1. MORO: PG ROMA CHIEDERÀ ATTI A PROCURA
(ANSA) - Sul presunto coinvolgimento dei servizi segreti nelle fasi del sequestro di Aldo Moro, il procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, interpellato dall'ANSA, ha detto che oggi stesso richiederà gli atti di indagine alla Procura di Roma "per le opportune valutazioni".
"E' stato impropriamente fatto riferimento alla mia funzione - ha detto Ciampoli all'ANSA - per riportare opinioni personali di altri. Nel mio ruolo di Procuratore Generale di Roma, informo che oggi stesso chiederò gli atti relativi alla vicenda di cui si parla per l'esercizio di tutti i poteri attribuitimi dall'ordinamento".
2. IL GIALLO DELLA LETTERA SUGLI 007 CHE COPRIRONO I BRIGATISTI IN VIA FANI
Giovanni Bianconi per ‘Il Corriere della Sera'
Sarebbe già custodito nell'archivio della Procura di Roma come notizia priva di riscontri affidabili l'ultimo mistero del caso Moro, o presunto tale. Una storia che comincia con una lettera anonima datata 2009 e finisce con un ex poliziotto che si lamenta, oggi, di non aver potuto indagare come voleva.
L'ispettore Enrico Rossi, in pensione nonostante l'età relativamente giovane, rivela all'agenzia Ansa di aver seguito la pista di due agenti dei servizi segreti presenti in via Mario Fani, il 16 marzo 1978 al momento del sequestro del presidente della Dc, a bordo di una moto Honda «per proteggere le Brigate rosse da ogni disturbo»; Rossi sostiene di essere arrivato a un passo dalla loro identificazione, ma ogni sua richiesta fu osteggiata, col risultato di aver perso un'occasione.
ALDO MORO A TERRACINAUna versione che viene smentita da altre fonti, secondo le quali l'indagine venne regolarmente svolta e la Digos di Torino (ufficio nel quale Rossi ha lavorato per un periodo) riferì alla Procura di Torino i risultati raggiunti: al di là di qualche suggestione non c'erano elementi per sorreggere l'ipotesi dei due agenti segreti sulla moto. I magistrati torinesi trasmisero il fascicolo per competenza alla Procura di Roma, che provvide ad archiviare la vicenda per assenza di riscontri.
E oggi che l'ispettore Rossi riapre il caso attraverso un pubblico annuncio, i due eventuali protagonisti sono morti entrambi. Il primo - autore dell'anonimo da cui cinque anni fa scaturì l'indagine - sarebbe stato ucciso dal cancro sei mesi prima dell'invio della lettera; l'ha scritto lui stesso, spiegando di aver «passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto».
ALDO MORO E GIULIO ANDREOTTIPoi la confessione: «La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere».
Il colonnello Guglielmi (morto anche lui) era un ufficiale del Sismi, il servizio segreto militare, che non ha mai dato una spiegazione plausibile del suo transito nelle vicinanze di via Fani, intorno alle 9 del mattino, mentre Moro veniva rapito dai brigatisti. E di una moto Honda sul luogo dell'agguato s'è parlato fin da quel giorno perché un testimone, l'ingegner Antonio Marini, disse di averla vista con due uomini a bordo, una dei quali gli sparò addosso senza colpirlo.
Chi fossero i centauri non s'è mai scoperto. I terroristi hanno sempre negato di aver utilizzato una moto nell'operazione; per un periodo qualcuno ha sostenuto che sopra ci fossero due estremisti di sinistra che, avvisati del sequestro, erano andati a vedere; qualcun altro collegò la Honda alla presenza (sostenuta da un pentito ma mai confermata) di affiliati alla ‘ndrangheta. Fino alla confessione del sedicente agente segreto. Che invitava i giornalisti a cui spedì la lettera anonima a identificare l'altro passeggero: «Sta a voi decidere di saperne di più».
L AGGUATO DI VIA FANI DELLE BRIGATE ROSSE PER RAPIRE ALDO MOROLo scritto arrivò alla polizia, e ora l'ex ispettore Rossi spiega di aver svolto accertamenti nonostante le difficoltà incontrate ad ogni richiesta e istanza, evidentemente frapposte dai suoi superiori. Nonostante ciò, lui riuscì a individuare l'altro possibile motociclista, e nella casa dell'ex moglie - afferma - trovò due pistole, una delle quali «poggiata o vicino a una copia cellofanata dell'edizione straordinaria de la Repubblica col titolo "Moro rapito dalle Br"».
Arma di fabbricazione cecoslovacca sulla quale Rossi avrebbe voluto fare delle perizie, «ma ciò non accadde». Poi lui se ne andò dalla polizia, col rammarico di «una grande occasione» persa. Poco dopo venne a sapere che anche l'uomo sul quale avrebbe voluto continuare indagare era morto. Da allora, agosto 2012, ha taciuto, fino alla scelta di parlare «per il semplice rispetto che si deve ai morti».
BRIGATE ROSSEIl problema è che quella che nel racconto dell'ex poliziotto appare come una sorta di indagine personale svolta a dispetto delle istituzioni, sarebbe invece una regolare inchiesta svolta dalla polizia giudiziaria sotto l'egida di tre Procure: quella in provincia di Cuneo dove furono svolti i primi accertamenti, poi Torino e infine Roma. La mancanza di conferme (soprattutto all'ipotesi di collegamenti tra il secondo motociclista e i servizi segreti) e l'asserita impossibilità di trovarne altre avrebbe convinto investigatori e magistrati a chiudere il caso. Almeno fino a oggi.
3. FRANCESCHINI: "LA STORIA È VEROSIMILE"
Sal. Can. per ‘Il Fatto Quotidiano'
Che lo Stato abbia strumentalizzato le Br secondo me è plausibile. Ora, però, chi di dovere de-secreti le carte, è venuto il momento di conoscere davvero tutto". Alberto Franceschini delle Br è stato uno dei membri fino al 1983 anno in cui si dissocia dalla lotta armata.
Nel 1992 lascia il carcere dopo 18 anni di galera e inizia una nuova vita. Accuse e sospetti sul rapporto tra Brigate Rosse e apparati dello Stato li ha già avanzati in diverse occasioni quindi, raggiunto al telefono, non sembra stupito della notizia. "Sì, è probabile, la storia del colonnello Guglielmi che si trovava a passare "casualmente" da quelle parti, è nota. Ora si scopre che qualcuno era lì a osservare tutta la scena. Ma sarebbe il caso di vedere dei documenti ufficiali.
Il governo dovrebbe agire in questo senso?
Sì, il nostro governo ma anche gli Stati Uniti dove ci sono altre carte. È anche vero che i servizi segreti non lasciano troppi testi scritti in giro ma, insomma, sarebbe davvero ora di desecretare tutto quello che è in giro. Almeno per rispetto ai famigliari delle vittime e per tutte le persone che vorrebbero sapere la verità.
Molti ex Br non condividono la posizione secondo cui gli apparati dello Stato coprivano il terrorismo.
Lo so, insieme a pochi altri faccio parte di un'esigua minoranza. Poi, però, emergono fatti come questi su cui occorre interrogarsi.
Ma se fosse vero, che ruolo hanno giocato le Br?
Le ipotesi possono essere diverse tra loro. Potrebbero essere stati "protetti" a loro insaputa, se vogliamo utilizzare una battuta. In fondo è la verità più semplice.
Strumentalizzati dallo Stato?
Sì, anche se questo significa ammettere di essere stati un po' coglioni. Essere presi in giro dallo Stato che si sta combattendo con la lotta armata.
Oppure?
Oppure, come io credo, anche se non ho le prove, c'è stata una complicità. Su una vicenda come quella della lotta armata è impossibile che i servizi non abbiano tentato di incunearsi. Ma la partita è stata giocata da più soggetti. Spero si riapra una commissione d'inchiesta. La soluzione è tirare fuori tutte le carte anche per smentire eventuali, nuove, bufale.
4. GOTOR: "DICO ATTENZIONE ALLE BUFALE"
Ste. Ca. per ‘Il Fatto Quotidiano'
La regola, per il caso Moro come per tutto, è semplice: a grandi affermazioni, grandi prove. Non mi pare che sia così". Lo storico Miguel Gotor, senatore del Pd, è uno dei maggiori esperti italiani in materia ed è piuttosto scettico.
Gotor, consiglia cautela?
C'è una storia raccontata da un signor Rossi che chiama in causa due persone defunte e un'arma distrutta. Un po' poco, o quanto meno un copione rodato.
Quindi è una bufala?
Le possibilità ci sono. Ma come tutte le notizie sul caso Moro, anche questa andrà verificata con cautela e senso di responsabilità. Colpisce, tuttavia, la contemporaneità della vicenda (che, a quanto è dato sapere, comincia nel 2009) con l'istituzione di una nuova commissione parlamentare sul caso Moro appena deliberata dal Parlamento.
L'ennesima trama oscura?
È come la sottolineatura in un testo che vuole dire: se tornate a occuparvi di Moro, concentratevi su quella Honda in via Fani. È un indirizzo, ma la storia insegna che spesso l'indirizzo equivale anche a un depistaggio, in questo caso per spostare l'attenzione dal partito armato ai servizi. Poi, per carità, tutto è possibile...
La Honda, però, non è una bufala...
No. Che una moto con due persone a bordo estranea al commando Br fosse in via Fani (e che da quella moto si sia sparato) è un dato storicamente e giudiziariamente accertato.
Ma le Br hanno sempre negato...
Sì, nonostante prove inconfutabili.
Perché, secondo lei?
In origine per una comprensibile strategia processuale, poi, credo che sia subentrato anche un lato "umano": per chi ha scatenato la lotta armata contro lo Stato uscire ideologicamente "pulito" da una vicenda del genere è decisivo per l'idea che si ha di sè stessi e per come ci si pone nei confronti degli altri.
È possibile che ci sia stato una sorta di patto tra Br e - chiamiamola così - la controparte istituzionale per arrivare a una verità ufficiale, magari non corrispondente alla realtà, ma verosimile e soprattutto sostenibile. In questa enorme vicenda, ognuno ha avuto la sua parte in tragedia e il suo particolare punto di vista da cui l'ha vissuta, necessariamente parziale e non per forza in malafede.
cossiga moro via caetanialberto franceschini