Estratto dell’articolo di Giancarlo Dotto per “La Gazzetta dello Sport”
maurizio costanzo
Maurizio è stato fino in fondo un uomo solo in fuga come Coppi e come Bartali. Solitario per vocazione e per indole. Solo anche quando era circondato dalla folla. Solo quando sposava le sue donne (amava i matrimoni, quelli suoi e quelli degli altri, gli piaceva tantissimo celebrarli).
Il lavoro era la sua religione. La torcia sempre accesa sul suo “pozzo di malinconia”, come lo chiamava Maria, la donna della sua vita. “…Nella mano della quale vorrei morire”, mi disse in un momento di particolare intimità. E speriamo davvero sia andata così.
[…] Maurizio si divertiva solo lavorando. Mai fatto vita mondana. Tornava a casa la sera, alzava il ponte levatoio e si isolava nel suo mondo. “Tutte le volte che qualcosa mi condanna a fermarmi vado in depressione”, mi diceva. “Ho dovuto sgobbare come un matto per avere successo. ancora di più per conservarlo. E ora non so più fermarmi…”.
CHI MI CREDO DI ESSERE AUTOBIOGRAFIA DI MAURIZIO COSTANZO SCRITTA CON GIANCARLO DOTTO
Il Teatro Parioli a Roma è stato per anni la sua tana, la sua vera casa. Aveva il suo odore, i suoi umori, il suo respiro. Lui, sempre più somigliante al samurai di Toshiro Mifune, non ha mai mollato fino all’ultimo giorno. In un mondo che nel frattempo si rovesciava sottosopra.
[…] La televisione era cambiata, ma lui era rimasto se stesso. Pigro e frenetico, sempre più refrattario alla gente e sempre più calato nella mischia, consapevole più che mai dell’effimero di ciò che faceva e sempre più impegnato a farlo. Mai stato un uomo felice, Maurizio, ma la sua agenda era sempre piena e forse questo somigliava alla felicità.
L’ho incontrato l’ultima volta nel suo ufficio romano. Dal suo ponte di comando, l’energia contagiosa dell’highlander, non la smetteva di distribuire compiti ai fedelissimi che lavoravano per la sua gloria. La sua televisione focolare, che sembrava spazzata via dalla caciara di massa, era più viva che mai.
Lui, nel frattempo ottuagenario, tagliava corto come sempre. Mai avuto tempo da buttare. Si era rattrappito. Sempre più simile alle sue amate tartarughe. Televisione, radio, teatro, giornali, web, il paniere di Costanzo, manco a dirlo, è sempre stato pieno. Uscito dalla finestra dell’analogico serale era rientrato dalla porta di quello mattutino prima e pomeridiano poi, per tornare al serale, alternandosi tra Rai e Mediaset. Non mancando le incursioni nel digitale e nella banda larga.
maria de filippi maurizio costanzo
[…] Costanzo ha inventato il talk-show all’italiana, teatrale, unico al mondo, con il pubblico in platea, storie di un’Italia sconosciuta, sorprendente, a volte commovente, in qualche caso aberrante, istigato gazzarre alte e basse, ma anche campagne importanti come quelle sul carcere e i racket malavitosi. Tra pochi giorni sarà il trentesimo anno dall’attentato di mafia nei suoi confronti. L’autobomba con 70 chili di tritolo, lui e la compagna Maria scampati per miracolo.
La genesi di tutto:18 ottobre 1976, ore 22 e 40. Maurizio Costanzo chiude la persiana della finta finestra alle sue spalle, si accomoda su uno sgabello e aspetta il verso del cucù, un orribile orologio altoatesino. È la prima puntata di Bontà loro. Schiacciati su tre poltrone color aragosta Anton Giulio Majano, un idraulico e una ragazza eliminata a Miss Italia, sono le prime cavie chiamate a rispondere alla domanda: “Cosa c’è dietro l’angolo?”. Tutto in diretta.
giancarlo dotto foto di bacco (2)
La puntata costa 300 mila lire e fa subito il botto: 5 milioni e 400 mila spettatori. Costanzo esaltava la qualità radiofonica della televisione, la vanità e lo scacco della parola. Grazie a lui, i politici uscivano dai ghetti ingessati delle tribune politiche e scoprivano la cosmetica e la popolarità, andando intrepidi incontro al trionfo e al disastro.
Costanzo aveva una sincera ammirazione per il talento. Specie quello che si manifestava nell’uso vertiginoso della parola. Memorabili i suoi Uno contro tutti con il prediletto Carmelo Bene. Una sua invenzione totale Vittorio Sgarbi, prima del Costanzo Show un eccentrico e sconosciuto studioso d’arte. Sul palco del Parioli hanno sfilato in passerella tutti, i più improbabili, incluso Giorgio Strehler da Parigi. “Il più grande rimpianto? Non essere riuscito a convincere Berlusconi a ballare in diretta con la Fenech”, mi disse una volta.
paolo villaggio paola borboni e maurizio costanzo
[…] A furia di agitarsi e dimenarsi ne ha fatti di errori. Il più grande, inciampare nella storiaccia della P2. Il suo nome, nella lista di Licio Gelli, uno dei 962 affiliati. “La più grande imbecillità della mia vita” si autodenunciò, uno dei pochi. “Anche perché non ne avevo bisogno, ero nel pieno del mio successo televisivo”. Alla confessione televisiva con Giampaolo Pansa seguì un anno di terrore. Terrore di non poter più fare il suo lavoro. Quando riprende il Costanzo Show non è più lo stesso, trasformato anche fisicamente. Baffuto, rotondo, ma come ingobbito e disidratato. Il suo camerino ricorda le celle di clausura: un lettino da riposo, un tavolo, due pantofole da pensionato.
maurizio costanzo
[..] Alla morte di Franca Valeri gli chiesi se l’ipotesi di arrivare come lei ai cent’anni lo lusingasse o lo spaventasse. “Ci metterei la firma subito se dovessi arrivarci come lei, lucido, con la testa di oggi.”, mi disse. “Da rincoglionito, meglio morire”. Non è arrivato ai cent’anni, ma là dove ha potuto ci è arrivato con la testa lucidissima.
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Strana la memoria. Di lui, ora che non c’è più, ricordo i suoi panciotti spesso macchiati dei bignè e dei gelati di cui era goloso e il vezzoso pigiama con le braghe corte con cui mi riceveva per le sedute serali di registrazione della sua biografia.
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