Anais Ginori per "il Venerdì - la Repubblica"
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I fratelli Coen lo chiamano "Uncle Gilles", ha giocato a flipper con Steven Spielberg per convincerlo a portare sulla Croisette il suo tenero extraterrestre E.T., è stato ore ad aspettare che Marlene Dietrich gli aprisse la porta di una stanza d' albergo, avrebbe voluto Umberto Eco nella giuria del festival ma niente da fare. Gilles Jacob è la memoria vivente di Cannes, per 36 anni è stato delegato generale poi presidente, senza contare tutto il periodo in cui ha frequentato la Croisette come giovane critico cinematografico per i Cahiers du cinéma e l' Express. «Non ho ancora visto i film, mi pare che ci siano diverse cose allettanti» dice a proposito dell' edizione straordinaria che si è aperta il 6 luglio, dopo la pausa imposta dalla pandemia.
nanni moretti
Nella sua casa del XVI arrondissement il cinéphile più famoso di Francia, novantuno anni appena compiuti, si aspetta come al solito grandi cose, secondo la sua idea di «cinema d' autore popolare», con un pensiero particolare rivolto a Nanni Moretti, sperando «che sia uguale a se stesso» nella nuova pellicola Tre piani. «Ho sempre provato una certa tenerezza per Nanni nonostante il suo lato taciturno» racconta Jacob, parlando dell'«audacia» di aver scelto Ecce bombo nel 1978, «piccolo film in Super 8» di quello che era solo un giovane regista italiano.
«Aveva fiducia in se stesso» ricorda «tutto quello che rimaneva da fare era offrirgli un trampolino che gli avrebbe permesso di guadagnare cinque anni sulla notorietà». Moretti viene considerato uno dei tanti «bébé Jacob» cresciuti nel vivaio di quest' uomo dall' eleganza desueta, compagno di liceo di Claude Chabrol, che durante la guerra fu costretto a nascondersi in un seminario per sfuggire ai nazisti.
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La trattoria a Cinecittà «Nanni mi è sempre rimasto grato, credo, dandomi grandi film, una Palma, e uno splendido cortometraggio per Chacun son cinéma, che ho prodotto per Cannes 2007. Infine, ha dato al mio amico Michel Piccoli uno dei suoi ruoli più belli: il Papa che dubita!». Jacob ha regnato incontrastato sulla Croisette dal 1978 al 2014, modernizzando il festival, creando nuove sezioni, tenendo testa agli studios, passando per qualche rimpianto, come quello di non essere mai riuscito a far venire Stanley Kubrick. Con l' Italia ha avuto invece tante soddisfazioni.
federico fellini 1
Danza con i ricordi. «Chiudo gli occhi, rivedo la trattoria vicino a Cinecittà dove si riuniva il cinema italiano, chi stava girando, chi aveva finito ma era di passaggio, chi veniva a trovare gli amici. Avevamo assaggiato primo, secondo e dolce, ci eravamo scambiati dei "Come sta?", battute, qualche storia divertente, e poi tornavamo al tavolo dicendo che Marco era ingrassato, Ettore aveva il suo sguardo di velluto, Vittorio il broncio».
gilles jacob brad pitt
I tanti no di Fellini Il Teatro 5, dove Fellini aveva il suo ufficio, era una tappa obbligata. «Parlava del più e del meno, disegnando a colori grandi signore dai seni generosi, ed era estremamente cortese, purché non gli si chiedessi nulla». Jacob voleva farlo tornare in concorso. «Non faceva più per lui, aveva sudato abbastanza per vincere il premio con La dolce vita e diceva che bisognava dare spazio ai giovani». Allora il delegato generale di Cannes insisteva per metterlo in giuria, ma a Fellini non piaceva giudicare i suoi colleghi. Impossibile anche chiedergli di commentare la sua ultima pellicola. Dare un senso a un film, rispondeva, è ridurne la portata.
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«Poi il suo sorriso si spegneva improvvisamente fino a suggerire di camminare un po'» prosegue Jacob sul filo della rievocazione. «E intorno al set, nel biancore degli edifici, il profumo dei pini e lo sfolgorio della luce, tutti lo salutavano e gli piaceva lo sguardo gentile dei tecnici e degli amici che lo coccolavano con grandi abbracci o saluti rispettosi, è lì che si sentiva più nel suo elemento: voleva solo vivere».
fratelli taviani
Appena entrato nella squadra della direzione del festival, Jacob ha assistito a una delle votazioni più tormentate, il duello tra i fratelli Taviani ed Ettore Scola, con Roberto Rossellini a presiedere la giuria. «Padre padrone era più duro, Una giornata particolare più commovente, con due attori sconvolgenti: Sophia e Marcello. Solo per le scene con l' uccello, il bucato sul tetto, la lezione di ballo, avrei dato il premio a Scola. Tanto più che, per me, il premio ai Taviani sarebbe dovuto andare per La notte di San Lorenzo».
ettore scola
Di quell' edizione - era il 1977 - ricorda soprattutto il dolore per la morte di Rossellini, qualche giorno dopo. Ha assistito a molte altre battaglie nelle retrovie del Palais. Come quando i giurati erano quasi venuti alle mani, per decidersi tra Apocalypse Now e Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff, che strappò la Palma d' oro nel 1979. «Abbiamo dovuto votare diverse volte per arrivare a un risultato. Nel mio ruolo dovevo tacere e controllare che le regole fossero applicate» commenta, aggiungendo che esiste il "diritto all' errore" nelle scelte dei premi, alla fine la critica e il pubblico fanno da arbitro.
sergio leone
Le trattative con sergio Leone Nell' inverno 1984 era volato a Roma per scoprire in anteprima C' era una volta in America. Sergio Leone diffidava della stampa a Cannes, non voleva rischiare la competizione con un film di quelle dimensioni, ma esitava a presentarsi fuori concorso. «Sergio era un genio che si fidava del suo fiuto. Ti guardava con i suoi piccoli occhi che brillavano di intelligenza e nell' arco di qualche secondo poteva adottarti, oppure no». Loro erano diventati amici ma i negoziati sono andati avanti per mesi. «Un direttore di festival deve avere inventività» spiega Jacob «e il rischio di perdere un pesce così grosso mette le ali». Alla fine, l' aveva spuntata con una proposta : un' unica proiezione nella migliore notte del festival e tutti i biglietti venduti a beneficio dell' Istituto Pasteur. «È stata l' unica vendita del genere nella storia del festival».
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Nel suo cuore, occupa un posto speciale Monica Vitti. «Una classe folle, le sue lentiggini, i suoi lunghi occhi a mandorla, la sua voce con accenti rochi, i suoi riccioli sul collo, le sue gambe sottili, il suo bel viso da suora senza cappello, la sua risata a cascata. Non ci sono parole per tanta bellezza». Il cinema italiano, prosegue Jacob, ha avuto magnifiche attrici. «La vivace Magnani, la perfetta Cardinale, la grandissima Mangano, la sontuosa Loren, la frizzante Sandrelli, e quella eterna grande signora: Giulietta Masina. Ho quasi dimenticato Gina, Alida, Lucia, Virna, Ornella, Elsa, Laura, Nicoletta. Sembra una poesia di François Villon: ma dove sono le belle di un tempo... ». E se dovesse portare con sé un solo film italiano sull' isola deserta? Ci pensa, accenna con un sorriso Il signor Robinson, mostruosa storia d' amore e d' avventure, commedia di Sergio Corbucci del 1976. «Più seriamente» prosegue «sarebbe Estate violenta di Valerio Zurlini. Bisogna rivalutare questo grande autore un po' dimenticato».
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Il metodo Weinstein Ancora oggi, solo una donna, Jane Campion, ha vinto la Palma d' Oro. Il minimo sindacale, e ogni anno c' è la speranza di provare a colmare questa disparità. «Non sono favorevole alle quote, ma bisogna essere molto più attenti. E anche imporre la parità di salario». Jacob ha imparato a tenere a distanza Harvey Weinstein ben prima del movimento MeToo. «Un personaggio odioso, le nostre relazioni sono sempre state esecrabili». Quando cercava di imporre un film, il produttore americano era capace di chiamare venti volte al giorno. «Voleva comprare tutti, pagando campagne pubblicitarie, e altro ancora» dice con velata allusione alle denunce per le violenze sessuali. A proposito del movimento Me Too che si sta diffondendo nel cinema francese con le polemiche su Roman Polanski alla cerimonia dei César di due anni fa, commenta laconico: «Non abbastanza velocemente, ma la società si sta evolvendo».
monica vitti
La competizione con venezia Nella nuova generazione di autori italiani sceglie Alice Rohrwacher «così piena di vita, così affettuosa». Per Jacob il cinema italiano è stato il più bello del mondo, maltrattato negli anni di Berlusconi, ma ora in via di resurrezione. «Vedo tanti fremiti favorevoli con Rohrwacher, Pietro Marcello e altri ai quali grido: Su, coraggio!». La rivalità con la Mostra di Venezia accompagna le sue memorie raccolte nel libro La vie passera comme un rêve e Dictionnaire amoureux du Festival de Cannes. «Alla Mostra invidio le sue date, il mese di settembre, l' arrivo da vedette al pontile dell' Excelsior, la pertinenza delle domande in conferenza stampa».
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Cannes è cambiata, «come lo siamo tutti», osserva. Ma il cinema, dice, resta una «magia collettiva» che sopravviverà a piattaforme e streaming. Anche in questa edizione del festival, i film di Netflix sono assenti. Il delegato generale Thierry Frémaux continua a difendere le regole francesi secondo cui le pellicole in concorso devono uscire anche in sala. Una guerra che secondo Jacob non ha più senso. «Cannes deve mantenere alto il blasone del cinema d' autore. Mostrare ciò che di meglio esiste. Qualunque sia il supporto, è il lavoro che conta e se i grandi registi vanno su Netflix, non abbandoniamoli per questo. Come diceva Malraux, c' è l' arte e l' industria. La vocazione dei festival è l' arte, e basta».
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