Discutendo di «correttezza politica», il governatore di New York Mario Cuomo mi disse: «Nella nostra città ogni giorno si parlano oltre 150 lingue, questo significa che tutti i conflitti del mondo sono presenti. Se ognuno si sentisse libero di dire e fare ciò che vuole, avremmo una guerra civile permanente. La correttezza politica sarà pure ridicola, ma alle volte serve anche un po' di ipocrisia per tenere insieme le nostre società». Aveva torto?
«No. Le discussioni tra ebrei e palestinesi a New York sono più infuocate di quelle che avvengono in Medio Oriente. È giusto avere limiti, a patto di non imporre la censura».