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Con questo articolo parte la collaborazione tra Libero e l'imprenditore Gianluca Vacchi. Ogni settimana, il re dei social network risponderà ad alcune delle vostre lettere inviate a gianlucavacchi@liberoquotidiano.it.
GIANLUCA VACCHI IN TACCHI A SPILLO
Nell' epoca in cui tutto appare incerto e allo stesso tempo possibile, c' è almeno un fatto su cui possiamo contare dopo Brexit e dopo l' elezione di Trump alla Presidenza degli U.S.A: i sondaggi hanno finalmente acquisito una credibilità totale.
D'ora in avanti sarà sufficiente prendere in esame qualunque sondaggio e avere la certezza che accadrà esattamente l' opposto di quanto oggetto della previsione. Insomma, una sorta di credibilità inversa quella dei sondaggi, ma se è vero che ciò che conta è il risultato allora va bene anche così. D'altra parte è lo stesso Trump che ha fatto sistematicamente ricorso nella sua campagna elettorale, appunto, a questa regola del contrario, come mi piace definirla, dicendo e facendo tutto ciò che non bisognava dire e fare.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: da mercoledì 9 novembre, a più di 150 anni di distanza dalla pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista, un nuovo spettro si aggira per il mondo e non più, come il suo illustre predecessore, per la sola Europa.
GIANLUCA VACCHI IN TACCHI A SPILLO
Uno spettro globalizzato e globalizzante che ormai si aggira trionfante tra le cancellerie europee e non, popola i sonni agitati di gran parte dei protagonisti del rutilante, e per la verità un po' in affanno, sistema della comunicazione e dell' expertise, incedendo beffardo in un mondo che ben volentieri ne avrebbe fatto a meno. Un mondo anzi così convinto di esserne al riparo da ritenere impossibile ogni sua reale materializzazione.
Tale è lo sconcerto suscitato dalla sua apparizione da autorizzare ogni esorcismo volto innanzitutto a neutralizzarlo, riconducendolo nell' alveo dei fenomeni, per così dire, naturali: populismo è, allora, il suo nome; Donald J. Trump il suo profeta, come ci viene detto con eguale sicumera dai detrattori e dai sostenitori del neoeletto presidente degli Stati Uniti.
gianluca vacchi
Nella maggioranza dei casi, molto rumore, molte parole per non dire, per non approdare a nulla. Tutte le complicazioni, il baccano, le confusioni e gli equivoci sulla figura di Trump e sull' elettorato che lo ha insediato come Presidente sono dovuti ad un eccesso di attenzione, al gusto della notazione sia verbale che visiva, al narcisismo dei cosiddetti commentatori e esperti, spesso accresciuto a dismisura dalle opportunità offerte dai nuovi canali di comunicazione digitale, la cui potenza di seduzione e di azione induce tutti coloro che ne fanno uso a dimenticare l' ammonimento che proviene da un bel proverbio di origine spagnola: "Non è necessario dire tutto quello che si pensa, ma è necessario pensare tutto ciò che si dice".
donald trump nigel farage
"Il mondo sta crollando" - Reagire a caldo, ricamando improbabili valutazioni sulla vittoria di Trump, è raramente una buona idea, come dimostra ad esempio la vicenda che ha visto come incauto protagonista, stando a Le Monde, nientepopodimeno che l' ambasciatore francese negli Stati Uniti, Gérard Araud.
Il diplomatico ha avuto l'ardire di twittare, a spoglio quasi concluso e a vittoria ormai certa del candidato repubblicano, «Dopo la Brexit e questa elezione, tutto è ormai possibile. Un mondo sta crollando davanti ai nostri occhi. Una vertigine», salvo tentare di cancellare la sua esternazione subito dopo, ma, ahimè troppo tardi per evitare che venisse ripresa da diversi media, tra i quali - purtroppo per lui - la trumpiana Fox.
Gianluca Vacchi retro
Le parole sono, dunque, importanti nel costituirsi delle umane vicende, sia in senso positivo che negativo. «Le parole ci impediscono il cammino. Ovunque i primitivi stabilivano una parola, credevano di avere fatto una scoperta. Ma come diversamente stavano le cose in verità! Essi avevano toccato un problema e, illudendosi di averlo risolto, avevano creato un ostacolo alla sua risoluzione. Oggi, ad ogni conoscenza, si deve inciampare in parole dure come sassi, eternizzate, e invece di rompere una parola ci si romperà una gamba» (Aurora, 47).
Il trionfo di Trump è innanzitutto, questo possiamo dirlo, la vittoria di uno stile comunicativo fatto in primo luogo di un lessico all' insegna della più disarmante semplicità («Donald Trump speaks like a sixth grader. All politicians should», come titolava il Washinton Post nel maggio 2016) e proprio per questo in grado di arrivare non solo alla pancia, ma anche al cervello degli elettori, come dovrebbero sapere tutti coloro che sanno distinguere un appuntamento elettorale da un congresso di filosofia e/o di qualunque altra disciplina accademica.
tweet kkk trump
La nonnina cattiva - Uno stile comunicativo che The Donald ha mostrato di padroneggiare totalmente e di saper costantemente valorizzare, soprattutto a fronte della mediocre oratoria della sua rivale; talmente fredda nell' argomentazione, così fintamente sensata e pacata nei ragionamenti da risultare incomprensibile e distante ai più, una sorta di maestrina dalla penna rossa pronta a correggere ogni errore altrui dimenticando i propri.
Una maestrina che, a differenza di quella «sempre allegra» di De Amicis, è apparsa triste, soprattutto incapace di relazionarsi con le parole e con i gesti a tutti quelli, sostenitori e non, con cui entrava in contatto, di suscitare quel minimo entusiasmo in grado di far dimenticare o di far sopportare le promesse mancate e i problemi creati in otto anni di amministrazione Obama, nonché di dare ragioni della sua presenza da oltre trent' anni sulla scena politica statunitense. In sostanza, un pessimo surrogato del Presidente uscente, nonché suo grande sponsor; oppure, come mi è già capitato di dire «una vecchia nonnina cattiva pronta a generare paura».
gianluca vacchi giorgia gabriele
Sul piano della comunicazione, dunque, Trump ha stravinto, dettando così l' agenda elettorale, i temi della campagna, al punto da essere al centro dell' attenzione di tutti, anche dei più convinti detrattori, con ciò ricordando a tutti noi osservatori che nel mondo contemporaneo per essere costantemente presenti, per ottenere una notorietà in grado di reggere l'usura dei flussi istantanei e continui tipici del sistema della comunicazione è necessario innanzitutto scioccare, inventandosi e reinventandosi incessantemente, da un lato; replicando costantemente, come fossero virus, i propri slogan e le proprie parole d' ordine utilizzando in primis i social network. Non è forse anche questo quel sogno americano che continua a assicurare agli Stati Uniti il ruolo di preminenza di cui godono? Con Trump tutto diventa di nuovo possibile.
TRUMP 20
Di altro non aveva bisogno il tycoon per risultare vincente: troppi americani e da troppo tempo erano abituati alla sua presenza in TV (ricordate The Apprentice?, per non citare altro); troppi cittadini/elettori sperimentavano una crescente divaricazione tra le loro esperienze e le loro aspettative; troppi, infine, si ritenevano esclusi e condannati a un' esistenza sempre più esposta al pericolo dell' emarginazione e, tutt' al più resa meno gravosa dalla frequentazione dei social network.
Una miscela esplosiva di elementi ai quali quasi nessuno, tanto meno i partiti tradizionali e il cosiddetto establishment ovvero, come mi piace definirlo «il mondo dei parrucconi», sia repubblicano che democratico, ha saputo prestare attenzione. Nessuno, se non, appunto, Donald J. Trump.
GIANLUCA VACCHI CON I TACCHI A SPILLO
In realtà, anche le mie sono, forse, chiacchiere. Probabilmente, per spiegare la vittoria di Trump è sufficiente fare riferimento a quella legge dell' alternanza che, almeno a partire dal secondo '900, regola la successione dei presidenti degli Stati Uniti, consentendo l' alternanza quasi regolare dei due partiti principali alla Casa Bianca. Dunque, dopo Obama non poteva che essere eletto presidente proprio Trump, visto che era uscito vincitore dalla Convention repubblicana.
Legge, non semplice consuetudine, che trova la sua giustificazione nelle istituzioni e nella storia del paese e che consente agli elettori americani di variare le proprie preferenze e scelte con una disinvoltura e un' efficacia per noi difficili da capire, anche per un' inveterata abitudine a considerare il popolo americano come una combriccola un po' strana di adulti mai del tutto cresciuti.
trump for president
Ma quale populismo... - Chiacchiere o meno, di una cosa sono certo: se vogliamo cercare di trarre qualche indicazione utile anche per noi, Italiani e Europei - questo è il punto, dovremmo innanzitutto evitare di abusare del termine populismo, che in quanto -ismo è buono per tutti gli usi, e di pensare che esista un collegamento necessario tra il nuovo inquilino della Casa Bianca e il populismo, ammesso e non concesso che di populismo si tratti, di Marine Le Pen, Viktor Orbán, Matteo Salvini (e chi più ne ha più metta).
gianluca vacchi 7
Se ri-cominciassimo, invece, a parlare di politica non solo in termini di interessi, ma anche di identità?
Trump non ha parlato solo di interessi, ma anche di identità: io sono americano e parlo agli americani!
TRUMP ELETTORI TRUMP 4
Gianluca Vacchi